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Quando i boss continuano a vivere nelle ville confiscate

Quando i boss continuano a vivere nelle ville confiscate

AMDuemila 16 Settembre 2022

Paola Caccia, intervistata da La Repubblica“Brutto messaggio”

Ieri Libera ha pubblicato un report sui beni confiscati. In Piemonte sono addirittura 300 i complessi immobiliari confiscati e sequestrati (1034 particelle). E solo il 23 per cento è stato destinato a un percorso di riutilizzo, mentre due terzi dei beni confiscati non lo sono. Tra questi ci sono anche quelli ancora abitati da chi ne è stato espropriato.
Oggi il quotidiano La Repubblica ha fatto un elenco di casi a dir poco scandalosi. A Torrazza Piemonte, ad esempio, la famiglia di Rocco Schirripa, condannato all’ergastolo per l’omicidio del magistrato Bruno Caccia, vive ancora nella casa che gli fu sequestrata nel 1994 per altri reati di mafia e confiscata nel 1998. E si trova lì nonostante proprio quel bene sia stato destinato al Comune già nel 2019.
A San Giusto Canavese solo la scorsa settimana le forze dell’ordine sono intervenute per allontanare da casa moglie e figlio del boss di ‘Ndrangheta Giuseppe Fazari, deceduto mentre scontava una condanna a sette anni per associazione di stampo mafioso.
O ancora c’è il caso di Giuseppe Salvatore Racco, considerato un “picciotto” della locale di Cuorgné e nell’inchiesta Minotauro, il quale ha scontato la propria pena. Continua a vivere nella villa di Prascorsano che gli era stata confiscata nel 2018 con il bene che, come scrive il quotidiano, risulta in possesso all’agenzia dei beni confiscati ed è in attesa di assegnazione.
Questi sono solo alcuni dei casi che avvengono in Piemonte e che si ripetono anche a livello nazionale.
Sulla questione, intervistata sempre da La Repubblica, è intervenuta Paola Caccia, figlia del Procuratore: “Trovo molto brutto, molto spiacevole che accada questo, che venga dato questo messaggio che ‘togliere è difficile'”. E poi ancora: “Se ne parla poco, forse è un problema non molto sentito, mi sono resa conto che la gente non conosce le storie e non sa quanto la mafia sia radicata anche in città, eppure la senti, la percepisci la presenza di attività illegali. E allora anche questo fatto che ci voglia tanto tempo per liberare i beni per riassegnarli alla collettività è un bruttissimo messaggio”.
Tra le proposte anche l’idea si snellire la procedura per l’assegnazione dei beni con una proposta chiara per il loro utilizzo (“Vorrei, specialmente per quelli in città, che fossero trasformate, in modo più rapido, in modo da essere un’opportunità per la comunità: posti di accoglienza dei più fragili, dei senza tetto, che offrissero assistenza a chi ha bisogno. Anche perché questa attesa è come una resa: toglie fiducia”). Infine ha anche parlato della memoria del padre, ucciso nel giugno 1983. “È triste il fatto che più passa il tempo, più i giovani non sappiano molto della storia di mio padre – ha affermato – Al contempo, però, c’è la voglia di lavorare per la collettività: tutti si danno da fare il bene comune. Invecchiando, desidererei che la sua memoria fosse mantenuta più viva, a iniziare dalle scuole. Non solo la sua ma anche quella di mia madre: la cascina è intitolata a entrambi, perché lei si è arrovellata per 25 anni nella speranza di conoscere la verità. Il tempo ha già ricoperto con la sua coltre di oblio, temo in parte anche voluto, quello che è successo. E mi piacerebbe che ora che si avvicina il quarantennale venga fuori qualcosa.

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/261-cronaca/91542-quando-i-boss-continuano-a-vivere-nelle-ville-confiscate.h