Cerca

Quando ai Di Silvio chiedevano protezione ! !!!! QUELLO UFFICIALE  E……QUELLO REALE. QUANDO E’ LA MAFIA A COMANDARE……………………..

IL CAFFÈ, n. 453 dal 21 al 27 giugno 2018

Quando ai Di Silvio chiedevano protezione

Il retroscena svelato dal pentito: «La gente normale anziché chiamare il 113, chiamava loro. Per questo non denunciava. Fino ai guai»

di Clemente Pistilli

Tra chi ha fatto scena muta e chi si è limitato a contestare le accuse, come prevedibile gli interrogatori da parte del gip degli arrestati nell’inchiesta “Alba Pontina” non hanno portato a particolari novità. Dalle carte dell’indagine, che ha visto la Polizia eseguire ben 25 misure cautelari e che per la prima volta ha portato alla contestazione a una famiglia nomade di Latina dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, continuano a emergere però particolari utili a spiegare perché la Dda di Roma ha ritenuto che nel capoluogo pontino sia spuntata fuori una nuova mafia e che allo stesso tempo mostrano la città come un centro in cui si sarebbe fatta largo una cultura mafiosa. Al punto che quando c’è qualche problema alcuni preferirebbero chiamare i rom anziché “le guardie”. Secondo l’Antimafia capitolina, “il riferimento alla famiglia Di Silvio si caratterizza per la straordinaria ampiezza delle famiglie di etnia rom presenti sul territorio pontino e a vario titolo coinvolte in attività delittuose, con particolare riguardo ai settori dell’usura e delle estorsioni”. L’indagine si occupa però “di un ramo dei Di Silvio attualmente dominante nel capoluogo pontino, ovvero quello facente capo a Di Silvio Armando detto Lallà, territorialmente dominante nella zona di Campo Boario, e composto dal predetto, dai figli Ferdinando Pupetto, Samuele, Gialuca, Sara Genoveffa, dalla moglie Sabina De Rosa e dagli ulteriori accoliti, fra cui emergono i fratelli Sicignano, Arcieri Federico, Riccardo Agostino e Pugliese Renato”. Sempre la Dda, sostenendo che l’organizzazione criminale messa su da Lallà sarebbe un’organizzazione mafiosa, evidenzia che “dalle indagini espletate è emerso come le estorsioni siano state realizzate dal gruppo in modo seriale, con cadenza quasi giornaliera, andando a colpire cittadini e imprenditori, cui è stato sufficiente conoscere l’appartenenza o la vicinanza degli estorsori alla famiglia Di Silvio per assoggettarsi alle richieste intimidatorie”. Un gruppo in grado dunque di diffondere un generalizzato terrore. In grado di gestire tanto le estorsioni quanto lo spaccio di droga, di inquinare campagne elettorali e di compiere intestazioni fittizie di beni per evitare confische nel caso dovessero arrivare misure di prevenzione.

FERDINANDO IL PROTETTORE

Tutti aspetti su cui ha anche fatto numerose dichiarazioni ai magistrati il pentito Renato Pugliese, figlio di Costantino Cha Cha Di Silvio, evidenziando allo stesso tempo una certa cultura mafiosa che sarebbe presente nel capoluogo pontino: “A Latina ci sono molte persone che cercano protezione, che vogliono avere la possibilità di spendere un nome in caso di difficoltà; Ferdinando è uno che se ti deve proteggere lo fa veramente. La protezione la chiedono tutti, persone di strada o persone normali. Nel bar dove va di solito Ferdinando spesso gli offrono da bere o non gli fanno pagare i cocktail, ma se poi ha bisogno d’aiuto perché qualcuno ha un problema, il titolare chiama Ferdinando Di Silvio e non le guardie. Questo probabilmente è il motivo per cui le persone denunciano poco, fin quando non intervengono problemi più grossi”. Organizzazione mafiosa che tra l’altro sarebbe entrata in contrasto, facendosi spazio negli affari criminali, con altre famiglie e che con tali famiglie di malavita sarebbe stata anche pronta alla guerra. Ipotesi formulate dagli inquirenti alla luce di una serie di intercettazioni. Come quelle in carcere tra Salvatore Travali, coinvolto nell’inchiesta su un’altra associazione per delinquere creata dai rom e finita al centro del processo “Don’t touch”. Salvatore Travali dice: “Avranno tutto quello che se meritano, mica rimango pe sempre qua, mica rimango pe sempre qua”. La sorella, riferendosi al gruppo di Lallà: “Niente, tutto loro c’hanno”. E Salvatore Travali: “Tutto loro chi?”. La sorella: “Tutto Agostino, Samuele, Gianluca”. Salvatore Travali: “Noi non ci abbiamo un cazzo”. E l’organizzazione ritenuta dominante sarebbe stata pronta anche a far scorrere di nuovo il sangue nelle strade, come già avvenuto nel 2010, per colpire la famiglia rivale Ciarelli. Ferdinando Pupetto Di Silvio, come si legge dalle intercettazioni, dice: “Stamo annà da zio Luigi, noi… Gianlù vedi, lo sai se io prendo a zio Luigi personalmente, che ce faccio…lo faccio buchi buchi…lo faccio come uno scolapasta a quell’omo de merda”. Intento confermato sempre da Pugliese: “Samuele e Gianluca erano pronti a fare l’azione contro i Ciarelli e a sparare perché era stato fatto un affronto, l’arrivo di un Ciarelli nella loro zona. Armando è stato costretto a tenerli chiusi in casa per tre o quattro ore per calmarli”. Un gruppo forte e che vuole dimostrare a tutti di esserlo. Gianluca Di Silvio: “Non è che ci siamo fatti la galera a brullo”. Pupetto a un giovane non identificato: “Qua non sei nessuno, cosa dici, mi stai minacciando, cosa stai facendo, appartieni a un clan? Se appartieni a qualche clan potrebbe esse che te porto rispetto, appartieni a un clan?”. Il ragazzo: “No”. Pupetto: “Allora a posto, a noi non ce cagà proprio…se non appartieni a qualche clan, allora non ce devi cagà er cazzo”. Ipotesi e tracce di mafia. Le stesse che diversi difensori intendono provare a smontare con i ricorsi al Riesame contro gli arresti.