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Pupi e pupari, una diarchia ancora solida

PUPI E PUPARI: UNA DIARCHIA CHE SI PERPETUA NEL TEMPO IN UNA PROVINCIA, QUAL’ E’ QUELLA DI LATINA, INFESTATA DALLE MAFIE

Tantissimi anni fa il direttore di un giornale che, purtroppo, poi negli anni ha cambiato linea e proprietà convocò nella sua stanza l’ autore di queste brevi note per dirgli:

“ Pupi e pupari” , sbizzarrisciti nel disegnare il tessuto culturale, sociale, economico e politico di questa provincia. ”.

Da quell’ input venne fuori un’ inchiesta a più mani ed a più puntate che mise a nudo tutti i nodi di una società frammentata, contraddittoria, con tante luci ma anche tantissime ombre.

Una società composta da tanti corpi e tante anime quasi sempre separati e mai dialoganti fra di loro.

Mai nessuno che si stato capace ed abbia espresso la volontà di unificarli, per arrivare ad un unicum, per darle un’ anima ed un corpo.

Una società scomposta, insomma, con tratti anche perversi che consentono, con le loro specificità, fenomeni tipici delle aree sottosviluppate.

Sprazzi di culture avanzate e moderne che non sono riuscite a stabilire il loro sopravvento, la loro supremazia, su praterie infinite di subculture arretrate e da basso impero.

Il fallimento più completo della classi intellettuali divenute anch’ esse subalterne di fronte ad un sistema feudale fatto da vassalli e valvassori.

Vassalli e valvassori, sì.

Con i primi che non riescono-e forse nemmeno vogliono riscattarsi da secoli – la provincia di Latina è stata costituita durante il regime fascista con l’ accorpamento di territori già sotto il dominio dei Borboni nella parte sud e dei Papi in quella a nord- di servitù e di vassallaggio.

Né sono bastate le massicce immissioni in agro pontino di nutrite colonie di gente proveniente dal nord del Paese, dal Veneto soprattutto, ma in misura minore anche dall’ Emilia-Romagna, a modificarne significativamente i tratti, la fisionomia.

Se tanto mi dà tanto, è facile arguire quali sono il brodo di coltura, l’ humus, il sostrato culturale e civile che hanno dato origine ai processi di formazione delle classi dirigenti.

Non desta più di tanto meraviglia, quindi, lo stato di arretratezza culturale e morale di territori in cui componenti di quelle classi dirigenti, espressione di quella società, mal digeriscono ogni discorso di rinnovamento e di crescita reale.

Le realtà, le vere emergenze spesso non vengono nemmeno percepite e, quand’ anche lo fossero, verrebbero subito edulcorate.

L’ interesse del principe di turno, prima di tutto.

L’ etica?

Un incomodo!

Coloro che ne sostengono la validità e l’ esigenza?

Dei rompic… ….. o comunque dei sognatori fuori dalla realtà!

Fanno fatica ad emergere segnali di volontà di cambiamento di cui si avvertono di tanto in tanto flebili vagiti.

La maieutica, insieme all’ etica, non sono ben accette.

Appare difficile in un contesto del genere dar vita a situazioni di discontinuità rispetto ad uno stato che si è solidificato nei decenni e che viene accettato così com’ è dalla stragrande maggioranza delle persone.

Come illusorio appare il sogno di quelle sparute minoranze che si illudono, attraverso un’ opera di educazione che richiede tempi lunghi per vedere i primi risultati, di apportare dei cambiamenti significativi.

Almeno nei periodi medio-brevi.

Un tessuto in gran parte corrotto, per non dire mafioso, impone l’ adozione, considerata la gravità della situazione, di azioni drastiche e risolutive che solamente uno Stato veramente di diritto può e deve adottare in situazioni del genere.

Tutto il resto è al più un palliativo che non risolve i gravi problemi cui ci troviamo di fronte.

Primi fra tutti quelli della corruzione e delle mafie, fenomeni questi che non consentiranno mai una crescita reale.