22 Marzo 2018
di AMDuemila
“Una parcella da un milione di euro che il giudice Saguto autorizzò a liquidare in favore di Gaetano Cappellano Seminara in quanto legale di alcune società appartenenti all’ex re della sanità privata Michele Aiello”. Di questo ha parlato il commercialista Andrea Dara, tra i principali teste dell’accusa al processo che si celebra all’aula bunker di Caltanissetta contro Silvana Saguto ed altri 14 imputati per la gestione dei beni confiscati.
Dara per alcuni anni collaborò con Seminara nella gestione dei beni confiscati, come quelli sequestrati all’imprenditore di Bagheria Michele Aiello (Cappellano dopo un periodo da coadiutore divenne vice presidente della società) e prima ancora quelli dell’imprenditore Piazza. Un rapporto che con il passare del tempo subì una trasformazione. “Nel 2008, i rapporti si deteriorarono per una progressiva incomprensione sulle cose da fare – ha detto rispondendo alle domande dei pubblici ministeri Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti – Lui si sentiva al centro di tutto e gli altri erano satelliti di poca importanza. Era un professionista impegnato in tantissime procedure”.
Dara ha poi parlato delle pressioni ricevute dalla Saguto per liquidare all’avvocato la parcella da 1 milione di euro che presentò al tribunale: “Nel febbraio 2012 Seminara scrisse alla Saguto chiedendo il riconoscimento di quanto gli spettava. Io, in quanto amministratore giudiziario di alcune società del gruppo Aiello, con una mia relazione risposi muovendo alcuni rilievi. Il 12 aprile 2012 la Saguto emise il decreto di liquidazione da 1 milione di euro. La clinica Villa Santa Teresa, all’epoca in difficoltà economiche e finanziare, a quel punto fu costretta a dimettere delle obbligazioni poiché Cappellano rifiutò il pagamento da noi proposto che consisteva in 400mila euro in sei mesi e il resto dilazionato in 12 e 18 mesi. La Saguto dispose anche la dismissione dei titoli. Mi consigliò che nel caso in cui avessi impugnato il suo provvedimento sarebbe stato meglio dimettermi”. Secondo il commercialista quella parcella sarebbe stata gonfiata.
“Quella liquidazione di un milione e 71 mila euro era chiaramente esosa – ha aggiunto – cosa potevo fare? Ero sostanzialmente isolato, la giudice Saguto aveva una coesione forte con Cappellano Seminara. Lui sollecitava compensi per processi fotocopia, aveva cambiato solo l’intestazione della società, il resto dell’atto era identico”.
La testimonianza dell’agente di scorta De Martino
Successivamente a far discutere è stata la deposizione dell’agente di scorta del giudice Silvana Saguto, Achille De Martino. L’avvocato Ninni Reina, legale dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, ha chiesto alla corte la trasmissione degli atti alla procura competente per rivelazione del segreto d’ufficio e per favoreggiamento personale accusando che “il poliziotto è stato utilizzato in modo illegittimo come agente provocatore”.
Una denuncia, quest’ultima, “contro ignoti”, ma con un chiaro riferimento agli investigatori della Guardia di finanza, che autorizzarono De Martino a comprare una scheda telefonica, dopo una richiesta che gli era stata fatta dal marito della giudice, l’ingegnere Lorenzo Caramma, all’indomani delle perquisizioni e degli avvisi di garanzia.
Disse di avere la necessità di parlare “senza problemi” con la cugina. Quell’utenza fu poi intercettata.
La difesa del giudice ha anche chiesto di aprire un fascicolo contro ignoti per abuso d’ufficio per aver autorizzato De Martino ad agire come agente sotto copertura in casi non consentiti dalla legge.
Ma i pm rigettano le accuse (“Nessuna irregolarità e nessun agente provocatore”) e si sono opposti alla richiesta avanzata dal legale della Saguto. La Corte si è riservata di decidere.