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Processo “Ecostrato” – L’associazione Antonino Caponnetto ha deciso di costituirsi parte civile

Il prossimo 21 dicembre inizierà – davanti il GUP di Roma – il processo “Erostrato”,che ha ad oggetto le infiltrazioni ndranghetiste nel territorio di Viterbo. Nel gennaio 2019 i carabinieri del nucleo investigativo di Viterbo, coordinati dai procuratori della Dda di Roma Giovanni Musarò e Fabrizio Tucci, hanno arrestano capi e gregari di un’associazione a delinquere autoctona che per quasi due anni ha messo spalle al muro imprenditori e semplici cittadini. Dalla lettura dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari dott.ssa Flavia Costantini – scaturita dalla relazione investigativa del sostituto procuratore Giovanni Musarò, aggiunto alla DDA di Roma e braccio destro del Procuratore Capo Prestipinoemerge che il capo del sodalizio criminale aveva forti legami con la cosca ‘ndranghetista dei GIAMPA’/TROVATO. Per questo motivo l’associazione Antonino Caponnetto ha deciso di costituirsi parte civile. E’ l’ennesima conferma che la nostra associazione nella lotta alle mafie non fa sconti a nessuno.

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IL Messaggero,Martedì 9 Aprile 2019

‘Ndrangheta viterbese, il sodalizio era pronto a sparare

“Inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta: dalle motivazioni del tribunale del Riesame, che ha confermato i 13 arresti, il sodalizio era pronto a sparare. «Sono azioni tipiche dei clan mafiosi».

Volevano sparare a due pregiudicati viterbesi («gli zingari») per affermare la loro supremazia sugli affari illeciti.

Il clan capeggiato da Giuseppe Trovato, pochi giorni prima dell’arresto a gennaio scorso, stava organizzando un attentato a mano armata. Il pluripregiudicato nel mirino avrebbe mancato di rispetto al boss della ‘ndrangheta.

E’ uno dei dettagli emersi dalle motivazioni del tribunale del Riesame, il quale ha respinto le richieste degli avvocati degli indagati. E che soprattutto afferma che l’associazione di Trovato e Rebeshi è di stampo mafioso.

«Non si può dubitare del fatto – si legge nelle pagine depositate – che le complesse e articolate indagini e il materiale probatorio raccolto consentono di affermare l’esistenza di un’organizzazione criminale, che utilizzando i metodi estorsivi e intimidatori delle organizzazione di tipo mafioso».

La violenza e la forza del gruppo si manifestano proprio nei confronti di S. G. il 23 gennaio 2019, appena due giorni prima del blitz dei carabinieri: Trovato e i suoi sodali pianificano un attentato a mano armata.


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IL Messaggero, Domenica 27 Gennaio 2019 

La Ndrangheta a Viterbo: «In questa città comandiamo noi»

di Maria Letizia Riganelli

Con noi o contro di noi. La filosofia spicciola dell’associazione a delinquere capeggiata dal quarantenne Giuseppe Trovato e dall’amico albanese, Ismail Rebeshi, puntava a ottenere il potere incontrastato in tutto il capoluogo. E non solo per gli affari economici legati al mercato dei preziosi, per Trovato, e a quello della movida per stranieri di Rebeshi.

Il sodalizio, stroncato dai carabinieri di Viterbo con 13 arresti, voleva il controllo del territorio. Voleva vedersi riconosciuto il ruolo di spicco e lo faceva colpendo o intimorendo chiunque si frapponesse. O aiutando a risolvere problemi comuni. Vittime dell’associazione sono stati anche coloro che non rispettavano il gruppo criminale. Chi materialmente commetteva torti agli amici degli amici.

Caso emblematico quello che vede coinvolto Giovanni Biosa. Il viterbese, noto come Giovannino lo zingaro per l’esuberanza delle sue azioni illecite, si scontra la notte del 12 maggio scorso con i membri della banda. Viene barbaramente picchiato a calci e pugni, un’aggressione in grande stile pianificata dallo stesso Trovato che, per portarla a termine, raduna tutti i suoi. Secondo gli inquirenti, Biosa a marzo aveva danneggiato il parabrezza di un associato provocando l’ira del capo, che lo considera un affronto gravissimo.Non solo, Giovannino viene considerato anche il responsabile dello sfondamento della vetrina di un bar controllato dal clan.

«Al Biosa – scrive la gip Flavia Costantini nell’ordinanza viene impartita una vera e propria lezione». Lo dimostra l’intercettazione di Trovato: Lì è zona mia. Comando io. Prima di rompere devi chiedere il permesso. Biosa è la vittima della furia d’onnipotenza di Trovato. Ma non l’unica. Sull’elenco ci sono una ex dipendente che avrebbe osato fare vertenza. Poi un buttafuori che si sarebbe permesso di non far entrare Rebeshi in un locale. E un ragazzo scambiato per un motociclista con cui il capo avrebbe avuto un alterco in via Genova.

Il giovane viterbese fu preso a calci e sprangate dallo stesso Trovato il 6 agosto 2018, perché sarebbe stato irrispettoso nei suoi confronti. Io racconta Trovato alla compagna, anch’essa in carcere – devo scendere e menare se no la gente non sentono.

Tutte azioni che servono a creare timore e rispetto. «Innegabile scrive ancora la gip – che il controllo del territorio costituisce un ulteriore importante sintomo dell’esistenza, e dell’operatività, di un sodalizio mafioso. Essendo una caratteristica tipica delle cosiddette mafie storiche». L’altra caratteristica è quella dell’aiuto a chiunque ne faccia richiesta. Lo stesso indagato Manuel Pecci «risulta dice ancora il gip – assolutamente consapevole della forza intimidatrice del clan e si rivolge al Trovato per sottrarsi alle richieste risarcitorie avanzate da un suo cliente. E si mette a disposizione dell’associazione».

Stesso discorso per Emanuele Erasmi che si rivolge al Trovato per recuperare una somma di denaro, dopo essere ricorso ai rimedi civilisti. Tanto dice l’indagato al telefono – io sti soldi non li vedevo se non facevo così. E rimane così soddisfatto del servizio ricevuto da dirsi disponibile a promuovere, presso altri imprenditori, l’attività di recupero crediti. Mosse strategiche, intimidazioni e colpi sicuri. Tutto per affermare quello che Trovato continua a ripetere alla banda: A Viterbo comandiamo noi.