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Processo Andreotti, il verbale: le parole di Mattarella contro il mafioso candidato alle elezioni

Il Fatto Quotidiano, 9 Luglio 2020

Processo Andreotti, il verbale: le parole di Mattarella contro il mafioso candidato alle elezioni

Nelle carte del Processo all’allora presidente del Consiglio, le dichiarazioni dell’attuale Presidente della Repubblica al pm e il confronto con l’avvocato Giulia Bongiorno. Il tema: i candidati in odore di mafia

di Saul Caia

Ci sono verità che si sanno, conosciute e condivise da tanti, ma che necessitano anni prima di essere confermate. Che “Don Raffaele Bevilacqua” fosse un uomo d’onore, lo si sapeva già negli anni ’90, quando militando nella Democrazia Cristiana, da consigliere provinciale di Enna decise di candidarsi alle regionali del 1991. Appena una settimana fa, Don Raffaele o l’avvocato, come lo chiamano in tanti, è stato arrestato un’altra volta, nel corso dell’operazione “Ultra” della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, perché accusato di essere il boss di capo di Cosa nostra ad Enna.

Negli atti dell’inchiesta nissena, sono citati i suoi trascorsi politici nella Balena bianca, facendo riferimento anche a quella lotta intestina al partito, che a causa delle sue “cattive frequentazioni” voleva estrometterlo dalle regionali, insieme dell’onorevole Giuseppe Giammarinaro.

Al riguardo – si legge negli atti dell’inchiesta Ultra – nel corso delle sedute della Direzione Nazionale della Dc, presieduta dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella”, fratello di Piersanti, politico democristiano ucciso a Palermo da Cosa nostra il 6 gennaio 1980 durante il suo mandato da presidente della Regione Sicilia. “Nell’esaminare entrambe le candidature – si legge negli atti – vennero sollevati forti dubbi in ordine all’opportunità di presentare due soggetti (Bevilacqua e Giammarinaro, ndr) così vicini ad ambienti ‘mafiosi’, ciononostante vennero entrambi candidati per la forte pressione delle relative fazioni e addirittura Bevilacqua andò a sostituire un altro candidato”.

Per capire come andarono le cose, bisogna prendere le oltre 1400 pagine della sentenza di primo grado del processo a Giulio Andreotti, celebrato a Palermo, in cui è spiegato il retroscena della candidatura. “L’on D’Angelo – si legge -, che era stato nominato Presidente della commissione elettorale del partito, si dimise da tale incarico e non presentò all’approvazione del Comitato provinciale di Enna della Democrazia Cristiana la lista per le elezioni regionali, perché si rifiutò di inserirvi Bevilacqua.

Nel Comitato provinciale si votò sui nominativi dei possibili candidati; tra essi, i primi quattro (che avrebbero dovuto essere inseriti nella lista) risultarono l’on. Giuseppe Abbate, l’on. Salvatore Plumari, l’on. Antonino Rizzo, il dott. Filippo Sammarco; al quinto e sesto posto vi erano, rispettivamente, l’avv. Grippaldi e l’avv. Bevilacqua (i quali, pertanto, non avrebbero dovuto essere inclusi nella lista elettorale, che poteva comprendere soltanto quattro candidati).

In seguito l’on. Rizzo rinunziò a presentare la propria candidatura, sicché occorreva inserire nella lista, in sostituzione di lui, un altro candidato. Tale decisione era di competenza della Direzione Nazionale del partito. La Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana, tuttavia, inserì nella lista dei candidati, in sostituzione dell’on. Rizzo, l’avv. Bevilacqua”.

All’epoca, non si poteva non sapere, che Don Raffaele era amico e socio di Liborio ‘Borino’ Micciché, assessore comunale ai lavori pubblici a Pietraperzia con la Dc, ma soprattutto uomo d’onore, già “consigliere” della provincia mafiosa di Enna e capo della famiglia proprio di Pietraperzia. Entrambi militavano nella corrente andreottiana guidata da Salvo Lima, figura portante dello scudo crociato in Sicilia, legato ai cugini Antonino e Ignazio Salvo della famiglia mafiosa di Salemi. Quando il patto tra Riina e la Dc si interrompe, Lima paga con la vita le promesse non mantenute al capo dei capi, venendo ucciso a Palermo il 12 marzo 1992. Un mese dopo, nella piazza di Pietraperzia, freddano anche Miccichè, mentre distribuiva volantini elettorali della Dc.

L’11 luglio 1996, al processo Andreotti, è chiamato a testimoniare l’onorevole Sergio Mattarella, al quale vengono fatte precise domande proprio su Don Raffaele. Pubblico Ministero (Pm): “Lei ha conosciuto o ha sentito il nome dell’avvocato Raffaele Bevilacqua?”.

Mattarella Sergio: “Si, è stato come candidato alle elezioni regionali (…) nella provincia di Enna”.

Pm: “Ecco, sa se in relazione alla candidatura di questo personaggio si svolse… vi fu un contrasto all’interno della direzionale nazionale della D.C. e se è si per quale motivo?”

Mattarella S.: “Si, questo lo ricordo bene, venne indicato dall’aria (rectius dall’area: ndr) limiana, dalla corrente andreottiana in Sicilia. Io ho avuto… non ricordo se dall’onorevole Abbate che (…) nel ‘91, era il nuovo segretario provinciale della DC non era deputato, o dall’onorevole Lo Giudice o da entrambi, tutti e due di Enna, un suggerimento di non includere in lista questa persona perché non aveva una buona reputazione e si ipotizzavano frequentazioni (…) che si era meglio che non si avessero da parte di esponenti di partito”.

Pm: “Ecco, fuori dagli eufemismi può dire che tipo di frequentazioni?”

Mattarella S.: “Si. Dubitavano che avesse frequentazioni mafiose e quindi, comunque avendo una cattiva reputazione che non fosse il caso di non includere in lista. Nell’ambito della direzione del partito nazionale, che poi decideva la lista sulle proposte che venivano dalla province e dalla regione, non soltanto io, alcuni cercammo di evitare questa candidatura ma non vi erano motivi anche su informazioni assunte che dessero elementi di… anche di qualche probabilità, di qualche attendibilità concreta di queste… e quindi non vi erano argomenti per non includerlo in lista. Allora il confronto fu soltanto di equilibrio dalle correnti per quanto riguarda la inclusione di…”

Pm: “Ma voi esternaste queste preoccupazioni circa le frequentazioni in quella sede, diciamo, con ambienti mafiosi?”

Mattarella S.: “Si, ma non vi erano elementi. Su tutti i candidati furono assunte delle informazioni ma su questo non vi erano elementi”.

Pm: “Comunque se ne discusse di queste frequentazioni?”

Mattarella S.: “Non ricordo se formalmente in direzione o informalmente come si fa sempre in questi casi, prima di farlo, col segretario… ma questi dubbi furono esternati. La vicenda fu ricondotta soltanto al problema del confronto fra le correnti circa i candidati da esprimere che erano lì 4 (…). Gli esponenti andreottiani in direzione, condividevano le cose di Lima, essendo siciliani, essendo in direzione, insistettero molto per questa candidatura, anche con l’argomento per gli altri 4 che si volevano mettere in lista, riempiendola così, escludendo il Bevilacqua, fossero tutti riconducibili alla sinistra del partito, sinistra che in Sicilia era divisa in correnti diverse che fra loro erano anche in conflitto, così come era Enna, appunto, però erano tutti in sede nazionale riconducibili alla sinistra e arrivarono anche a dire che rinunziavano non so se a una o a due candidature in altre provincia pur di avere questa, erano convinti che sarebbe stato eletto e ottennero questa candidatura”.

Nel corso del controesame, l’avvocato Giulia Bongiorno, difensore di Andreotti, chiese a Mattarella se fosse a “conoscenza di qualche cosa, di un fatto specifico, di una prova di questi rapporti fra Bevilacqua e ambienti mafiosi”.

Mattarella S.: “No, io non sapevo neppure chi fosse, come ho detto, me ne hanno parlato, non ricordo se entrambi, o uno dei due, l’onorevole Lo Giudice che è di Enna, e l’onorevole Abbate che è di Enna. Su Bevilacqua come su altri, come ho già detto, chiedemmo informazioni ma non arrivarono indicazioni significative”.

Avv. Bongiorno: “D’accordo, quindi non c’erano indicazioni specifiche, però io voglio sapere, lei ha parlato direttamente con il senatore Andreotti, quanto meno di questa generica, cattiva reputazione (…) dell’avvocato Bevilacqua?”

Mattarella: “No.”

Avv. Bongiorno: “Cioè non sconsigliò al senatore Andreotti di inserirlo in queste liste?”

Mattarella: “No.”

Avv. Bongiorno: “Ma a lei le risulta che il senatore Andreotti, quanto meno conoscesse questo avvocato Bevilacqua e fosse a conoscenza di questi fatti?”

Mattarella S.: “Questo non lo so, anche perché, in quel momento, il senatore Andreotti era presidente del Consiglio, siamo nel ‘91, e partecipava alle direzioni come presidente del consiglio, avente diritto, ma non sempre veniva e comunque la rappresentanza della corrente andreottiana (…) la esercitavano gli altri (…).”

A quella tornata elettorale del 1991, Don Raffaele ottenne 18.916 voti, risultando il primo dei non eletti nella lista della Dc, dietro a Giammarinaro che sostenuto dai fratelli Salvo raccolse 50.264 preferenze.

Appena un anno dopo, “l’avvocato” è arrestato per mafia nell’operazione Leopardo della Procura di Caltanissetta. Durante i vari processi i collaboratori di giustizia Angelo Siino, Leonardo Messina e Paolo Severino hanno confermato che Bevilacqua è un “uomo d’onore”.

Il verbale di Mattarella