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Primo sì alla legge bavaglio

Il Senato vota la fiducia al ddl intercettazioni. Il Pd non partecipa al voto – “è un massacro delle libertà” – l’Italia dei Valori vota contro dopo una mattinata di bagarre, con l’occupazione dei banchi del governo e l’espulsione da parte del presidente Schifani. Il sindacato dei giornalisti proclama uno sciopero per il nove luglio prossimo, si alzano voci critiche anche all’interno della maggioranza. Ora parola alla Camera, ma Berlusconi ha già detto di non voler cambiare nulla

La capogruppo democratico Anna Finocchiaro scandisce al termine del suo intervento prima del voto della fiducia al ddl sulle intercettazioni, annunciando l’uscita dall’Aula dei senatori del gruppo del Pd: “Non parteciperemo perché risulti con evidenza che da qui comincia oggi il massacro delle libertà”. I senatori dell’Italia dei Valori, dopo una notte passata occupando l’Aula, in mattinata si riversano sui banchi del governo, mettono in imbarazzo il presidente Renato Schifani che sospende la seduta per cinque minuti ed è incerto se dare il via libera o meno, in quella bagarre, alla diretta televisiva. Poi li espelle, li fa portare via di peso, li riammette solo al momento della votazione. Loro diranno “no” assieme ai colleghi dell’Udc. I voti favorevoli sono stati 164. Passa quindi il provvedimento sulle intercettazioni, con l’esultanza del ministro della Giustizia Angelino Alfano: “Abbiamo consentito l’uso delle intercettazioni impedendone l’abuso”.

Adesso tocca alla Camera dei deputati, ma ci ha già pensato il presidente del Consiglio a blindare tutto, vuole il testo così com’è. La Federazione nazionale della stampa per questo non ci pensa due volte e fissa al nove luglio lo sciopero dell’informazione: niente giornali in edicola e servizi in tv, ed è prevedibile che l’adesione sarà alta, anche dalla stampa allineata. C’è già l’adesione dei comitati di redazione dei tg di Mediaset. Si valuta anche la possibilità di pubblicare sui quotidiani, nei prossimi giorni, pagine totalmente bianche.

Perché questa legge non piace proprio a nessuno: giornalisti, magistrati, opposizione. Dalla stessa maggioranza si alzano, sebbene timide, voci di protesta o almeno di perplessità: il leghista Matteo Brigandì, tra i responsabili del partito sulla giustizia, parla esplicitamente di “molte cose non vanno”. Farefuturo è netta: “Inutile nascondere la delusione”, il finiano Fabio Granata vuole modifiche sulla parte che riguarda le intercettazioni ambientali e più possibilità di intercettare facilmente per reati che possono essere collegati alla mafia.  L’ex presidente del Senato Marcello Pera non partecipa al voto.

Antonio Di Pietro chiama alla “non – promulgazione” il Capo dello Stato e annuncia la raccolta delle firme per il referendum, la Finocchiaro è fiduciosa in una cancellazione precedente da parte della Corte costituzionale. Salta subito agli occhi, da questo punto di vista, l’attacco all’articolo 21 della Costituzione, quello che tutela la libertà di stampa: se la Camera dovesse apporre il definitivo sigillo al provvedimento così com’è, salterebbe la pubblicazione delle intercettazioni, sempre e comunque, anche quando nel corso del procedimento sono a disposizione delle indagine preliminari. Gli altri del procedimento saranno pubblicabili, fino alla fine delle indagini preliminari, solo per riassunto, grazie a una modifica pretesa in extremis dai finiani. Previste nel caso in cui i divieti vengano contravvenuti, maxi – multe per i giornalisti (10mila euro e 30 giorni di carcere) e per gli editori, che rischiano fino a 450mila euro di salasso: una norma che metterà in piedi, automaticamente, un implicito e diabolico meccanismo di auto – censura. I senatori del Pd Vincenzo Vita e Felice Casson segnalano anche un’altra norma liberticida, l’equiparazione di Internet alla carta stampata per ciò che concerne la regolamentazione della rettifica.

Ma oltre al gravissimo attacco all’informazione, il provvedimento rischia di minare anche le intercettazioni in quanto strumento di indagine a disposizione dei pubblici ministeri. Si fissa un limite di 75 giorni (tranne i reati di mafia e di terrorismo, per cui le maglie sono più larghe) a cui si deve arrivare con un infernale meccanismo di mini proroghe temporali (30 giorni + 15 + 15 + 15) che dovrà autorizzare un apposito tribunale collegiale. Scaduti 75 giorni, verrà il peggio: le proroghe saranno da autorizzare ogni 72 ore, solo se emergeranno nuovi elementi nell’indagine. Ma non è tanto questo quanto il rischio di ingolfare gli uffici giudiziari e il lavoro di magistrati in molte zone d’Italia già costretti a lavorare al limite della “agibilità”.

Nel ddl c’è anche una chicca: nel caso in cui venga indagato o arrestato un prete il pm del procedimento dovrà informare il vescovo della diocesi da cui il prete dipende. Nel caso in cui sia coinvolto un vescovo o un abate, dovrà essere avvisata la segreteria di Stato vaticana.
Andrea Scarchilli

(Tratto da Aprile online)