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Presentato alla Camera il libro di Catello Maresca, presente il suo amico Raffaele Canton: “Vi spiego perché Michele Zagaria, secondo me, non si pentirà mai

Presentato alla Camera il libro di Catello Maresca, presente il suo amico Raffaele Canton: “Vi spiego perché Michele Zagaria, secondo me, non si pentirà mai”

Parterre affollatissimo nella sala Aldo Moro di Montecitorio

CASERTA – “Male capitale”. Una definizione che non corrisponde a quella di male assoluto, perché l’autore dell’omonimo libro, il  pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia, Catello Maresca, non vuol enfatizzare, sacralizzare, mitizzare il clan dei Casalesi, che pur conosce, avendola combattuta per anni e anni, come organizzazione temibile, fortemente strutturata, in grado di macinare fatturati impressionanti e di fortificarli, facendoli lievitare ulteriormente attraverso un’abilissima attività di investimenti, forse non ancora del tutto rivelata nonostante l’enormità del valore dei sequestri realizzati.

Eppure, Catello Maresca, mantiene il punto e ripete: “Non bisogna mitizzare i boss, perché, vi garantisco, io che li ho conosciuti bene, sono persone ignoranti, senza capacità di affrontare questioni diverse da quelle che hanno avvolto completamente la loro esistenza di criminali. Ignoranti e, alcuni di loro, anche poco intelligenti.

E allora fa ancor più rabbia incrociare, nelle indagini, la constatazione di una potenza acquisita e approdata a livelli assolutamente spropositati rispetto al loro valore intelletivo.

E’ quello appena illustrato uno dei momenti centrali dell’intervento del magistrato che ha presentato, oggi pomeriggio, nella sala Aldo Moro di Montecitorio, il suo secondo libro dedicato ai criminali “molto organizzati” di cui si occupa da molto. Un evento speciale, organizzato dal gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, attraverso l’opera promotrice della deputata Giovanna Petrenga che ha portato, oggi, il saluto di tutto il partito e della segretaria nazionale Giorgia Meloni, impossibilitata ad intervenire in quanto impegnata in Campidoglio nella seduta del consiglio comunale, convocata per l’approvazione del bilancio.

Un parterre di oratori di primissimo livello, costituito da altissimi ufficiali, con il comandante del Scico della guardia di finanza, generale Giuseppe Grassi, il generale di brigata dei carabinieri Giovanni Trullio e il generale dell’esercito Gaetano Lunardo, delegati rispettivamente dal comandante generale delle fiamme gialle, Giorgio Toschi, dal comandante generale dell’arma dei carabinieri Tullio del Fette e dal capo di stato maggiore della difesa, Claudio Graziani.

Al convegno hanno partecipato anche due antichi colleghi, due magistrati che hanno incrociato il passato prossimo di Catello Maresca, cioè Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, il quale ha salutato con particolare calore Maresca, “che ha ereditato la stanza del mio ufficio e tutti i miei faldoni”, e Cesare Sirignano, anche lui protagonista assoluto delle indagini anti-camorra dai primi anni del 2000 in poi, da qualche tempo approdato alla Direzione nazionale antimafia, presieduta da un altro pezzo fondamentale della storia della Dda di Napoli, cioè Franco Roberti. Gli interventi sono stati moderati, sicuramente molto bene e con una consistente e apprezzabile cognizione di causa, dalla giornalista giudiziarista Marilù Musto. Un evento, quello di oggi pomeriggio, reso possibile dal fondamentale contributo organizzativo fornito da Ulrico Isernia, dirigente dell’ufficio dogane di Napoli e dall’associazione casertana Fabbrica Wojtyla ringraziata pubblicamente dall’autore parimenti al già citato Ulrico Isernia.

Domani approfondiremo maggiormente i contenuti di questo importante evento culturale. Per stasera vogliamo segnalare due passaggi che riteniamo molto importanti. Il primo, ripescato nell’intervento di Raffaele Cantone; il secondo in quello finale dell’autore del libro “Male capitale”. Sollecitato dalla Musto e rivestendo i panni del magistrato di trincea, Cantone ha detto la sua sull’ipotesi di un pentimento di Michele Zagaria. Una prospettiva, che giustamente, stuzzica la curiosità dei giornalisti, perché, si sa, Zagaria, più di ogni altro, è colui che ha tessuto la tela delle relazioni tra la camorra e le istituzioni pubbliche, a partire da quelle rappresentative. “Credo – ha dichiarato Cantone – che sia molto difficile che questo avvenga. Non conosco di persona Zagaria, perché l’ho cercato per cinque anni, ma non sono riuscito ad arrestarlo, a differenza di ciò che ha fatto l’amico Catello, il quale, lo ha preso. Ma per quello che ho letto e ho capito, l’unica ragione di vita di Michele Zagaria, uomo che non ha creato una famiglia, che dunque non ha moglie, figli e affetti condizionanti, è la conservazione del proprio mito. Zagaria si compiace e  sopravvive grazie alla contemplazione del  super ego. E’ ovvio, dunque – ha concluso Cantone – che l’atto del pentimento sgretolerebbe questa considerazione, questa scolpitura del suo mito criminale. Ecco perché ritengo che molto difficilmente si pentirà”.

Catello Maresca è uomo interessante oltre ad essere magistrato preparato. D’altronde, il suo libro non è solo un manuale d’informazioni, ma è un’opera in cui trasuda la volontà dell’autore di dare una mano autentica alla definizione del percorso più difficile, più arduo: quello della prevenzione culturale. Maresca, a questo scopo demitizza i boss, e lo fa cancellando non a caso il loro nome con cui sono stati conosciuti e appiccicando loro spassosi appellativi di fantasia. Ma su Angelo “saltellante”, sulla bomba esplosa nelle mutande di “scintilla” torneremo nell’approfondimento di domani.

Per ora, torniamo al punto: Maresca ha dimostrato di essere interessato alla grande questione culturale, cioè all’humus, al brodo di coltura dentro il quale è nata, è cresciuta e si è fortificata. Nel corso degli anni, la sua valutazione è diventata sempre più matura, in quanto condita dalle esperienze e dalle conoscenze acquisite nelle indagini e filtrate fino alla loro metabolizzazione, in una sensibilità non comune che oggi lo rende sociologo empirico di primo livello. “All’inizio – ha detto – credevo che si trattasse di un problema di scarsa cultura. Pensavo tra me e me: poveri questi giovani che non hanno potuto studiare, che non hanno avuto una possibilità di conoscere le cose che capitano al di là del perimetro territoriale in cui vivono, diventando facile carne da macello per la criminalità organizzata. Successivamente, però, ho capito che non era così. Ho capito che si trattava di una questione di testa, di mentalità radicata. In quelle zone esiste una convinzione diffusa che il comportamento, che lo stato definisce criminale, in realtà, è normale. Convinzione diffusa e graniticamente incardinata in molte persone che vedono, nello Stato, un nemico, un ostacolo al raggiungimento dei propri fini, che considerano appartenenti al giusto vivere e al giusto modo di stare al mondo”.

Gianluigi Guarino

PUBBLICATO IL: 15 dicembre 2016 ALLE ORE 21:15 

fonte:www.casertace.net