Tra i candidati a sindaco non ne accenna quasi nessuno.
Ci si accapiglia su quanti siano i turisti in città e sulla pizza più lunga del mondo, ma sul rischio Malavita ci si limita a rispondere che sì, certamente, «se in campagna elettorale dovessimo incrociare la camorra denunceremmo tutto ai carabinieri».
Napoli al voto.
In un clima da guerra, plateale eppur “negato” da chi dovrebbe provare a combatterla.
Sembra facile buttare le schede nell’urna, ma che cosa accade “dietro le quinte” dei comizi, delle cene a buffet libero, delle comparsate in tivù quando si deve scegliere il nuovo sindaco in una città in cui «la vita quotidiana», come confermano il capo dell’Antimafia Franco Roberti e il capo dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, «è condizionata dagli omicidi e dalle prepotenze imposte dalle bande di malavita?».
STRISCIONI COL ”PERMESSO”. Accade, per esempio, che si faccia fatica a non notare certi striscioni elettorali inneggianti a questo o a quel candidato affissi ai balconi o nei dintorni di edifici in cui è noto che abitino boss di camorra o loro affiliati.
E che ci si chieda se davvero sia pensabile esporre uno striscione lì senza che il “padrone di casa” non abbia quantomeno “dato il permesso”.
Accade – anche – che la camorra si metta a sparare (a scopo dimostrativo) in mezzo alla gente o che organizzi attentati ai danni del procuratore capo e minacci una grappolo di sostituti della procura.
A COLPI DI KALASHNIKOV. Accade che si venga a sapere che i sostituti di Napoli sono senza scorta.
O che un clan assalti, a colpi di kalashnikov, una caserma dei carabinieri.
E che a Secondigliano un commando armato faccia irruzione in un bar imponendo agli avventori di uscire prima di dar fuoco al locale.
Oppure accade che in un quartiere popolare come Soccavo esploda in pieno giorno un appartamento stracolmo di esplosivo e che in casa dell’inquietante piromane gli artificieri trovino quasi 100 mila euro in contanti.
Genny Savastano, o meglio l’attore Salvatore Esposito che in Gomorra 2 di Sky interpreta la parte del giovane boss figlio del boss, ha ritenuto necessario – pur non votando a Napoli – far sapere a quale candidato lui darebbe la preferenza: «A De Magistris», ha detto.
Perché, ha spiegato, «a lui piace Gomorra».
L’elezione a consigliere comunale? Costa tra i 15 mila e i 150 mila euro
C’è chi ha calcolato che l’elezione a consigliere comunale costa tra i 15 mila e i 150 mila euro.
È una “forbice” enorme.
E, in apparenza, inspiegabile.
«In realtà», racconta don Biagio ‘o professore (che prof non è, ma è un esperto di elezioni locali), «si spiega col fatto che a Napoli si manifestano molti “tipi” di campagna elettorale: c’è quella ufficiale, fatta di manifesti e striscioni, volantini e dichiarazioni, cene in casa di amici e tour nei rioni per il porta a porta. Poi, esiste un’altra campagna, “occulta” ai più, quella che tutti dicono di non sapere, ma che – come si evince dalle innumerevoli inchieste giudiziarie – è praticata da alcuni (ma quanti?) fra i candidati e si svolge – parallela e birbante – nei giri consumati di sera tardi, negli accordi sotto banco, nel do ut des perfido e incipiente, nelle promesse malandrine condite da brevi, impercettibili cenni del capo».
L’IMPORTANZA DEL TERRITORIO. Spiega un investigatore: «Non è vero che il voto comunale a Napoli interessa ai boss meno di quello regionale o nazionale. Anzi, sul piano della opportunità di segnare il territorio e marcare la propria presenza, è ritenuto dalla malavita un voto ben più delicato e importante degli altri».
Che cosa chiede il boss a chi intende entrare in Consiglio o fare il sindaco?
E che cosa offre in cambio? Quali tecniche usano oggi i clan per condizionare il voto?
Come si modernizzano i trucchi escogitati fuori e dentro alle urne perché venga eletto chi dicono loro e non altri?
CASE, 80 MILA SONO ABUSIVE. Tra i comparti più appetiti dai boss c’è di sicuro quello della casa.
In Campania sono 80 mila gli alloggi abusivi: un “boccone del re” su cui non è pensabile non tentare di mettere le mani.
Poi il business delle occupazioni pilotate. E gli affiliati che si impadroniscono (con la violenza) delle case popolari. Tolleranza zero oppure no? Per i boss come la pensi un sindaco al riguardo non è roba da poco.
Ancora: la scuola, con le guardianie e i finti custodi da imporre ai presidi perché fungano da sentinelle sul territorio. E l’arcipelago dell’assistenza, che in una metropoli povera costituisce un giro di milioni tale da suscitare enormi appetiti.
Il business dei migranti vale 50 milioni di fondi Ue all’anno
Un altro comparto da assaltare è l’accoglienza ai rifugiati e stranieri.
La Regione Campania dirotta i fondi dell’Unione europea ai Comuni per predisporre l’accoglienza dei migranti.
Si tratta di circa 50 milioni all’anno, cioè poco meno di 140 mila euro al giorno.
Se ti voto, tu poi favorisci la mia cooperativa che gestisce i centri.
Da cuccagna è anche il comparto delle bonifiche, che in un’area avvelenata come la periferia di Napoli costituisce il più fiorente eldorado cui si aggrappano i clan di primo livello.
SERVONO AMICI IN POLITICA… Racket, usura, estorsioni, prostituzione. E droga, soprattutto e sopra tutti.
Insomma: l’eterno business di Malavita ha bisogno di amici e comparielli, di connivenze, tolleranze e occhi chiusi.
I boss sanno che è al voto che si decide chi sarà padrone e chi sotto.
Il codice di auto-regolamentazione? I candidati impresentabili?
«Ma per piacere», sbotta don Biagio, «le regole valgono, – anzi, dovrebbero valere – per le liste dei partiti, ma non per quelle civiche che infatti proliferano. Quanto costa farsi eleggere? Prendi appunti, che te lo spiego».
UN EURO A MANIFESTO. Per i manifesti don Biagio dice che ogni clan ha la sua zona (come per le imprese di pompe funebri) e che ciascun candidato che voglia affiggere fuori zona deve versare un euro a manifesto nelle mani di chi lì comanda.
È possibile sottrarsi a tale estorsione? I candidati assicurano di sì, ma ci sarà da verificare se i magistrati la penseranno allo stesso modo.
Delle “tariffe” imposte dai boss si sussurra sottovoce: 100 voti costano 3 mila euro.
E la fattura? «Diciamo che hai pagato i manifesti. Più un euro a manifesto che costa l’assicurazione». L’assicurazione? «Sì, vuol dire che se non la paghi ti ritrovi i manifesti stracciati entro un’ora».
STRANE ”MIGRAZIONI” DI MASSA. Poco, anzi nulla, si sa di eventuali indagini per verificare quanti cambi di residenza vengano richiesti nel periodo pre-elettorale in atto: le “migrazioni” costituiscono da sempre una piaga diffusa e spudorata, grazie alla quale la camorra controlla (e compensa) l’andamento del voto pilotato nei diversi quartieri.
Il “pacchetto” dei servizi appare aggiornato alle nuove esigenze: si va dalle autocertificazioni anti-mafia al lavoro di “persuasione” da effettuare fuori ai seggi, dal monitoraggio per scoprire chi ha fatto il furbo e si è astenuto fino all’accompagnamento (imposto) dei disabili o degli elettori più anziani e alla scheda cosiddetta “ballerina”, cioè rubata o mai imbucata, che passa di mano in mano con su scritto il nome del candidato da “portare”.
Tra i 6 mila candidati si nascondono i prestanome dei clan
«I candidati al Comune di Napoli sono poco meno di 6 mila», racconta un ex scrutatore, «accertarsi che qua o là non si annidino anche prestanome di camorra è impossibile».
E aggiunge, convinto: «Sembra incredibile, ma in alcuni rioni di Napoli la miseria incombe e il voto si compra ancora con un piatto di pasta. O con un panino o una spesa fatta al supermercato».
Isaia Sales, storico del fenomeno della criminalità al Sud, ha ribadito alla presentazione del libro di Gigi Di Fiore La camorra e altre storie: «Prevenzione e repressione funzionano, ma nulla, e tantomeno il voto, sarà mai libero nei rioni di Napoli se prima lo Stato nazionale non si decide a trasformarne profondamente il miserabile contesto».
27 COMUNI SORVEGLIATI. Napoli soffre. Ma nei dintorni non va affatto meglio.
A marzo 2016 il prefetto di Napoli Gerarda Pantalone ha avvertito che in provincia «ci sono 27 Comuni sorvegliati speciali, cioè sospettati di essere amministrati da personaggi in contatto diretto o indiretto con la criminalità organizzata».
In alcune delle amministrazioni “sotto tiro” (11 a conduzione civica, otto a guida Pd, sette di centrodestra, uno con sindaco grillino) si vota il 5 giugno.
Quante probabilità ci sono che l’elezione sarà libera? Il peggio è che l’ombra delle infiltrazioni criminali si proietta perfino sugli organismi istituzionali che dovrebbero “garantire” la trasparenza.
OMBRE SUGLI ANTI-CAMORRA. Alla commissione anti-camorra della Regione Campania, per esempio, il presidente eletto Monica Paolino di Forza Italia si è dimessa in quanto indagata per voto di scambio; il nuovo presidente Carmine Mocerino (lista per Caldoro), eletto il 3 marzo 2016, non è indagato ma risulta citato da un capoclan che – parlando con la moglie al telefono – annuncia che per riconoscenza voterà la sua candidata e non la propria nipote (che pure è candidata) e che bisognerà far sì che nelle urne tutti si comportino in tal modo.
Millantato credito? Asserzioni prive di riscontri? Sembra di sì, ma anche per Mocerino, come per la Paolino, il Movimento 5 stelle ha chiesto le dimissioni.