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Pino Grasso e Francesca Franzè,Testimoni di Giustizia,sono da oggi i responsabili in Calabria dell’Associazione Caponnetto

E’,questa,una nota vecchia uscita su un sito della Calabria e della quale hanno parlato molti altri media.

La riportiamo perché essa ,in maniera succinta ma chiara,ben evidenzia il tipo di trattamento riservato a questi due TESTIMONI DI GIUSTIZIA,marito e moglie,dalla Prefettura di Vibo Valentia.

Dalla data della sua pubblicazione la situazione di questi due nostri amici non é affatto cambiata.

Anzi,purtroppo,é ancor più peggiorata.

Il Prefetto attuale si sta comportando con essi alla stessa stregua di quello precedente.

Bene,anzi male.

Questo Prefetto sappia sin da ora che da oggi in avanti ogni ingiustizia subita dai due Testimoni di Giustizia é come se fosse fatta all’Associazione Caponnetto la quale reagirà con tutte le modalità previste dalle leggi.

I due Testimoni di Giustizia da oggi in avanti rappresenteranno ufficialmente l’Associazione Caponnetto in Calabria.

SEGUE TESTO DELLA NOTA CUI ABBIAMO FATTO CENNO:

“ LA MAFIA FA SCHIFO “…..MA LO STATO MANCU CUGLIUNIA O CUGGHIUNIA!!!!!!!

lunedì 25 ottobre 2010

Protesta dei testimoni di giustizia Franzè e Grasso: “non andremo più ai processi”

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Rivendicano sicurezza e protezione i due testimoni di giustizia, Francesca Franzè e Pino Grasso, marito e moglie

25/10/2010 I testimoni di giustizia Francesca Franzè e Pino Grasso, marito e moglie, protestano da stamattina, davanti alla prefettura di Vibo Valentia: «Non mi muoverò da qui – ha affermato la donna – sino a quando non otterrò quello che mi spetta. Mi hanno bloccato le spettanze da luglio dicendo che io e

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mio marito siamo vittime solo di un episodio di usura e non di estorsione, quando la settimana scorsa i giudici di appello di Catanzaro hanno confermato le condanne per i due reati a tre imputati in uno dei tronconi del processo ‘Odisseà, grazie alle nostre testimonianze. Voglio sapere perchè per i giudici siamo credibili e per la prefettura, lo Stato, no».

«Siamo decisi a non andare ai processi – ha aggiunto Francesca Franzè – sino a

quando non scenderà qualcuno da Roma per rendersi conto di quello che sta succedendo qui da noi». La donna, dopo aver ricordato la vicenda della testimone di giustizia Lea Garofalo sciolta nell’acido, critica la Prefettura «per aver ridotto la scorta al marito, al quale non è stata più concessa la macchina blindata ma solo la scorta su una macchina normale con due uomini». «Così facendo – sostiene Francesca Franzè – si mette a rischio non soltanto la vita di mio marito ma anche quella di due ragazzi».

Rivolgendosi al prefetto Luisa Latella, la donna chiede «Che diritto ha lei di mettere a rischio la vita umana? Dove sono andati a finire i fondi antiracket? Io voglio solo lavorare. Ho aperto una nuova società e ho diritto ad un contributo che non mi hanno dato».”