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Perché dobbiamo parlare e resistere: uno degli ultimi appelli di Gigi Daga alla gente onesta

Abbiamo deciso, d’intesa con il direttore di questo giornale, di assumerci la responsabilità di lanciare un grido di dolore per tutto quanto sta accadendo nella nostra terra. Qui c’è la storia delle nostre radici, qui è l’avvenire dei nostri figli. Non vogliamo essere maledetti dalle future generazioni per il disastro che lasciamo loro in eredità. Ce ne hanno già dette e ce ne diranno. “Siamo gente che vuole usare la mafia per mettersi in mostra” oppure che con la nostra azione “danneggiamo il nostro territorio, facciamo procurato allarme, cacciamo turisti ed investitori”. Noi invece vogliamo resistere all’assalto della criminalità organizzata e alla sua contiguità con una parte, purtroppo ampia, della politica, perché amiamo la nostra terra. Non è facile scrivere di mafia in questo paese perché quello che scrivi e dici ti viene fatto pagare, sempre. Alcuni esponenti della nostra Associazione sono stati minacciati, altri aggrediti e percossi, a molti vengono intentate cause giudiziarie per chiedere risarcimenti milionari, altri ancora vengono diffamati con accuse

inventate allo scopo. Siamo sottoposti agli attacchi comprensibili della mafia, ma veniamo denunciati anche da sindaci ed assessori che dovrebbero stare dalla nostra parte; anche questo è comprensibile. Tutti insieme vogliono indurci al silenzio. Noi invece continuiamo a parlare, collaborando con le forze dell’ordine e con la magistratura antimafia, perché il silenzio è complice. Il paese ha bisogno che i cittadini diventino una folla di persone che leggono e parlano perché bisogna far circolare le notizie e le idee. Significa dare coraggio a chi è impaurito, ma soprattutto, come dicono Roberto Saviano e Pietro Grasso, perché le parole possono mettere in crisi organizzazioni criminali potenti capaci di contare su migliaia di delinquenti e su capitali enormi, che fatturano 200 miliardi di euro l’anno. E’ la diffusione della parola e della notizia a mettere loro paura.
(Tratto da Tarquinia Città)