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Per fare in modo che la nostra non continui ad essere la Regione delle anime morte, bisogna portare avanti un nuovo modello di fare antimafia, un’antimafia della ricerca e della denuncia e non del racconto

Un Paese di anime morte che, anche nelle sue elites, anziché all’impegno ed alla partecipazione, si affida al ricordo, alla narrazione dei fatti vecchi ed alle commemorazioni.

Come panacea ai mali che ci travolgono.

Minuto dopo minuto.

Che si affida alla sociologia ed al politicume.

Non comprendendo che i mali sono attuali, fra noi stessi e che si chiamano inedia, abulia, inerzia, vuoto.

Morte.

Civile e morale.

Ed anche della politica.

Nel senso nobile della parola.

Un Paese che si affida al ricordo del passato –che comunque non va mai dimenticato perché un paese senza memoria è un paese senza futuro -, incapace, però, di costruire un presente e, soprattutto, un futuro.

Noi siamo degli estimatori, delle persone riconoscenti nei loro confronti, di Falcone, Borsellino e di quanti altri hanno rimesso la vita per combattere caste e mafie.

Che spesso –per non dire sempre – sono la stessa cosa.

Ma non si può continuare a fare antimafia raccontando la storia di Falcone e Borsellino.

L’antimafia è una cosa seria, che va sostanziata da un impegno continuo, quotidiano, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, nel dare la caccia ai mafiosi, a quelli veri e non solo a quelli con la coppola che forse sono quelli meno pericolosi perché rappresentano la manovalanza, la parte brutale ma esecutrice di ordini che provengono dall’alto.

L’”alto”, la vera mafia, quella in giacca e cravatta, che si annida nei partiti, nelle istituzioni, nelle professioni, nei cittadini.

Nel Parlamento, nel governo, nei consigli regionali, provinciali e comunali, nei consigli di amministrazione, negli enti e così via.

Un Paese di dormienti, di persone, quelle considerate le più attive e migliori, che pensano di combattere le mafie stando dietro le scrivanie e sui palchi.

Casta fra le tante caste, che, purtroppo, costa anch’essa allo Stato ed a noi stessi.

Lasciamo questo compito ai media e non nutriamo la presunzione di sostituirli.

Noi siamo chiamati ad altro compito, magari in sinergia con essi, ma con finalità e metodologie diverse.

L’antimafia delle “visure camerali”, quella dell’investigazione continua, della ricerca e della denuncia, che non è l’antimafia del ricordo e della narrazione.

E’ tutt’altra cosa, un modello diverso.

L’antimafia sul campo, della caccia ai patrimoni sporchi, o meglio ai patrimoni che erano sporchi e che sono stati ripuliti con vari passaggi fatti con la complicità passiva od attiva delle anime morte o dei corrotti e dei sodali.

L’antimafia che agisce spalleggiando magistratura e forze dell’ordine, che non possono e non debbono essere lasciate sole a combattere contro la piovra.

Solo così si può coltivare la speranza di sconfiggere le mafie moderne, quelle dei capitali e dei corrotti che stanno anche nelle pieghe della politica.

E questo spetta ai cittadini, a tutti i cittadini onesti che non possono continuare a stare alla finestra aspettando gli eventi.

Se non vogliono fare parte di quella categoria delle anime morte.