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Parola di poliziotto: “Mi distaccarono volutamente alla cattura di Giovanni Brusca”

Il Fatto Quotidiano

Parola di poliziotto: “Mi distaccarono volutamente alla cattura di Giovanni Brusca”

Due agenti in pensione, parenti di uomini di scorta vittime di mafia, accusano la gestione dell’ex questore di Palermo La Barbera, dominus del depistaggio di via D’Amelio

di Giuseppe Lo Bianco | 22 APRILE 2021

Il boss Giovanni Brusca? “Mi distaccarono volutamente, dico volutamente, alla sua cattura: forse pensavano che io preso dall’ira mi sarei tolto un sassolino dalla scarpa, e cioè gli sparassi. Forse qualcuno voleva questo, forse non si doveva catturare vivo”, dice Luciano Traina, ispettore in pensione della Polizia, fratello di Claudio, agente della scorta di Borsellino ucciso in via D’Amelio. Che aggiunge: ”E’ un pensiero che mi porterò sempre dietro, e sapendo chi era La Barbera questo pensiero si è fortificato’”.

Il questore La Barbera? Alla squadra mobile di Palermo “io ero una spina nel fianco, accadevano cose che non mi erano gradite”, aggiunge Carmine Mancuso, ispettore in pensione anch’egli, figlio di Lenin, ucciso nel 1979 con il giudice Cesare Terranova. E rivela: “Stavamo al piano rialzato della Mobile, dall’oggi al domani il mio ufficio venne trasferito per motivi di sicurezza alla caserma Pietro Lungaro. Fu un’escamotage perché bisognava togliere gli elementi che davano fastidio a questo programma perverso che poi riporta alla fine a Scarantino. Tutti quelli che abbiamo avuto a che fare con Scarantino, eravamo schifati dal fatto che questo ladro di polli è diventato l’uomo che organizza la strage di via D’Amelio, accreditato da fior di magistrati antimafia, colpevolmente, a cominciare dal procuratore di Caltanissetta (Giovanni Tinebra, ndr)”.

Dai familiari di due vittime di mafia, poliziotti per decenni a Palermo, invitati ad un dibattito da un’emittente privata di Palermo affiorano ricordi ricchi di dettagli inediti sul ruolo dell’ex questore Arnaldo La Barbera, dominus del depistaggio di via D’Amelio: se viene difficile pensare che a quattro anni dalle stragi qualcuno a Palermo credeva di fare la lotta alla mafia trasformando i poliziotti in serial killer, le parole di Luciano Traina, autore oggi di una dettagliata autobiografia con Domenico Rizzo dal titolo ”Vi abbraccerei tutti”, restituiscono il clima di sospetti, diffidenze e ambiguità vissuto alla squadra mobile di Palermo (ma anche l’atteggiamento del Prefetto Parisi) negli anni del dopo stragi, quelli segnati dal più clamoroso depistaggio della storia italiana, che oggi vede imputati tre sottufficiali di quella squadra mobile, in un contesto in cui altre e più alte responsabilità di quel “programma perverso” nella catena di comando del Viminale restano ancora tutte da accertare. Anche nelle potenziali “coperture” al depistaggio utilizzando i trasferimenti “per motivi di sicurezza” per neutralizzare il dissenso dai metodi “disinvolti” di La Barbera, che, come scrivono i giudici nella sentenza del Borsellino Quater “ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la Giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa”.

Mancuso ha rivelato anche di essere stato trasferito improvvisamente con la famiglia (compresa la madre) per sei mesi ”per motivi di sicurezza” in un paesino delle Alpi, dove c’era la scuola alpini della polizia. “Alla fine ho capito che il gioco non mi piaceva – ha rivelato in tv – chiamai Parisi e gli dissi: eccellenza, me ne frego di essere ammazzato, me ne torno a Palermo, accada quel che accada. Ecco le cose come andavano a Palermo regnando il signor La Barbera”. Che, da questore di Palermo, il giorno dopo la cattura di Brusca, invece di complimentarsi con Luciano Traina, come aveva fatto il questore di Agrigento, Antonio Recchioni, lo chiama per contestargli un’intervista al settimanale OGGI in cui l’ispettore si sarebbe vantato di “avere messo le manette al boia di mio fratello”. “C’era una foto di Brusca con il volto tumefatto, ma l’intervista era inventata, io avevo parlato solo con un giornalista del TG5, senza dire nulla di ciò che aveva pubblicato OGGI – ha detto Traina – La Barbera mi trattò come uno straccio, a pesci in faccia, quasi quasi mi ha istigato al suicidio”. Eppure il giorno prima il fratello di Claudio Traina si era trovato faccia a faccia con Brusca, nella villa di Cannatello, dimostrando una freddezza professionale non comune riconosciuta dal questore di Agrigento: “Quando ho scavalcato la finestra della villa di Cannatello me lo sono trovato davanti – ha raccontato in tv – una mano appoggiata al frigorifero, l’altra impugnava il cellulare. Ci siamo guardati negli occhi ed è stato un attimo, non era armato: se avesse fatto un gesto inconsulto non ci avrei pensato due volte (a sparargli, ndr), ma prima di essere un poliziotto sono un uomo e non esiste che si possa sparare a una persona inerme”.