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Parla il procuratore De Raho: “Qualcosa non ha funzionato”

Il Fatto Quotidiano, Giovedì 27 dicembre 2018

Parla il procuratore De Raho: “Qualcosa non ha funzionato”

di MARCO LILLO

Qualcosa potrebbe non avere funzionato. Questa è la sensazione del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, fino al 2017 capo della Procura di Reggio Calabria.

Procuratore De Raho, come è stato possibile uccidere in pieno centro di Pesaro un uomo protetto dallo Stato? Le modalità dell’omici dio fanno pensare a una vera e propria esecuzione di stampo mafioso, programmata e portata a segno da un gruppo di killer. I familiari dei collaboratori sono trasferiti in località lontane per impedire che siano colpiti. Qui l’in f o rm azione sul luogo di residenza è giunta ai killer che hanno avuto modo e tempo di programmare l’omicidio. Qualcosa potrebbe non avere funzionato.

Cosa potrebbe essere accaduto? Bisognerà scandagliare i comportamenti precedenti della vittima per capire se effettivamente siamo di fronte a una morte evitabile e se quindi la responsabilità vada attribuita al meccanismo di protezione non adeguato, ovvero se la persona sottoposta a protezione si è esposta da sola. Bisognerà verificare se siano state osservate le regole del contratto di protezione.

Perché la vittima non aveva cambiato le generalità. Non è obbligatorio? Non sempre. Quando il rischio del familiare non è considerato troppo alto si può ritenere sufficiente spostarlo dal luogo in cui agisce tipicamente l’organizzazione.

Bruzzese aveva il cognome sul campanello. Il sindaco di Pesaro e i vicini non ne sapevano nulla e ora hanno paura, chiedono se ci siano altri collaboratori in città. Le province come Pesaro sono scelte perché sembrano meno colpite dal fenomeno delle mafie. Il fatto che il sindaco e i vicini non sapessero nulla della presenza di Bruzzese fa pensare che il sistema almeno in questo abbia funzionato. Il punto è capire come siano arrivati all’alloggio. La casa viene acquisita sempre mediante circuiti che assicurano la segretezza. Il familiare dovrebbe essere seguito con contatti frequenti dal Nucleo operativo protezione provinciale. La commissione centrale presieduta dal sottosegretario all’Interno Luigi Gaetti, composta da appartenenti alle forze dell’ordine e anche da due magistrati del mio ufficio, sulla famiglia Bruzzese non aveva ricevuto segnalazioni di sospetti.

Marcello Bruzzese, già nel 1995, era stato ferito in un agguato nel quale era stato ucciso il padre Domenico. Il fratello di Marcello, Girolamo Biagio, non è un pentito qualsiasi. Si costituì nel 2003 subito dopo avere sparato alla testa al boss Teodoro Crea, ferito gravemente ma sopravvissuto, poi condannato anche per le sue dichiarazioni e finito all’i s o l amento del 41-bis. La cosca Crea è radicata e antica, e vanta anche esponenti sanguinari. Girolamo Bruzzese è collaboratore di giustizia da 15 anni, ma ha reso dichiarazioni anche di recente. Per esempio nel processo che si è chiuso con una sentenza di condanna in appello, ora all’esame della Cassazione, con pene dure nei confronti di Teodoro e Giuseppe Crea. Quindi anche il fratello di Girolamo era soggetto all’a t t e nzione del servizio di protezione. Però, le ripeto, non era stato segnalato alcunché. La Direzione Nazionale Antimafia dopodomani (domani per chi legge, ndr) farà una riunione con la Procura di Ancona, competente sull’omicidio, e la Procura di Reggio Calabria, che detiene le conoscenze utili per agevolare l’investigazione.

Sarebbe meglio obbligare i soggetti protetti dallo Stato a cambiare il cognome? I figli piccoli sarebbero costretti a cambiare cognome durante un corso scolastico. All’appello dovrebbero rispondere con un cognome di verso in un’età in cui non hanno la capacità di gestire un cambio di generalità. Oltre al disagio si produrrebbe anche un effetto opposto sulla segretezza della presenza di un collaboratore in città.

Non è il primo caso: a maggio un commercialista emiliano, collaboratore di giustizia nell’inchiesta sulla cosca Grande Aracri, è stato picchiato a sangue in un domicilio che doveva essere segreto. La ’ndrangheta ha deciso una campagna contro i pentiti? La ’ndrangheta è certamente l’organizzazione più pericolosa per la sua ricchezza e anche per la capacità organizzativa che le permette di operare in molte zone d’Italia. Però non mi sembra una novità. Ci sono stati episodi in passato anche in Calabria. Per questo è importante la capacità di reazione del dispositivo di protezione. Un anno e mezzo fa, proprio grazie alla continuità del rapporto con il nucleo operativo di protezione, un collaboratore calabrese è sfuggito a una possibile minaccia e il suo domicilio è stato immediatamente cambiato.