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Ospedali e vigilantes tutte le assunzioni controllate dal clan

IL Mattino, Lunedì 1 Luglio 2019

Ospedali e vigilantes tutte le assunzioni controllate dal clan

Leandro Del Gaudio

Altro che tutor, altro che agenzie interinali, di quelle che offrono lavoro a chi presenta curriculum e tanta voglia di fare. Quelli del clan Contini gestiscono impieghi e occupazioni, controllano buste paga, trattano situazioni previdenziali, si occupano di ferie e di malattia. Fatto sta che quello delle assunzioni è un capitolo decisamente a parte, a leggere le carte della retata a carico dell’Alleanza di Secondigliano, sponda Contini. Prima i pentiti, poi le intercettazioni hanno svelato il trucco delle assunzioni in ditte private al lavoro per ospedali, nell’aeroporto di Capodichino, finanche in Asia, insomma in buoni rapporti con la pubblica amministrazione. Partiamo dalle indagini su alcuni esponenti della famiglia di Salvatore Botta, uomo forte dei Bosti-Contini, a sua volta formalmente assunto in una ditta che lavora al San Giovanni Bosco, quindi capace – dicono ancora i pentiti – di condizionare negli anni scelte amministrative (come l’apertura di reparti) e di controllare le strategie dei sindacati. E sentiamo il racconto del pentito Vincenzo De Feo: “Nicola Botta, figlio di Salvatore, lavora in un’impresa di pulizia all’aeroporto di Capodichino. Suo fratello Enzo lavora in un’altra impresa di pulizia nell’ospedale San Giovanni Bosco e gioca a calcetto a 5 nella squadra del Napoli. Anche il figlio di De Luca Gennaro, di nome Pasquale lavora nella stessa impresa di pulizie dell’ospedale San Giovanni Bosco e gioca nella stessa squadra di calcetto. Altro figlio di Salvatore Botta, Antonio, lavora al cimitero, in altra impresa di pulizie. Poi c’è un altro figlio di Salvatore Botta, di nome Marco, che lavora come guardia giurata a Capodichino, di fronte ad un Rent a Car di furgoni. Sempre come guardia giurata lavora Nicola Botta figlio di Antonio, nipote di Salvatore Botta. Invece il genero di Salvatore Botta e altri familiari che indicherà lavorano presso la società Asia che raccoglie la spazzatura a Napoli”. Un racconto che rende necessaria una premessa: i vari esponenti della famiglia Botta o De Luca tirati in ballo dal pentito De Feo vanno considerati estranei all’inchiesta culminata nell’emissione di 125 misure cautelari, anche se la Dda di Napoli ha deciso di aprire un faro investigativo sul capitolo assunzioni. Ditte di pulizia, società di vigilantes, ma anche alcuni casi di assunzioni in Asia (parliamo della partecipata del Comune che si occupa di raccolta di rifiuti), sono oggi al vaglio della Procura. Inchiesta condotta dal pm Ida Teresi, ma anche grazie al lavoro dei pm Alessandra Converso e Maria Sepe, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, si parte dal caso di Nicola Botta, figlio del boss Salvatore detto l’infermiere, che avrebbe fatto valere il suo spessore criminale nei confronti della ditta di pulizie in cui era stato assunto. Minacce, violenza, metodi estorsivi nei confronti della ditta Gierre srl, nella quale Nicola Botta risultava formalmente assunto. In sintesi, Botta jr resta in malattia per un intervento chirurgico, ma non accetta le soluzioni adottate dai responsabili dell’azienda e li minaccia che “se perde la mesata” sono dolori per tutti. Scrive il gip Roberto D’Auria, che le intimidazioni dell’impiegato spingono i responsabili della ditta a fare carte false a regalare alcuni giorni di lavoro fittizi a un dipendente che era originariamente a rischio licenziamento.

GLI STIPENDI

Un clan strutturato e radicato, capace di entrare nei gangli della pubblica amministrazione e di far girare soldi a più livelli. Un clan militare, ma anche un clan azienda, dove ai vertici si incassano stipendi da manager. Ed è ancora il pentito Vincenzo De Feo – una decina di anni fa – ad indicare come funzionano gli stipendi: 8.000 euro mensili è lo stipendio garantito ai vertici del clan; e dalle intercettazioni si è appurato che alla signora Rosa Di Munno (una delle cinque donne boss, secondo l’ultima ordinanza, assieme a Maria Licciardi e alle tre sorelle Aieta) incassava 8mila euro al mese, anche se le mesate sono differenziate, a secondo dei compiti e dell’importanza rivestita all’interno del clan: si va dai 2500 euro al mese, ai 5-6mila euro al mese per coloro che fanno le estorsioni e che sparano; fino agli ottomila euro al mese per responsabili del calibro di Peppe Ammendola”.

LE GRIFFE

Altro capitolo su cui battono gli inquirenti in queste ore riguardano le griffe, le marche di capi di abbigliamento che entrano in città attraverso un canale preferenziale fatto di negozi nati con investimenti del clan, ma anche di uomini specializzati in questo settore. Sono centinaia i nomi che entrano nelle informative dei carabinieri (ma al lavoro anche la Mobile e la Finanza) per chiudere i conti con il clan Contini. Sotto i riflettori supermercati, garage e ancora pub e ristoranti nati come lavatrici dei proventi di droga, usura e estorsioni.