Operazione “Medoro”, il giornalista Klaus Davi: “Io monitorato e pedinato dal clan dei Mancuso. Non è più solo una mia denuncia, ora emerge da un’ordinanza”
05/09/2022, 14:49
Sono stato monitorato e pedinato dal clan dei Mancuso. Questa circostanza, di cui io avevo avuto sentore e che avevo denunciato, ora sta scritta in un’ordinanza, riferita dalla vittima di un’estorsione”. Così all’Adnkronos il giornalista e massmediologo Klaus Davi, riferendosi a quanto emerge dall’ordinanza di misura cautelare emessa dal gip del Tribunale di Milano nell’ambito dell’operazione “Medoro”, condotta dalla Dda, che ha portato all’arresto di quattro persone e alla chiusura di indagine nei confronti di 27 persone legate alla ‘Ndrangheta: lui e il pentito Emanuele Mancuso, testimone chiave del processo ‘Rinascita Scott’, sarebbero stati monitorati a Milano in viale Monza in compagnia di un terzo giornalista non meglio identificato.
Coordinata dal pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti, l’indagine ha colpito il gruppo ‘ndranghetista legato alla famiglia Mancuso di Limbadi di Vibo Valentia. Il particolare del presunto incontro tra Klaus Davi ed Emanuele Mancuso emerge da un interrogatorio di una vittima delle presunte estorsioni del clan Mancuso che, rispondendo alle domande del pm, racconta: “Luigi Aquilano poi mi mostra una foto di un ragazzo dicendomi ‘un nostro parente, che è figlio di Pantaleone Mancuso, tale Emanuele Mancuso, è diventato pentito. Questo è stato visto a Milano in Viale Monza con Klaus Davi ed un altro giornalista”.
“Un conto sono le mie denunce un conto è se emerge da un’ordinanza – spiega Davi – L’ordinanza dice che i Mancuso ci pedinavano in Viale Monza con tanto di foto, hanno visto insieme me ed Emanuele Mancuso, il pentito chiave di ‘Rinascita Scott’, e questo lo recepisce l’autorità giudiziaria. Io mi sentivo monitorato ma non sapevo da chi: qui per la prima volta si fa un riferimento preciso anche a un pentito importante”.
“Io – ribadisce il giornalista – presumevo di essere seguito, vedevo gente che mi osservava in metro, ma questo può passare per un delirio. Diverso è vederlo scritto nero su bianco in un’ordinanza in cui si dice che i Mancuso mi pedinavano e dichiarano di essere in possesso di una foto che mi ritrae insieme con il pentito Emanuele Mancuso, che non è più uno di loro ma un collaboratore. Questa foto non l’ho mai vista”. “Questo non è che l’ultimo anello – ricorda infine il giornalista – prima c’era stato l’episodio del ritrovamento, da parte della Guardia di Finanza e del Gico, del mio libro nel covo del latitante Pino Campisi al Tuscolano, come documentato dalla stessa Gdf in un video. Poi, solo pochi mesi fa, la procura di Roma svelò che il clan Alvaro mi minacciava pesantemente per la mia intenzione di promuovere una campagna pubblicitaria contro la ‘Ndrangheta nelle fermate della metro romana”.