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.Onorano Falcone ma poi dimenticano il 41 bis. IPOCRISIA E RETORICA LA FANNO DA PADRONE ASSOLUTE. Onorano Falcone ma poi dimenticano il 41 bis

Domenica 14 maggio 2017

di Lirio Abbate

Il 23 maggio e poi il 19 luglio ricorderemo come 25 anni fa gli uomini di Cosa nostra hanno ucciso Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro. Uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita per combattere la mafia.
A parole siamo tutti bravi a ricordare e a pontificare sulla lotta alla mafia. Ma negli ultimi anni la teoria contrasta con la pratica. Perché mentre ci sono uomini delle istituzioni, magistrati e politici che si battono il petto con la mano, in segno di dolore, pensando a queste stragi, e alle vittime innocenti, c’è invece chi vanifica le forti azioni di contrasto che sono nate proprio dal sangue di Falcone e Borsellino. E lo fa non certo per dolo. E nemmeno per volontà di favorire le mafie. La loro azione è legale, ma di fatto provoca un indebolimento dell’azione contro la criminalità organizzata.
Di cosa si tratta? La risposta è semplice. I boss sottoposti al 41 bis, il duro regime carcerario varato 25 anni fa dopo le stragi, per impedire ai mafiosi detenuti di lanciare messaggi e ordini dal carcere, isolandoli, oggi viene stravolto da provvedimenti firmati da alcuni magistrati di Sorveglianza. Sono i giudici che hanno competenza sull’esecuzione della pena in carcere.
Racconto su L’Espresso in edicola oggi, una serie di episodi che sono accaduti negli ultimi anni in cui il 41 bis viene aggirato, stravolto, e a nulla valgono le regole imposte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dai direttori delle carceri.
E così i capimafia detenuti in base alla speciale norma penitenziaria del 41 bis, dal 2009 ad oggi vengono sempre più spesso accompagnati a casa. In questo modo possono riabbracciare parenti e familiari, grazie ad uno speciale permesso che viene accordato dal magistrato di Sorveglianza il quale accoglie le richieste del detenuto. Non ci sono vetri divisori o stanze isolate come previsto dal 41 bis. Il boss lascia per alcune ore il carcere di massima sicurezza per andare a casa. E qui inizia il viavai. Come in una processione.
Non basta la nutrita scorta della polizia penitenziaria per tenere lontani curiosi e compari, il boss è a casa sua, e qui è il padrone. E da padrone si comporta. Il segnale è stato lanciato, il padrino per la gente del suo paese è tornato. E quello che dopo le stragi si voleva tentare di contrastare, oggi sembra restare forte solo sulla carta.
Perché i mafiosi a forza di carte bollate e istanze ben motivate possono ottenere lo stravolgimento del 41 bis, il regime carcerario da sempre contrastato dalle mafie – perché ne hanno paura – diventato per legge molto rigido nel 2009. E così a venticinque anni dalle stragi tornano le commemorazioni, gli omaggi, i riti laici e religiosi.
L’insegnamento di Falcone e Borsellino nella lotta alla mafia viene sempre più disatteso e tradito a colpi di carte bollate e timbri, ma solo in pochi sembrano accorgersene. Gli altri guardano alla luna.

fonte:mafie.blogautore.repubblica.it