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Omicidio Caccia, Repici: ”La verità non può andare in archivio”

Omicidio Caccia, Repici: ”La verità non può andare in archivio”

“Un delitto da riqualificare col termine di cospirazione”

di Aaron Pettinari

“Dietro alle indagini sull’omicidio Caccia, tutt’oggi, vi sono delle lacune e che queste siano mantenute è uno sfregio alla memoria”. Non usa mezze misure Fabio Repici, avvocato della famiglia di Bruno Caccia (il procuratore capo di Torino, assassinato la sera del 26 giugno 1983), intervenuto questa mattina in videocollegamento davanti alla Commissione legalità del Comune di Torino.
Il legale,
così come aveva già fatto nel dicembre 2018 ha ripercorso l’intera vicenda ricordando come per il delitto, ad oggi, siano stati condannati in via definitiva uno dei mandanti, Domenico Belfiore, ed uno degli esecutori materiali, Rocco Schirripa. “A 37 anni dal delitto – ha spiegato Repici – non consociamo ancora i nomi di tutti i killer, le ragioni del delitto e l’identità dei mandanti. Dunque sappiamo pochissimo sull’omicidio”. Il motivo? Secondo l’avvocato la causa è da ricercare nelle attività giudiziarie “lacunose”, soprattutto subito dopo il delitto. Durante i lavori in Commissione sono intervenuti anche Paola, Cristina e Guido Caccia, i tre fratelli che da anni portano avanti una battaglia per la ricerca della verità che non si esaurisce nei due processi già definiti.
Come ha confermato lo stesso Repici vi sono ulteriori filoni investigativi che potrebbero permettere l’individuazione di ben altri responsabili.
Al momento prosegue l’inchiesta della Procura generale di Milano, nei confronti dell’ex militante di Prima Linea
Francesco D’Onofrio, accusato di essere stato uno dei partecipanti all’agguato.
Un’indagine, condotta dal sostituto procuratore generale
Galileo Proietto, che, ha ricordato Repici “ha colmato alcune lacune, grazie all’audizione dei figli del Procuratore Caccia e, in base a quanto si apprende da notizie giornalistiche, starebbe proseguendo”.

In questi anni abbiamo provato in tutti i modi a convincere l’autorità giudiziaria milanese a sentire i magistrati che nel 1983 lavoravano alla Procura di Torino con Bruno Caccia – ha ribadito Repici – È ragionevole pensare che Caccia potesse aver confidato ai magistrati più vicini a lui a Torino i segnali di pericolo che aveva avvertito e ciò che ne pensava sulla provenienza. Che queste lacune vengano tutt’ora mantenute è uno sfregio alla memoria. Adesso è andato in archivio il processo Belgiore ed anche quello Schirripa, ma la verità in archivio non può andare”.
“Io – ha proseguito il legale – mi sarei aspettato che gli analisti delle vicende giudiziarie e delle vicende della storia prendessero spunto per esercitare le proprie capacità speculative”.

Quel silenzio sul delitto
Durante la sua ricostruzione dei fatti Repici ha anche ricordato come sia ancora aperto il capitolo d’indagine nei confronti di
Rosario Pio Cattafi, soggetto ritenuto vicino all’estrema destra e alla mafia siciliana, e Demetrio Latella (entrambi iscritti nel registro degli indagati per il delitto dal 2 luglio 2015). Un’indagine che di fatto inquadra l’omicidio dell’ex Procuratore capo di Torino all’interno delle indagini che stava svolgendo sul riciclaggio di denaro della mafia al Casinò di Saint Vincent. Il Gip di Milano deve ancora decidere se archiviare o meno l’inchiesta dopo la richiesta avanzata dalla Procura di Milano e l’opposizione presentata dalla famiglia Caccia tramite lo stesso Repici.

Ma vi è di più. Perché dietro ai tanti “vulnus“, secondo l’avvocato della famiglia Caccia, non vi sarebbe solo l’incapacità o l’oggettiva difficoltà nel raggiungere la verità, ma un vero e proprio “indirizzo da percorrere da parte di alcuni”. “Nel 2013 – ha ricordato Repici – durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario a Torino, solo un magistrato riprese le parole dei figli di Bruno Caccia, ribadendo che bisognava dedicare anima e corpo per risalire alla verità e quel magistrato fu Gian Carlo Caselli. La sensibilità mostrata da Caselli – ha aggiunto il legale – non posso dire fu la sensibilità unanime del distretto giudiziario di Torino, ho riscontrato semmai la scarsa attitudine per raggiungere la verità sul delitto. L’omicidio Caccia è il più importante e delicato nella storia torinese. non si possono fare classifiche, ma Bruno Caccia è stato l’unico procuratore della Repubblica ucciso al di fuori della Sicilia e, credo, un delitto così delicato avrebbe necessariamente implicato l’impegno massimo di tutte le istituzioni il cui ruolo è accertare la verità e individuare i responsabili. Eppure è stato l’unico delitto importante nella storia d’Italia in cui le attività di indagini furono svolte non dalla polizia giudiziaria ma dai servizi segreti, il Sisde, che peraltro delegò un mafioso, Francesco Miano, un fatto che sconcerta e che è accertato dal processo contro Belfiore”.

“C” come Cospirazione
L’avvocato Repici ha inoltre ricordato come
 “l’ultima attività che impegnò la Procura di Torino prima dell’omicidio riguardò proprio il casino’ di Saint Vincent e tutti coloro che erano coinvolti nella gestione”. E ha aggiunto: “La morte di Bruno Caccia ha frenato gli sviluppi di quella attività e ha provocato un serio danno alla profondità delle investigazioni e degli sviluppi processuali”.
Mettendo in fila tutti questi elementi, secondo Repici, appare evidente come
“il delitto Caccia va riqualificato col termine di cospirazione. Un termine con il quale, nel linguaggio degli Stati Uniti, si qualificano i delitti che vedono contributi plurimi mirati con lo stesso fine. Al pari di ciò che avvenne negli Usa con l’assassino Kennedy, agli occhi della storia si è cercato di limitare l’accertamento della verità in modo da far dire a qualcuno che Caccia sia stato ucciso solo per iniziativa di un piccolo gruppo criminale, tralasciando invece chi le mosse di quel piccolo gruppo determinarono”.

21 Aprile 2020

fonte:http://www.antimafiaduemila.com/