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Oltre cento i sospettati. L’Antimafia: Maroni non ci aiuta. Fra le prefetture che hanno inviato dati incompleti, quelle di Latina e di Viterbo?

I membri della Commissione sicuri che la lista degli “indegni” si allungherà ancora. La sensazione dei commissari: “Lasciati soli a combattere questa delicata battaglia”. Le prefetture di Mantova, Messina, Agrigento, Bolzano e Catania non hanno risposto

ROMA – La lista nera, di nomi “indegni” ne contiene almeno un centinaio. Consiglieri e assessori regionali, comunali, provinciali. Colletti bianchi invischiati in affari sporchi, alcuni considerati vicini alle organizzazioni criminali, altri perfino parenti di uomini delle cosche. Nei casi meno gravi accusati o condannati per reati di corruzione e concussione. Dalla Calabria alla Lombardia. Ma a fronte di quei cento “sospettati”, dei quali circolano i nomi (e i reati) in via informale a Palazzo San Macuto, nella cassaforte della presidenza dell’Antimafia di fascicoli ne giacciono meno di dieci. I conti non tornano al presidente Beppe Pisanu, qualcosa non quadra, “qualcuno non sta facendo il proprio dovere”.

Pochi, troppo pochi i nomi trasmessi dalle prefetture, in qualche caso solo i condannati in via definitiva, nessun cenno a inchieste in corso, a parentele di un certo peso. Cinque prefetture cerchiate in rosso: sono quelle che non hanno nemmeno risposto all’Antimafia. Mantova, Messina, Agrigento, Bolzano, Catania. Altre 25, stando alle informazioni in possesso della commissione, hanno fornito appunto dei dati parziali o incompleti, comunque insoddisfacenti. Si tratta di Milano, Latina (competenza su Fondi, per esempio), Viterbo, Bergamo, Isernia, Savona, Terni, Enna, tra le altre. E dire che le regionali e le amministrative si sono tenute sette mesi fa.

L’ira di Pisanu è la stessa di tutti i commissari che di quel codice etico sono stati i promotori, da Angela Napoli a Fabio Granata (Fli), da Luigi Li Gotti (Idv) a Laura Garavini (Pd). Nasce dalla preoccupazione per una norma delicatissima disattesa, ma soprattutto dal sospetto. È successo infatti che prima di inviare i loro dossier, i prefetti abbiano chiesto chiarimenti al Viminale. Il ministro Roberto Maroni ha risposto con una circolare, sembra non abbastanza vincolante, come conferma indirettamente la nota ufficiale con la quale l’associazione dei prefetti ieri sera ha risposto all’Antimafia. Pisanu non ha gradito quei ritardi, quei buchi neri, ha chiesto chiarimenti al suo successore al Viminale. È valso poco o nulla. La sensazione di fondo, a Palazzo San Macuto, è che i vertici di una commissione pur dotata di poteri di inchiesta siano stati lasciati “soli a combattere questa battaglia per la legalità e la trasparenza nella politica”. Già per approvare il codice etico, i promotori avevano dovuto scavare trincee e aprire una lunga mediazione col Pdl che opponeva resistenza.

Angela Napoli, in prima linea contro le infiltrazioni, confessa la “profonda insoddisfazione: solo io di nomi di politici collusi ne posso indicare a decine nella mia Calabria, invece ci ritroviamo con una lista di una manciata di consiglieri”. Granata chiama in causa i ritardi di prefetture importanti, “a cominciare da Milano, guidata da quel Valerio Lombardi che all’insediamento, a gennaio, aveva sostenuto che la mafia lì non esiste, peccato che da lì ad alcune settimane con una maxi retata sono finiti all’arresto trecento ndranghetisti tra la Calabria e la Lombardia”. Quel prefetto napoletano molto gradito dal ministro leghista Maroni finisce anche nel mirino del Pd, tra Viminale e prefetture è stato eretto un “muro di gomma”, è l’accusa.

Ma quali sono i nomi finiti comunque sotto chiave nell’armadio blindato di Pisanu? Quali i politici locali che finora rischiano la decadenza? Sette consiglieri regionali, un paio di comunali, praticamente nulla nel mare magnum dell’infinita tangentopoli italica. Sebbene da oggi, dopo la denuncia, i fascicoli – qualcuno è pronto a scommettere in commissione – arriveranno ben più copiosi. La capogruppo democratica Laura Garavini sostiene che in realtà sono ben più dei trenta di cui si è parlato finora. Già prima del voto il Pd aveva fornito all’Antimafia un elenco di 18 candidati “sospettati”. È lei a fare i primi nomi: “Roberto Conte e Alberico Gambino, eletti in Consiglio regionale alle ultime elezioni in Campania, sono stati sospesi a seguito delle pendenze penali (entrambi condannati in primo grado, il primo per mafia il secondo per peculato, ndr) ma ad oggi continuano a percepire le indennità previste per le cariche elettive. Conte era inserito in una lista civetta che sosteneva il candidato del Pdl Caldoro, mentre Gambino era nella lista del Popolo della libertà”. Altri cinque di quella lista dei 18 sono stati poi eletti e risultano oggi in carica. Sandra Lonardo Mastella, alla quale pochi mesi fa è stato revocato il divieto di dimora in Campania per l’inchiesta tuttora in corso sull’Agenzia regionale per l’ambiente. Salvatore Greco, consigliere pidiellino coinvolto nelle inchieste sulla sanità pugliese. Marco Malgrati è consigliere Pdl in Liguria, è stato condannato il 29 novembre 2009 a 9 mesi di reclusione per lottizzazione abusiva in zona sottoposta a vincolo paesistico-ambientale, in quanto ex sindaco di Alassio. Non si conoscono gli sviluppi processuali dell’inchiesta che vede coinvolto l’Udc, ex Udeur della giunta Loiero in Calabria, Pasquale Tripodi, già arrestato il 13 febbraio 2008 con l’accusa di riciclaggio e mafia. È consigliere pidiellino in Lombardia Gianluca Rinaldin, finito agli arresti domiciliari il 4 febbraio 2008 per truffa aggravata e falso in atto pubblico proprio ai danni della Regione Lombardia. Inchieste in corso e accuse da verificare, per molti di loro. Ma anche per molti altri sui quali l’Antimafia vuole comunque sapere.

Carmelo Lopapa

(Tratto da Repubblica)