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Oltre 60 clan operanti nel Lazio

Si sono divise il territorio regionale, sono interessate allo smaltimento dei rifiuti, agli appalti delle grandi opere, all’edilizia residenziale, alla distribuzione dei prodotti ortofrutticoli, al settore turistico e della ristorazione e alle società del settore della sanità. Nel Lazio operano più di 60 organizzazioni criminali per un totale di 300 mafiosi. Venticinque le cosche appartenenti alla ‘Ndrangheta, diciassette alla Camorra, quattordici a Cosa nostra e due alla Sacra corona unita, oltre a vari clan siciliani. È quanto emerge da un’indagine dell’Osservatorio tecnico scientifico per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio che ha condotto uno studio sociologico e criminologico, elaborando dati e informazioni ricavate dalle inchieste della magistratura e delle forze dell’ordine. Un’analisi attenta e articolata che, attraverso l’esame dei fatti e delle figure più rilevanti dal 2000, ha ripercorso vicende che risalgono anche al decennio precedente, per poi focalizzare l’attenzione sulle azioni delle organizzazioni criminali degli ultimi cinque anni.

Dalla famiglia Nicoletti a Roma al clan di ‘ndrina Mollica di Viterbo, dall’ex banda della Magliana attiva a Ostia ai clan Venosa, Esposito-Muzzoni e Casamonica-Di Silvio che si dividono il territorio di Frosinone, fino agli Anastasio di Anzio e Nettuno e i Bardellino di Formia, la mappa geo-economica dei gruppi criminali ha colpito il tessuto amministrativo e politico della regione. Ma, secondo i dati dell’Osservatorio, la maggior parte dei comuni laziali finora ha mostrato una buona capacità di resistenza alle trame strette della rete mafiosa, anche se, soprattutto in alcuni territori delle province di Roma, Frosinone e Latina, i tentativi di infiltrazione nella macchina amministrativa e politica sono in atto da tempo. E avvengono senza destare sospetti, attraverso l’arrivo di rispettabili figure imprenditoriali che stabiliscono rapporti collusivi con i protagonisti della scena politica e amministrativa locale, soprattutto nei settori dell’edilizia e del commercio.

Secondo l’indagine, su 378 comuni laziali sarebbero circa cinquanta quelli coinvolti in attività criminali, ma i dati, stando a quanto sottolinea l’Osservatorio, risultano «inferiori a quelli reali» perché le associazioni mafiose sono legate alla casa madre, spesso operante nel Sud dell’Italia, alla quale fanno riferimento.

Tra i clan, inoltre, vigono rapporti di rispetto e condivisione: non sono in conflitto ma fanno affari insieme, soprattutto se si tratta di stupefacenti e di traffico di armi. Questo lascia supporre, come spiega l’Osservatorio, l’esistenza di una sorta di «camera di composizione» dei conflitti che regola gli interessi tra i clan ricoprendo il ruolo di cabina di regia delle attività criminali.

Nella Capitale, poi, la rete criminale attanaglia soprattutto le zone periferiche. Clan Ierinò alla Borghesiana, Casamonica a Tor Bella Monaca e all’Anagnina, clan Senese a centocelle, ‘ndrina Sergi Marando a San Basilio, ‘ndrina Morabito a Flaminio e la ex Banda della Magliana a Ostia.

Nell’area romana Camorra e ‘Ndrangheta operano nelle imprese commerciali, coinvolgendo soprattutto supermercati, autosaloni e negozi di abbigliamento. Attività che piazzano la regione Lazio al secondo posto per il reato di usura.

L’insediamento stabile di famiglie criminali a Roma, sottolinea l’Osservatorio, è dovuto alla capacità attrattiva del territorio, caratterizzato da un tessuto economico appetibile e situato al centro dei luoghi di pianificazione delle grandi iniziative economiche, per la realizzazione di infrastrutture e la distribuzione di fondi necessari allo sviluppo.

I principali obiettivi delle cosche mafiose nel Lazio, rileva l’Osservatorio, riguardano opere come il porto di Civitavecchia, la centrale Enel Torre Valdaliga, i lavori Anas, la sanità convenzionata e le grandi catene distributive. Il metodo è semplice: infiltrarsi nelle amministrazioni locali per ottenere atteggiamenti di favore nell’aggiudicazione degli appalti pubblici o per prendere parte direttamente alla formazione delle decisioni politiche. Per quanto riguarda i sequestri di beni, i dati parlano di 322 sigilli fino al dicembre 2006, 189 solo a Roma per un totale di 268 in tutta la provincia.

(Tratto dal sito del Comune di Roma)