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NUOVA PRESCRIZIONE: SOLO UN PRIMO PASSO

Il Fatto Quotidiano, Sabato 10 Novembre 2018 

NUOVA PRESCRIZIONE: SOLO UN PRIMO PASSO

di PIERGIORGIO MOROSINI (*)

Diritto senza giustizia. In tanti bollarono così l’epilogo del processo Eternit. Per le vittime dell’amianto nel Monferrato la prescrizione dei reati in Cassazione (ultimo grado del giudizio) fu una tremenda beffa. Per lo Stato fu una sconfitta. Si “bruciarono” anni di attività giudiziaria, con costi a carico dell’erario. E non si riuscì neppure ad avere un verdetto definitivo sui responsabili del disastro ambientale, abdicando a quelle funzioni che giustificano il divieto di farsi giustizia da sé. Purtroppo il “diritto senza giustizia”non si è fermato al caso Eternit. Il decorso del tempo continua, a processi in corso, a cancellare con un tratto di penna reati di impatto civico e sociale: disastri ambientali, corruzioni, falsi in bilancio, truffe. Ma l’indignazione del “giorno dopo”non basta a produrre rimedi convincenti. Oggi il Guardasigilli propone una soluzione netta: impedire l’estinzione del reato per decorso del tempo dopo la sentenza di primo grado. Tante le reazioni di dissenso. Non solo nel mondo politico e nell’avvoca – tura, ma anche tra i magistrati. Eppure una soluzione simile veniva caldeggiata sino a qualche mese fa in documenti ufficiali dell’Associazione nazionale magistrati e del Consiglio superiore della magistratura. E trovava il favore di non pochi accademici per due ragioni: la logica dell’istituto della prescrizione e le esigenze di efficienza del sistema giudiziario.

LA DISCIPLINA sulla prescrizione vuole che lo Stato agisca tempestivamente in presenza di un reato. Per questo stabilisce termini che variano in base alla gravità dell’illecito per cui si procede. Col passare del tempo aumentano le difficoltà di ricostruire i fatti e si affievoliscono le ragioni della pena. Inoltre, una regola di civiltà vuole che, a distanza di anni dai fatti, il potenziale imputato sia “lasciato in pace”. Così la norma sulla prescrizione esaurirebbe la sua funzione con la concreta manifestazione della pretesa punitiva entro i termini di legge. Ma cosa significa “concreta manifestazione”? Per la riforma in discussione è la sentenza di primo grado, frutto di accertamenti nel contraddittorio tra le parti. Una soluzione che può evitare la “denegata giustizia” proprio per i reati “subdo – li”. Quelli dei colletti bianchi. Che, come per Eternit, vengono alla luce in ritardo, scontano la fisiologica complessità delle prove e sovente si prescrivono nel giudizio di impugnazione. Per i detrattori della riforma, l’attuale prescrizione va salvata. Sarebbe il “farmaco” per la malattia cronica del processo, ossia la sua lentezza. Senza la “scure”della prescrizione, i tempi nei gradi di appello e di Cassazione si dilaterebbero. E ne farebbe le spese l’imputato, esposto a dismisura al pregiudizio per la sua onorabilità e per le sue condizioni di vita personale. Tuttavia si dimentica che la prescrizione da “agente terapeutico ” troppo spesso si è trasformata in “fattore patologico”del processo. Disincentiva i riti alternativi, come abbreviato e patteggiamento, necessari per decongestionare il carico complessivo della giustizia penale. E può appesantire di molto ogni segmento del processo, perché non pochi, pur di evitare comunque una pronuncia definitiva, seminano ricorsi pretestuosi e ogni tipo di istanza ostruzionistica che solo gli imputati facoltosi possono permettersi. Dunque l’“emenda mento-pr escrizio ne” r isponde a ingiustizie e sprechi. Certo non può essere un rimedio isolato. La durata ragionevole del processo va garantita a tutti. Anche in forma specifica. Come nell’ordinamento tedesco dove la prescrizione si ferma con la condanna in primo grado ma le decisioni tardive si traducono in riduzioni della pena. Senza arrivare a tanto, potrebbero comunque introdursi dei rimedi risarcitori se si sforano certi tetti temporali dopo il primo grado. In ogni caso, bisogna abbattere i tempi di definizione del processo con interventi di sistema. Dal rinnovato impegno organizzativo della magistratura agli investimenti economici del governo; oltre a nuove depenalizzazioni e norme più razionali. Andrebbero ulteriormente rafforzati i filtri alle impugnazioni e i riti alternativi. Ma, sul punto, la recente idea dello stesso ministro di ridurre gli spazi del giudizio abbreviato sembra muoversi in direzione del tutto opposta.

FORSE È LECITO chiedersi se vi siano le condizioni politico-istituzionali per aprire una nuova stagione di riforme organiche. La giustizia penale resta purtroppo terreno di conflitti, demagogie e opportunismi di ogni tipo; nonché di spaccature all’intero delle stesse maggioranze. Solo abbassando i toni, studiando i dati e mettendo a confronto tutti gli attori del processo, si possono trovare gli antidoti al “diritto senza giustizia”. Per l’Italia sarebbe un “ca m bi am e nt o ” prezioso. Non solo di stile. * Giudice del Tribunale di Palermo