Normativa sulle interdittive antimafia: l’analisi del Dr. Salvatore Carli
Di Redazione Informare -18/12/202166
Il Decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152 recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione di infiltrazioni mafiose” ha introdotto le seguenti modifiche normative in materia di prevenzione antimafia che di seguito si riportano unitamente a talune notazioni di commento.
Le osservazioni che vengono formulate di seguito tengono conto soprattutto dei profili applicativi delle norme stesse alla luce della consolidata esperienza professionale e della conoscenza delle prassi e procedure amministrative cui quotidianamente è chiamato nello svolgimento dei compiti istituzionali con specifico riguardo all’applicazione delle disposizioni del codice antimafia nell’ambito delle attività di competenza delle Prefetture, in relazione al rilascio della “documentazione antimafia” (dall’art. 82 all’art. 101 del d.lgs. 159/2021).
Tra le novità apportate rilevano le modifiche introdotte con il comma 2 bis dell’art. 92 come sostituito dall’art. 49, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 152 del 2021 che di seguito si trascrive nel testo novellato:
Art. 92. Termini per il rilascio delle informazioni
2-bis. Il prefetto, nel caso in cui, sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ovvero per procedere all’applicazione delle misure di cui all’articolo 94-bis[1], e non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l’audizione, da effettuare secondo le modalità previste dall’articolo 93, commi 7, 8 e 9. In ogni caso, non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. La predetta comunicazione sospende, con decorrenza dalla relativa data di invio, il termine di cui all’articolo 92, comma 2. La procedura del contraddittorio si conclude entro sessanta giorni dalla data di ricezione della predetta comunicazione.
(comma così sostituito dall’art. 49, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 152 del 2021)
La nuova norma introduce il principio del contraddittorio nell’ambito dell’iter procedimentale propedeutico al rilascio delle informazioni antimafia. Nel dettaglio, viene previsto che al soggetto interessato (rectius: rappresentante legale dell’impresa sottoposta ad accertamenti antimafia), sia notificato un “preavviso di interdittiva o della misura amministrativa di prevenzione collaborativa”, con la fissazione di un termine breve (non superiore a 20 giorni) per la produzione di memorie esplicative nonché per la richiesta di audizione. La procedura del contraddittorio secondo la nuova norma si deve concludere entro sessanta giorni dalla data di ricezione della comunicazione da parte della impresa.”
Quindi per effetto della nuova norma è stato previsto che il Prefetto dia comunicazione alle ditte oggetto di verifiche antimafia, degli elementi di prevenzione antimafia assunti nel corso della fase istruttoria, salvo che “non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento”, e salvo in cui “il disvelamento elementi informativi sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso” .
Va subito osservato che le condizioni previste dalla norma per la deroga al contraddittorio e cioè la sussistenza di “particolari esigenze di celerità del procedimento” non appaiono specificamente “tipizzate” assumendo connotazioni “indefinite” che si prestano ad ambito di indiscriminata interpretazione. Parrebbe opportuno che il legislatore circoscrivesse l’ambito delle condizioni in cui “ricorrono particolari esigenze di celerità del procedimento” onde evitare effetti di applicazione non univoca delle nuove disposizioni di legge con effetti potenzialmente distorsivi.
Infatti l’assenza di una espressa tipizzazione delle condizioni in cui ricorrono particolari esigenze di celerità del procedimento può determinare applicazioni discriminatorie sul piano delle garanzie di contraddittorio introdotte, con effetti suscettibili di strumentalizzazioni in relazione alla instaurazione o meno del contraddittorio, la cui attivazione potrebbe rivelarsi favorevole sul piano della dilazione dell’efficacia del provvedimento interdittivo da adottarsi. In tale contesto non possono tralasciarsi le registrate forme di interessamento esperite, soprattutto per le società di rilevante dimensione, anche da soggetti che rivestono ruoli politici e che si interfacciano istituzionalmente con il Prefetto territorialmente competente.
La circostanza che le componenti della politica si inseriscano in queste dinamiche amministrative è documentata da numerosi episodi giudiziari. Basti ricordare a titolo di esempio le vicende che nel recente passato hanno interessato talune ditte del casertano ritenute collegate ad esponenti di rilievo politico, ingenerando dubbi sulla rigorosa trasparenza dei procedimenti per il rilascio di informazioni antimafia.
Risulta pertanto evidente che l’indeterminatezza dell’ambito delle condizioni che presuppongono la deroga alla comunicazione dell’avvio del procedimento (in analogia all’art 10 bis della Lg 241/90) ed alla instaurazione del contraddittorio, finiscono per attribuire un ampiezza di discrezionalità in capo al prefetto , suscettibile quindi di inevitabili – al di la di ogni pregiudizio – effetti distorsivi a vantaggio di interessi di singoli ( a volte legati alla criminalità) piuttosto che di tutela dell’interesse pubblico generale.
Ritornando alla disamina delle modifiche introdotte, va evidenziato che la nuova norma introdotta, prevede che nei casi in cui non ricorrano le esigenze di celerità, il Prefetto invii una comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa e che con la stessa comunicazione assegni un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l’audizione.
Ne consegue l’instaurazione di un procedimento interlocutorio nell’ambito del quale la ditta interessata viene edotta degli elementi di controindicazione mafiosa emersi a proprio carico e può presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti.
La particolarità della fase del contraddittorio è caratterizzata dalla previsione contenuta nel comma 2 quater[2] dello stesso articolo art. 92 del d.lgs 159/2011 con il quale viene consentito alla ditta interessata nella fase procedurale del contraddittorio di effettuare: “il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, il compimento di fusioni o altre trasformazioni o comunque qualsiasi variazione dell’assetto sociale, organizzativo, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate dai tentativi di infiltrazione mafiosa.”
Invero alla considerazione che il nuovo procedimento è teso a consentire l’acquisizione di maggiori elementi conoscitivi in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appare dubbia, fa da contrappeso la circostanza che la prospettazione di eventuali interventi di self – cleaning (cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, etc etc…) non solo dilata i tempi istruttori allungandoli in modo rilevante ma nel contempo fornisce opportunità per aggirare il rischio di essere gravati da un provvedimento interdittivo attraverso le operazioni sopra richiamate che, come è dimostrato da esperienze dirette, hanno, nella quasi totalità dei casi esaminati, natura surrettizia e di aggiramento fraudolento della legislazione antimafia.
Tale complesso iter finisce inesorabilmente per protrarre il procedimento istruttorio in tempi lunghissimi e in ogni caso oltre il termine di 60 gg previsti dal nuovo comma 2 bis dell’art. 92, facendo in tal modo scattare l’applicazione della misura di cui al comma 3 dell’art. 92 del d.lgs. 159/2011 (silenzio assenso sub condizione). Ciò si traduce molto verosimilmente in un forte ridimensionamento dell’attività di prevenzione posta in essere attraverso lo strumento delle interdittive antimafia, come peraltro dimostrano i dati emersi già nel corso della fase di applicazione delle nuove norme introdotte dal d.l. 152 del 6.11.2021.
Si consideri al riguardo, ad esempio, che nel periodo intercorrente dal 1.1.2021 al 30.9.2021 la Prefettura di Napoli ha emesso n. 77 provvedimenti interdittivi, mentre dal 1.10.2021 ad oggi sono stati emessi solo 2 provvedimenti, peraltro, di conferma di precedenti interdittive.
In un quadro di visione più generale va osservato che per consolidata giurisprudenza e ai sensi della normativa vigente prima delle modifiche introdotte dal D.L. 152/2021, le interdittive antimafia – erano esonerate dalla fase del preventivo contraddittorio in quanto provvedimenti di natura cautelare. E’ noto, infatti, che le misure cautelari in genere di qualsiasi natura ( giudiziarie e di prevenzione) non possono essere precedute da un contradditorio poichè, di fatto, si determinano condizioni tali che potenzialmente consentono alle ditte e alle persone fisiche interessate di porre in essere iniziative volte ad aggirare con tecniche fraudolenti sia la normativa di riferimento e sia gli elementi di mafiosità emersi con conseguente necessità da parte delle prefetture di attivare ulteriori controlli volti a verificare se quanto asserito nel contradditorio abbia o meno una finalità di aggiramento fraudolento della normativa antimafia.
I presupposti integranti l’esigenza della deroga al contraddittorio preventivo sino ad oggi si riconducevano ai copiosi indirizzi giurisprudenziali formatisi in materia ( cfr. per ultimo : sentenza del Consiglio di Stato n. 04979/2020 del 30 luglio 2020 e sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020): “ la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi.
33.4. Soprattutto nei casi di maggiore gravità, dove più radicato, ed evidente, è l’inquinamento delinquenziale nel contesto di talune realtà imprenditoriali, non di rado a base familiare, fortemente contigue o compromesse con logiche e interessi mafiosi, la conoscenza dell’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, potrebbe vulnerare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia, in quanto le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia che, non a caso, prevedono come indicative di infiltrazioni mafiose anche, ad esempio, le sostituzioni degli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, «con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia» (art. 84, comma 4, lett. f), del d. lgs. n. 159 del 2011).
33.5. Si tratta di tecniche frequenti nella prassi e ben note all’esperienza giurisprudenziale dello stesso Consiglio di Stato, il quale riscontra forme sempre nuove con le quali le associazioni a delinquere di stampo mafioso, di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto notizia, reagiscono mutando assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, ma cercando di controllare comunque i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni….(.)….Il principio del giusto procedimento, del resto, non ha una valenza assoluta, ma ammette deroghe limitate ad ipotesi eccezionali dovute alla tutela di interessi superiori afferenti alla tutela dell’ordine pubblico, come quella in esame, e proporzionate alla necessità del caso che, come si è detto, è qui assai grave per l’altissimo pericoloso infiltrativo che connota la società appellante. …(.)…, di fronte ai penetranti poteri di accesso e accertamento riconosciuti al Prefetto anche avvalendosi dei gruppi interforze, l’apporto procedimentale dell’impresa e le eventuali strategie dilatorie di questa in sede procedimentale potrebbero, per altro verso e nei casi che richiedono un’azione di contrasto immediata ed efficace, rallentare l’incisività e la rapidità di un provvedimento che deve colpire gli interessi economici della mafia prima che essi raggiungano il loro obiettivo, l’infiltrazione nel tessuto economico-sociale….(.)…L’eventuale sacrificio di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, che deve essere necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto che, contrariamente a quanto assume parte della dottrina, è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, anche secondo il diritto convenzionale, come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).
Il supremo organo di giustizia amministrativa appena un anno fa ha riconosciuto, quindi, che la conoscenza dell’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, (come invece vuole il D.L. 152/2011) potrebbe vulnerare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia, in quanto le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia che, non a caso, prevedono come indicative di infiltrazioni mafiose anche, ad esempio, le sostituzioni degli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie”.
Non può non rilevarsi come la novella dell’art 92 del codice antimafia si pone in direzione opposta agli indirizzi giurisprudenziali sopra menzionati laddove stabilisce che: “Il prefetto, nel caso in cui, sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti …(.).. Nel periodo tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2 -bis e la conclusione della procedura in contraddittorio, il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia.
Con le nuove norme si profila il rischio di quelle forme di aggiramento fraudolento e di concreta elusione della normativa antimafia che il Supremo Organo di giustizia amministrava ha posto ben in evidenza e cioè che : “le associazioni a delinquere di stampo mafioso, di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto notizia, reagiscono mutando assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, ma cercando di controllare comunque i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni”
In sostanza la norma in parola potrebbe prestarsi a favorire quei meccanismi elusivi della legislazione antimafia piuttosto che perseguire le finalità di prevenzione cui si informa la legislazione antimafia, il cui precipuo obiettivo è quello di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi.
Nondimeno si ritiene rilevare che la proposizione di un modello collaborativo con il mondo produttivo – cui si ispira l’intervento normativo (cfr circolare del Gabinetto del Ministero dell’Interno n 11001/119/7 16.11.2021) – poteva comunque conseguirsi attraverso una rivisitazione di una disposizione che già esiste nel codice antimafia quella prevista dell’ art. 91, comma 5 del d.lgs. 159/2011 (Il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa), modificandolo con una norma che avrebbe potuto prevedere la sospensione dell’efficacia dell’interdittiva per un termine di 30 gg dall’emissione, nel cui lasso di tempo il Gruppo Interforze avrebbe verificato la fondatezza o meno degli elementi posti a motivazione dell’istanza di aggiornamento.
In tal modo si assicurava tutela alla riservatezza dei dati che supportano l’interdittiva stessa ed impedire forme di fraudolenta elusione della normativa antimafia.
Quindi si hanno buone ragioni per ritenere che le modifiche apportate dal D.L. 152/91 possano determinare effetti di frustrazione delle misure di prevenzione antimafia ex art. 84 del Cod. Ant. .
Infatti con la normativa vigente, come modificata dal D.L. 152/2021, la ditta mafiosa può iniziare l’esecuzione dell’appalto, mediante il metodo c.d. “sotto riserva di legge” (consentito sia dal codice dei contratti e sia dal Codice Antimafia: comma 13 art. 32 del d.lgs 50/2016 e comma 3 art. 92 del d.lgs 50/2016) per motivi di urgenza ( condizioni di urgenza che si rinvengono nella quali totalità degli appalti).
Quindi una volta affidato l’appalto e avviato il contraddittorio preventivo, il prefetto deve in 60 giorni di cui gg.20 già assorbiti dalla fase del contraddittorio, effettuare tutte le complesse indagini per appurare se i mutamenti degli assetti societari, le intestazioni di quote e di azioni, le nuove cariche sociali, siano veritieri ovvero surrettizi, se la cessione di quote sociale sia fittizia e se i soggetti economici che fungono da schermo siano dei prestanomi.
In appena 40 giorni si ritiene che nessun ufficio antimafia di qualsiasi Prefettura d’Italia sarà in grado di svolgere tali attività d’indagine volta a verificare la fondatezza o meno delle modifiche apportate, nei tempi indicati, stante, peraltro, il carico di lavoro già in atto e la oramai cronica carenza di personale. La conseguenza sarà quella che trascorsi i 60 giorni, la ditta di mafia potrà tranquillamente operare per la pubblica amministrazione ed incassare denaro pubblico, innescandosi, infatti, il disposto normativo di cui al comma 3 dell‘art. 92[3] che consente dopo 45 gg dalla richiesta di poter stipulare contratti con clausola di risoluzione. Se poi la ditta di mafia ha ottenuto un affidamento sotto riserva di legge, potrà da subito operare ed incassare denaro pubblico.
In conclusione, si ha la percezione che le norme introdotte dal D.L. non rafforzino affatto le misure antimafia ma, di contro, possano indebolirne l’efficacia in quanto determinano le condizioni per consentire alle imprese interessate di aggirare gli elementi di mafiosità emersi consentendo alle stesse di stipulare contratti e di ottenere finanziamenti pubblici per effetto degli innegabili ritardi che si determineranno, facendo così scattare le disposizioni di cui all’art. 92 comma 3 del d.lgs 159/2011 che si traducono in una sorta di silenzio assenso sub condizione sine die. Ipotesi questa molto verosimile se si considera che già nell’attualità molte prefetture registrano arretrati e tempi d’istruttoria preoccupanti che saranno, appunto, ulteriormente alimentati a causa della farraginosità e la eccessiva burocratizzazione delle procedure previste dal nuovo D.L.152/2011.
Il rischio che con queste disposizioni – introdotte dal D.L. decreto-legge n. 152 del 2021 – la criminalità possa insinuarsi negli appalti e nei finanziamenti collegati al PNRR è, pertanto, molto elevato, in quanto il nuovo procedimento istruttorio propedeutico al rilascio di informazioni antimafia potrebbe agevolare forme di aggiramento della legislazione antimafia e soprattutto degli elementi di mafiosità emersi (attraverso cambi repentini degli assetti societari ovvero modifiche societarie surrettizie e fittizie, ecc), alimentando un contenzioso enorme e strumentalmente pretestuoso che bloccherà le procedure (in quanto ogni elemento respinto dalle prefetture in sede di contradditorio perché ritenuto surrettizio, formerà oggetto di contenzioso, impedendo l’emanazione dei provvedimenti cautelari).
Inoltre, in aggiunta a tali criticità, va osservato che le prefetture non hanno assolutamente le potenzialità (strumentali e di risorse umane) tali da poter gestire l’enorme quantità di incombenze istruttorie che discendono dalle disposizioni introdotte dal D.L. con la conseguenza, come si diceva, che per la quasi totalità dei casi sottoposti a verifiche antimafia scatterà il silenzio assenso sub condizione (di cui al citato comma 3, art. 92 del cod. Antim.) e l’inconfutabile aggiramento degli elementi interdittivi emersi.
Per quanto riguarda l’introdotto articolo Art. 94-bis. “Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale”, di seguito trascritto, si osserva quanto segue.
- Il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all’impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle seguenti misure:(.) …
Con la modifica intervenuta si allungano i tempi di istruttoria in quanto la prefettura, prima di emettere un provvedimento interdittivo, oltre ad accertare se nei confronti della ditta attenzionata, sussistano o meno eventuali “tentativi di infiltrazione mafiosa” (comma 4 art. 84 del d.lgs 159/2011) deve anche effettuare un’analisi a ritroso di tutte le vicende d’interesse antimafia che nel tempo hanno interessato la ditta attenzionata. Ciò al fine di appurare se siano state poste in essere nel tempo, dalla stessa ditta, altre condotte d’interesse antimafia tali da dimostrare la sussistenza o meno dell’elemento dell’occasionalità.
La norma introdotta ha, peraltro, mantenuto in essere il disposto normativo di cui all’art. 34 bis[4] . Quindi abbiamo il controllo del prefetto con riferimento a “situazioni di agevolazione occasionale” (da esercitare anche mediante la nomina di uno o più esperti, in numero comunque non superiore a tre,) e quello del Tribunale delle Misure di prevenzione che deve valutare “ l’agevolazione occasionale,” e in caso disporre , anche d’ufficio, il controllo giudiziario”.
Invero appare emergere una duplicazione di funzioni in ordine alla valutazione della sussistenza o meno del presupposto della condizione di “agevolazione occasionale”: una valutazione preliminare da parte del Prefetto e un’altra valutazione postuma da parte del tribunale delle M.P. nel caso in cui la ditta interessata formuli istanza all’A.G. per l’applicazione del controllo giudiziario ex art 34 bis.
Appare, pertanto, evidente come la modifica introdotta dal D.L. abbia, da un lato rafforzato il potere discrezionale del Prefetto e dall’atro comportato un effetto negativo in termini di lungaggini del procedimento amministrativo di riferimento.
Purtuttavia, va evidenziato che dall’entrata in vigore dell’art. 34 bis del d.lgs 159/2011 (articolo inserito dall’ art. 11, comma 1, L. 17 ottobre 2017, n. 161.) è stato osservato – con riferimento ad esempio alle attività del Tribunale di Napoli (Sezione misure di prevenzione) che lo stesso Tribunale in sede di primo grado, conformandosi ai principi normativi di applicazione della norma in relazione all’accertamento ed alla valutazione sulla sussistenza o meno dell’occasionalità delle condotte rilevanti ai fini antimafia, ha respinto la quasi totalità delle istanze presentate dalle ditte interdette; mentre la Corte di Appello di Napoli (che comprende sette circondari di Tribunali ) a far data dal ricorso in appello inoltrato da una ditta dell’area torrese-stabiese, i cui collegamenti con ambienti della criminalità sono riassalenti nel tempo, ha ribaltato l’orientamento dello stesso tribunale, ammettendo il controllo giudiziario a questa tipologia di ditte. Ed è proprio a seguito di questa decisione che tutte le altre ditte che si sono viste respinte le istanze da parte della Sezione M.P. del Tribunale in primo grado, hanno ottenuto e stanno ottenendo la decisone favorevole in sede di appello con conseguente sospensione dei relativi provvedimenti antimafia interdittivi.
Gli effetti prodotti da queste decisioni nei giudizi di secondo grado sono di rilevante ricaduta negativa sul piano della prevenzione antimafia in quanto l’azienda con la sospensione del provvedimento interdittivo rientra nella piena disponibilità degli imprenditori collegati alla criminalità organizzata ad accezione della sola presenza, si badi bene, solo “formale” del controllore giudiziario. È una presenza inefficace ai fini antimafia in quanto viene scelto un libero professionista, in genere un commercialista, il quale non ha alcun poter di indagine al fine di verificare se l’imprenditore mafioso possa o meno reiterare quelle condotte che hanno condotto all’emissione dell’interdittiva antimafia.
Considerando gli effetti prodotti dai citati art. 34 bis e art. 94 bis , è auspicabile, un nuovo intervento del legislatore che cancelli l’art. 34 bis nella parte in cui prevede la valutazione dei provvedimenti interdittivi antimafia e la sospensione degli stessi, lasciando in vigore il nuovo art. 94 bis che contrariamente all’art. 34 bis e seppur con le criticità evidenziate, prevede nella fase di applicazione mirati controlli sulla vita aziendale, controlli finanziari, bancari e societari da espletarsi anche da parte del gruppo interforze.
Controlli che invece non sono previsti dall’art. 34 bis la cui applicazione, sta generando situazioni paradossali che vedono note imprese collegate alla camorra, gestire importanti appalti pubblici.
[1] Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale
[2] 2-quater. Nel periodo tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2 -bis e la conclusione della procedura in contraddittorio, il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, il compimento di fusioni o altre trasformazioni o comunque qualsiasi variazione dell’assetto sociale, organizzativo, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate dai tentativi di infiltrazione mafiosa, possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione
[3] Comma 3. Decorso il termine di cui al comma 2, primo periodo, ovvero, nei casi di urgenza, immediatamente, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza dell’informazione antimafia. I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
Comma 2… il prefetto dispone le necessarie verifiche e rilascia l’informazione antimafia interdittiva entro trenta giorni dalla data della consultazione. Quando le verifiche disposte siano di particolare complessità, il prefetto ne da’ comunicazione senza ritardo all’amministrazione interessata, e fornisce le informazioni acquisite nei successivi quarantacinque giorni.
[4] Controllo giudiziario delle aziende.
Fonte: https://informareonline.com/normativa-sulle-interdittive-antimafia-lanalisi-del-dr-salvatore-carli/