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Non si finisce mai con i politici sospettati di collegamenti con la mafia

Mafia, chiesti dieci anni per Cuffaro

I pm Di Matteo e Del Bene chiedono al giudice per l’udienza prelibare di Palermo che vengano inflitti dieci anni di reclusione all’ex governatore della Sicilia, ora senatore, dell’Udc. L’accusa è concorso esterno in associazione mafiosa, senza attenuanti. Cuffaro avrebbe messo in piedi una sorta di controspionaggio per informare i boss di indagini di polizia che li riguardavano

I pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene hanno chiesto la condanna a dieci anni di reclusione per l’ex presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, senatore dell’Udc. L’ex governatore è accusato di concorso in associazione mafiosa nel processo che si svolge con il rito abbreviato davanti al gup di Palermo, Vittorio Anania. La pena richiesta tiene conto della riduzione di un terzo previsto dal rito abbreviato.

I pm hanno deciso di non chiedere le attenuanti generiche per il senatore Udc “perché i fatti di cui lo accusiamo sono veramente gravi anche per il suo ruolo di governatore regionale: per questa sua veste poteva partecipare in alcuni casi al Consiglio dei ministri”. “Abbiamo dimostrato – hanno detto – che il sistema di controinformazioni messo in piedi da Salvatore Cuffaro assieme a Antonio Borzacchelli, Giorgio Riolo, Giuseppe Ciuro, era puntato a scoprire indagini sui rapporti tra la mafia e esponenti politici. E’ proprio la natura delle informazioni che ci fa capire la portata di questo sistema e di come si possa configurare l’accusa di concorso in associazione mafiosa”. Le testimonianze di pentiti e di soggetti vicini all’imputato hanno dato, secondo i pm, ulteriore conferma alle accuse. “Fin dal 1991 i contatti con Angelo Siino – ha detto Del Bene – dimostrano l’esistenza del patto politico-mafioso stretto da Cuffaro con esponenti di Cosa Nostra”.

Il pm Di Matteo ha spiegato i meccanismi che avrebbero fatto di Cuffaro una sorta di informatore permanente dei boss, che avrebbero beneficiato delle soffiate dell’ex governatore. Di Matteo ha detto che “Francesco Campanella, diventato collaboratore di giustizia, chiarisce come il rapporto tra Cuffaro e Cosa nostra non sia stato un evento sporadico e casuale ma piuttosto interno al patto politico – elettorale – mafioso”.

“Come racconta Campanella – ha proseguito il pm – Giuseppe Acanto venne inserito nella lista Biancofiore nelle elezioni 2001 per venire incontro alle richieste di Nino Mandalà. Sempre Campanella dice che Cuffaro lo avvertì che nei confronti di Antonino e Nicola Mandalà e dello stesso Campanella c’erano indagini in corso. Le dichiarazioni del collaboratore sono ampiamente dimostrate”.

Il pm ha poi raccontato della comune militanza di Cuffaro e Campanella nell’Udeur e dello stretto rapporto tra i due, tanto che l’ex governatore fu testimone alle nozze del collaboratore. “Cuffaro – ha spiegato Di Matteo – attraverso la vicinanza personale con soggetti di Villabate, aveva ben presente quali erano i rapporti che legavano Campanella ai mafiosi Mandalà di Villabate. Che erano soggetti legati alla mafia Cuffaro lo sapeva anche perché Nino Mandalà era in carcere proprio per l’accusa di 416bis”.

“A conferma delle affermazioni di Campanella – ha proseguito Di Matteo – c’è la testimonianza dell’avvocato Giovanbattista Bruno, figlio di Franco, ex capo di gabinetto del sottosegretario alla Giustizia Marianna Li Calzi. Giovanbattista Bruno era amico sia di Cuffaro che di Campanella e ha riferito di un colloquio nel 2003 con il collaboratore di giustizia che gli confidava di sapere dal governatore di essere indagato. Campanella in quel caso domandò a Bruno: ‘hai visto come e’ andata a finire? Cuffaro mi ha detto che indagavano su di me e l’avviso di garanzia alla fine l’hanno mandato a lui…’.

Il pm ha raccontato questo episodio anche per fugare i dubbi del gup sulla richiesta di ne bis in idem avanzata dai legali di Cuffaro (le accuse secondo gli avvocati sarebbero le stesse del processo ‘Talpe’, e quindi Cuffaro non potrebbe essere riprocessato). “Questo episodio raccontato da Bruno – ha detto il pm – non ha mai formato oggetto di contestazione. Ma non lo possiamo non considerare. E’ la conferma di un ulteriore reato, che se fosse solo si potrebbe configurare come favoreggiamento, ma messo assieme agli altri porta all’accusa di concorso in associazione mafiosa”.

Lapidario il commento di Cuffaro: “La mia fiducia nelle istituzioni e nella giustizia mi impongono il rispetto per il ruolo dei pubblici ministeri. E’ chiaro – ha detto – che non condividiamo le conclusioni dei pm e che, insieme ai miei avvocati, porteremo il nostro contributo per fare emergere la verità”.

(Tratto da Aprile online)