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Non processiamo la Giustizia. Sono alcuni politici, invece, che vanno processati perchè sono i veri responsabili di questo caos

Non processare i processi

Nei 26 distretti di Corte di appello sono andate in scena le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario 2009. Occasioni per riflettere sui mali della giustizia, primo fra tutti la sua lentezza (al mondo siamo al 156/mo posto, peggio dell’Africa, denunciava ieri il presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone; in Europa siamo secondi solo alla Bosnia per numero di reati per abitante, rilancia oggi il presidente della Corte di Appello di Milano, Giuseppe Grechi). Ma anche per rinfocolare, a distanza, le polemiche su intercettazioni e riforme

La riforma del processo penale che il ministro della Giustizia Alfano intende portare in Consiglio dei Ministri la prossima settimana, le modifiche costituzionali (separazione giudici-pm, Csm diviso un due, etc) che seguiranno nel giro di un paio di mesi e il ddl intercettazioni i cui emendamenti saranno votati a giorni in commissione Giustizia alla Camera: il fondale del palcoscenico è unico per tutti e 26 i distretti di Corte di appello dove sono andate in scena le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario 2009.
Occasioni per riflettere sui mali della giustizia, primo fra tutti la sua lentezza (al mondo siamo al 156/mo posto, peggio dell’Africa, denunciava ieri il presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone; in Europa siamo secondi solo alla Bosnia per numero di reati per abitante, rilancia oggi il presidente della Corte di Appello di Milano, Giuseppe Grechi). Ma anche per rinfocolare, a distanza, le polemiche su intercettazioni e riforme.

Il Guardasigilli, da Napoli, rilancia la necessità di un diritto processuale penale “giusto” che metta al riparo dalla “gogna mediatica”, preannunciando inoltre un sistema di controlli sulla professionalità dei magistrati così che “il loro operato, doverosamente autonomo e indipendente, non si trasformi in autoreferenzialità o in mero arbitrio”. Se a Castelcapuano Alfano incassa gli applausi quando ringrazia le toghe in lotta contro la camorra, la doccia fredda viene poco dopo dall’Anm partenopea: con le nuove norme sulle intercettazioni – dice il pm della Dda Antonio Ardituro – non sarebbe stato possibile catturare il boss della fazione “stragista” dei Casalesi, Giuseppe Setola. La spiegazione di Alfano (“abbiamo mantenuto il tetto previsto dalla legge precedente” e non più i dieci anni originari del ddl, per cui le intercettazioni sono state “solamente contenute in limiti temprali più accettabili”) non convince le toghe.

Il più autorevole altolà arriva da Palermo, dove il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, non nasconde la sua “perplessità” sugli emendamenti del governo al ddl intercettazioni, specie per la previsione di consentirle solo in presenza di “gravi indizi di colpevolezza”: “quando si hanno già indizi di colpevolezza, l’intercettazione potrebbe non essere più necessaria”, dice. Bisogna risparmiare? Allora – ipotizza Grasso – “si potrebbe pretendere che i gestori telefonici offrano gratuitamente” il servizio.
Gli emendamenti del governo sono “un siluro”, gli fa eco il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli.

Ma anche le più dure critiche hanno toni più misurati di qualche anno fa, quando le toghe, in occasione delle cerimonie degli anni giudiziari, sfilavano con la costituzione sotto il braccio o con la toga nera sulle spalle in segno di lutto. L’ex capo di quel pool, Francesco Saverio Borrelli, presente alla cerimonia di Milano senza più quella toga di pg che sette anni fa indossava mentre spronava a “resistere, resistere, resistere”, invita ora la magistratura a fare “un esame di coscienza” perché “avrebbe dovuto autolimitarsi” nelle intercettazioni.
Le riforme temute dalle toghe e preannunciate da Berlusconi sono dietro l’angolo. Il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, da Bari mette in guardia: “quando non c’è una convergenza sull’impianto generale difficilmente una riforma va in porto”; “c’è un diritto della maggioranza di governare però anche un dovere della maggioranza di dialogare. Non siamo ai temi della stabilità ma della precarietà dei governi”. Riforme condivise, dunque, e senza “iattanza” da parte di alcuno. La strada è però accidentata. “La crisi della giustizia ègrave e allarmante, come mai in passato. Ma – denuncia il presidente della Corte di Appello di Roma, Giorgio Santacroce – il giudice italiano non può continuare a vivere il suo rapporto con la politica in modo perennemente teso e conflittuale”.
Leonardo Carletti

(tratto da www.aprileonline.info)