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Non è mafia ma quasi: l’ascesa dei clan rom a Reggio Calabria

La carriera borderline dei nomadi è iniziata nel Cosentino a inizio millennio e da lì ha contagiato tutta la regione. Stando alle rivelazioni dei pentiti e alle prime, importanti, emersioni processuali, gli zingari monopolizzerebbero il mercato clandestino delle case popolari e gestirebbero lo spaccio con la benedizione delle ‘ndrine storiche

Silvio Nocera

11 Settembre 2023

Le dichiarazioni del pentito Vittorio Giuseppe Fregona sulla criminalità rom di Reggio Calabria sono l’ultimo dei tre tasselli che delineano una mutata morfologia della ’ndrangheta in Calabria.
Addirittura una nuova “geopolitica” criminale in cui emergono e si rafforzano inediti equilibri di potere.
Seguiamo questa trama in tre tappe.

Criminalità rom: una storia in tre tappe

Nel 2005 Arcangelo Badolati, nel suo volume I segreti dei boss (Klipper, Cosenza 2008) affronta la criminalità del Cosentino, con riferimenti specifici al mutato ruolo dei clan rom nelle gerarchie di malavita. Badolati, nello specifico, approfondisce i fatti relativi all’indagine Lauro e alla faida di Cassano (2002-2003).
Il 18 aprile 2023 a Catanzaro la Procura arresta 62 cittadini rom. Nelle ordinanze di custodia cautelare, relative all’operazione coordinata dal procuratore Gratteri, il gip Filippo Aragona contesta per la prima volta il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Inoltre, stesso Gratteri parla apertamente di intercettazioni che testimoniano l’affiliazione dei rom alla ’ndrangheta con tanto di battesimo.
Il 12 maggio 2023 nel processo Epicentro il pentito Fregona, interrogato dal pm Walter Ignazitto, delinea un salto di qualità dei clan rom di Arghillà.

Droga e case popolari: l’impero della criminalità rom

I dettagli della deposizione riguardano l’ingresso di questi clan nel mercato degli stupefacenti con il benestare delle cosche di Catona e la gestione abusiva degli alloggi popolari. Lo stesso pentito, inoltre, dichiara di essere a conoscenza di riti di affiliazione alle ’ndrine reggine.
Il quadro tracciato da Fregona testimonierebbe 
la nuova autonomia dei clan rom nella gestione di attività illecite. E quindi il loro affrancamento dalle ’ndrine storiche come i Serraino, celebrati di recente anche su Amazon Prime. Anche a Reggio Calabria, sotto l’apparente coltre di immobilismo, qualcosa si muoverebbe. O meglio si sarebbe già mosso.
Il caso di Reggio Calabria aprirebbe un nuovo squarcio sulle dinamiche con cui la ‘ndrangheta sta mutando assetto e organizzazione in tutta la regione. E i primi esiti del caso Ventura suffragano le dichiarazioni di Fregona.

Caso Ventura: troppa violenza per un alloggio

A Reggio nel 2022 Patrizio Bevilacqua riceve una condanna in primo grado a 5 anni e 6 mesi per estorsione insieme all’ex moglie Anna Maria Boemi.
È
 la sentenza 1369 sul noto caso della famiglia Ventura.
Come appartenente alla Polizia Penitenziaria, Vincenzo Ventura era regolare assegnatario di un alloggio popolare al rione Marconi.
Ma la sua famiglia 
fu costretta ad abbandonare l’appartamento dopo attacchi verbali e fisici, minacce di morte e danneggiamenti. Poi l’immobile fu occupato abusivamente dai rom. Questi lamentarono, con diversi comunicati e in vari servizi tv, l’illegittimità dello sgombero ordinato dal Tribunale.
Il caso Ventura resta una vicenda travagliata e violenta dai cui atti processuali emergono rapporti tra Bevilacqua ed esponenti del comando dei Vigili urbani di Reggio Calabria.

Case popolari: il mercato della criminalità rom

Durante l’audizione di Ventura del 7 aprile 2016 in Commissione controllo e garanzia, l’allora delegato al Patrimonio edilizio del Comune di Reggio, Giovanni Minniti, dichiarava di conoscere la vicenda e i suoi protagonisti e sottolineava che «nel tempo in cui è stato assessore e delegato è venuto a conoscenza su alcune vicende legate alla vendita degli alloggi. Ci troviamo a constatare che c’è un “Mercato delle case”, che con un gioco maldestro e pericoloso [è] gestito dalle famiglie dei Nomadi, circa 300 alloggi del Patrimonio Edilizio venduti in modo poco chiaro». Da allora poco si è mosso.

Alloggi popolari: quel disordine non è un caso

Il 12 giugno 2020 la Terza commissione speciale permanente politiche sociali e del lavoro si riuniva per discutere di patrimonio edilizio ed edilizia residenziale pubblica. I verbali della dirigente, l’avvocata Fedora Squillaci, disegnano un quadro quantomeno caotico.
Squillaci parla di un settore di difficile gestione, a cominciare dalla sistemazione dell’archivio, di ruoli notificati a deceduti ancora risultanti titolari di alloggio, di ostilità dei dipendenti del settore, di carenza nell’organico.
La dirigente afferma che «
c’era anche chi faceva visitare gli appartamenti ai nomadi con la conseguenza che il giorno dopo venivano occupati abusivamente […] non lo posso dimostrare ma sono convinta che c’è un mercato dietro al patrimonio degli alloggi Erp, c’è un premeditato disordine, caos e ingovernabilità che consente di fare ciò che si vuole […] Su 3.000 alloggi c’è un’altissima percentuale di abusivismo». Ivi compresi i beni confiscati.
Emerge un quadro desolante: 
un ipotetico mercato degli alloggi probabilmente gestito in modo violento e “imprenditoriale”, protetto da legami opachi con altrettanto ipotetiche ramificazioni nel municipio. Che di questo si tratti non c’è ancora certezza. Ma le suggestioni sono tantissime.

Le tariffe quartiere per quartiere

Alcuni bene informati parlano espressamente di mercato, di gestione dei rom e di divisione in territori: da Arghillà al Rione Marconi. E c’è chi ipotizza tariffe che vanno dai 3.000 ai 10.000 euro, per prestazioni di vario tipo.
Ad esempio,
 la possibilità di scegliere l’alloggio con una maggiorazione dei prezzi e quella di ottenerlo comunque, magari con l’“intervento” dei rom, se è già occupato.
Questo prezzario certificherebbe un’organizzazione stabile col benestare della ’ndrangheta. E ribadirebbe che i clan rom sarebbero ormai affiliati e non più semplice manovalanza.

Vita e carriera di Patrizio Bevilacqua

Bevilacqua, oggi interdetto a vita dai pubblici uffici, correva per le Amministrative reggine del 2011 nel movimento Pace di Massimo Ripepi, uno dei leader dell’attuale opposizione.
Bevilacqua, almeno fino alla pandemia – riferiscono alcune fonti -, e comunque a procedimento in corso, sarebbe stato inoltre alle dipendenze di Eduardo Lamberti Castronuovo, noto imprenditore reggino, già assessore al Comune di Reggio e poi sindaco di Procopio.
Il 5 dicembre 2012, in un servizio di Rtv, Lamberti, tra l’altro editore della testata, dichiarò che «ad uno di loro [rom] ho affidato le chiavi di casa […] Si chiama Patrizio, lo potete incontrare tutti». Parlava di Patrizio Bevilacqua.
Definire criminali tutti i rom è, come dice Lamberti, uno stereotipo. Ma fa quantomeno specie che il protagonista di vicende opache poi attenzionate dalla magistratura mantenesse determinati rapporti con una personalità arcinota della vita pubblica reggina. Cioè di una città in cui tutti si conoscono.

Non è mafia… quasi

Ora, la sentenza 1369 contro cui Bevilacqua e Boemi hanno fatto appello, contestava ai condannati una forma di consorteria con ignoti, ma non arrivava al delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Ma, se le ipotesi sono concrete, 
anche a Reggio Calabria si viene delineando un nuovo ruolo e una rafforzata capacità da parte dei clan rom. Presidiare il territorio, intimidire, minacciare, gestire (in associazione) un vero e proprio racket delle case popolari con una metodologia malavitosa studiata, concordata, attuata, forti di connivenze anche all’interno delle pubbliche amministrazioni.
Se non è mafia, questa, ci somiglia assai.

Fonte:https://icalabresi.it/inchieste/criminalita-rom-ascesa-clan-nomadi-regno-ndrangheta/