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Nella morte del Capitano Fedele Conti è la chiave dei misteri

“ Mi sento incartato”, che vuol dire, secondo noi, non mi sento libero di indagare.

Sono le parole che ha lasciato scritte il Capitano Fedele Conti, prima che un colpo di pistola mettesse fine alla sua giovane vita.

Il giovane comandante della Compagnia della Guardia di Finanza di Fondi ha inteso così lasciarci un messaggio davvero inquietante.

Ma ancora più inquietante è quel senso di rabbia e di fastidio che noi avvertiamo a pelle ogni volta che… osiamo riprendere l’argomento…

Cosa significa quel messaggio?

Che “qualcuno” o “qualcosa” impediva al giovane ufficiale di mettere il naso in talune vicende di Fondi?

Che “qualcuno” o “qualcosa” era contrario all’ introduzione di una metodologia investigativa nuova e più efficace rispetto a quella del passato?

Il curriculum del Capitano Conti era davvero eccezionale.

Egli era stato, prima che fosse trasferito a Fondi, l’autore di moltissime inchieste di altissimo livello e di fama nazionale.

Egli non era, insomma, un Ufficiale “qualunque”, un “ventisettista”, una scaldasedie.

Né era uno che… si adeguava all’esistente, allo statu quo.

Al tirare a campare, per fare carriera.

Voleva, al contrario capire, rendersi conto del tipo di ambiente nel quale si era calato, per poter operare al meglio.

Per capire di chi si poteva fidare e di chi no.

Lavoro e casa, casa e lavoro.

Usciva dalla caserma a Fondi e correva dalla madre e dai parenti a Pastena, prossimo alle nozze.

Niente frequentazioni con esponenti politici, niente lauti pranzi e cene con taluni di questi a Sperlonga od altrove, niente rapporti equivoci.

Una condotta di uomo e di Ufficiale esemplare, unica, da vero Comandante.

Pari a quella di un altro Comandante con la C maiuscola, che noi abbiamo conosciuto ed apprezzato, del valore del Colonnello Giancostabile Salato che per tre anni è stato mandato a Frosinone, dove ha portato una vera e propria rivoluzione sul piano dell’efficacia investigativa.

Se ne trovano pochi, pochissimi di questi Ufficiali che rifiutano le suggestioni, il fascino, ma anche le trappole, del potere locale.

Per sentirsi liberi di fare il proprio lavoro.

La nostra non vuole minimamente apparire come una sorta di critica all’agire del Magistrato che ha seguito il “caso Conti” perché conosciamo benissimo le situazioni, le difficoltà e le condizioni nelle quali operano gli apparati locali.

Il Magistrato giudica sulla base delle informazioni che gli forniscono i presidi del territorio.

Sulle carte che gli arrivano sulla scrivania.

E quelli nostri non sono di certo apparati di eccellenza.

Fatta qualche eccezione.

Il nodo è proprio qua.

Se non fosse così non saremmo arrivati alla situazione in cui ci troviamo.

Non saremmo sommersi da camorra e mafie varie.

A Fondi, in particolare.

D’altro canto, ogni volta che qualcuno ha osato, come ha fatto il Prefetto Frattasi, mettere le mani sul “caso Fondi”, ha rischiato di compromettere la sua carriera.

E’ capitato anche più in alto, al Ministro dell’Interno Maroni, autore in Consiglio dei Ministri delle proposte di scioglimento dell’amministrazione fondana, proposte per la prima volta nella storia della Repubblica italiana ripetutamente respinte dagli stessi suoi colleghi di governo.

Smentito ed isolato anche lui.

Cose dell’altro mondo.

Dopo tutte le cose che sono avvenute a Fondi una classe politica nazionale attenta e rigorosa avrebbe dovuto cambiare anche le pietre dell’intero apparato dello Stato locale.

Invece, non è avvenuto niente, niente assoluto.

Noi non capiamo – e lo stiamo ripetendo da anni – le ragioni per le quali, mentre gli Ufficiali ed i dirigenti delle varie forze dell’ordine, ogni due-tre anni vengono trasferiti e sostituiti, non si fa altrettanto con i Marescialli che sono l’ossatura dell’impianto investigativo.

Le indagini, infatti, non le fanno gli Ufficiali, ma i Marescialli.

Gli Ufficiali le coordinano, ma non le svolgono.

Se io sto nello stesso posto, in ispecial modo nelle piccole città dove tutti si conoscono e sono anche parenti, per tutta una vita, è inevitabile, anche non volendolo, che venga condizionato psicologicamente nei miei comportamenti: quello è amico, quello è cugino, quello è compare, quello è, con me, socio della stessa polisportiva, dello stesso circolo, della stessa associazione.

Si crea inevitabilmente un intreccio di interrelazioni amicali o talvolta parentali che di certo non giovano all’efficacia di ogni mia azione.

E’ quel possibile intreccio che una classe politica governante accorta dovrebbe assolutamente impedire.

E’ successo questo a Fondi?

E cosa significano quelle parole lasciate scritte dal Capitano Conti?

Parole dure come pietre lasciate senza una risposta.

Si ribella la nostra coscienza di cittadini onesti ed al servizio dello Stato di diritto nel vedere questo giovane e brillante Ufficiale morire due volte.

A causa della situazione che ha determinato il tragico gesto e, poi, peggio, dell’oblio e, ancor peggio, dell’assordante, eterno – e, forse, da taluno ricercato se non imposto – silenzio.

La chiave di tutti i misteri.

E’ la parte migliore dell’Italia che così se ne va, nel silenzio, nell’indifferenza – e nella vergogna – dei vili e dei peggiori.