Ora si scateneranno le dietrologie, lo spauracchio dei complotti antiberlusconiani, le insinuazioni sulle Procure che agiscono come un sol uomo, la caccia al colore dei calzini di giudici ePm, ma, con ogni probabilità, gli stessi difensori del senatore Marcello Dell’Utri nel processo di secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, dopola prima condanna a nove anni, sapevano, in cuor loro, che difficilmenteuna corte d’appello avrebbe potuto tenere fuori dal dibattimento il pentito Gaspare Spatuzza. E così è stato: la corte – presieduta da Claudio Dell’Acqua, giudici a latere, Salvatore Barresi e Sergio La Commare -, ha accolto la richiesta del P.m. Antonino Gatto di acquisire gli interrogatori del neo collaboratore di giustizia resi sia alla Procura di Palermo sia a quella di Caltanissetta. E di acquisire sia quelli riassuntivi, sia le trascrizioni integrali, venendo in questo incontro ai difensori che Spatuzza non lo volevano ma, se proprio Spatuzza doveva essere, che almeno fosse al gran completo. La corte si è invece riservata di decidere su altri interrogatori, resi a Firenze, in quanto giudicati, al momento, «vaghi» e di incerta «rilevanza» in riferimento alla materia che si sta trattando nell’attuale processo. Il Procuratore Generale Gatto hadunquesospeso la sua requisitoria, l’udienza è stata aggiornata al 6 novembre, giorno in cui sarà fissata la data dell’audizione di Spatuzza. Una dilazione dei tempi che ha reso necessario il rinvio della formulazione delle richieste a carico dell’imputato da parte dell’accusa. I difensori del senatore fondatore di Forza Italia – i penalisti Nino Mormino, Giuseppe Di Peri, Pietro Federico, Alessandro Sammarco – non sembra ne abbiano fatto una tragedia. Speravano che Spatuzza restasse fuori, questo sì. Ma il fatto che la dimensione di Spatuzza come collaboratore sia venuta lievitando nelle ultime settimane è sotto gli occhi di tutti.
NUOVE E VECCHIE COPERTURE
Il mafioso che ha iniziato a collaborare, ha riferito della strage di via d’Amelio, scardinando virtualmente, con le sue parole, non pochi pilastri sui quali, in questi diciotto anni, si erano placidamente adagiate non poche certezze processuali. Ha detto la sua su trattative Stato-Cosa Nostra dopo le stragi del 1992.Hachiamato in causa i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, «uomini d’onore» di spicco della famiglia Brancaccio residenti da anni a Milano, città in cui furono arrestati nel 1994, indicandoli come assai vicini al senatore Dell’Utri, così come, d’altronde, lo stalliere di Arcore, Vittorio Mangano. Ma, quel che più ha destato scandalo e sollevato polemiche nel cerchio stretto di una minoranza di ultras berlusconiani, ha indicato in Dell’Utri e Silvio Berlusconi i nuovi referenti della mafia in un momento in cui le antiche coperture, democristiane prima, socialiste dopo, erano ormai venute meno.
UN PAESE CHE SI INTERROGA Che le parole di Spatuzza, come quelle di tutti i collaboranti di mafia, non vadano salutate come oro colato, debbano passare al vaglio della macchina della verità giudiziaria, un tantino meno approssimativa di quella dei media, è lapalissiano. Macome avrebbe potuto una corte d’appello mettere il bavaglio a un soggetto che di questi argomenti si mostra informato mentre un intero Paese si interroga su cosa accadde esattamente nella stagione stragista a inizio anni 90? E non è forse proprioundibattimento processuale la sede più naturale per capirne di più? Gli avvocati di Dell’Utri, al termine di una camera di consiglio durata due ore, che si è conclusa con il rigetto della loro richiesta, hanno fatto sapere che si preparanoa leggere con la dovuta attenzione le parole di Spatuzza. Quelle che neanche loro, sino a questo momento, conoscevano. Per l’avvocato Mormino quelle parole contengono: “valutazioni personali e valutazioni soggettive”. L’avvocato Sammarco ha rilevato “incursioni indebite della Procura presso il Tribunale e potrebbe anche darsi che Spatuzza abbia detto cose a favore della difesa che noi non conosciamo”. Possibile. Anche per questo la corte vuole vederci chiaro.