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‘Ndrangheta a Seregno: droga e denaro alla locale dei Cristello

‘Ndrangheta a Seregno: droga e denaro alla locale dei Cristello

Potere ‘ndranghetista in Brianza. A processo gli esponenti (presunti e non) del clan Cristello di Seregno, arrestati all’esito dell’operazione “Freccia” dello scorso giugno

Alessandro Girardin 27 Gennaio 2021

Per Umberto Cristello e i suoi, accuse che vanno da associazione mafiosa a narcotraffico internazionale. Non certo la prima indagine che colpisce la locale di Seregno: inchieste Infinito, Ulisse, Bagliore sono arrivate a sentenza anche per i delitti più efferati

Ventisette indagati rinviati a giudizio in quello che si appresta a diventare un altro importante processo contro la ‘ndrangheta del vibonese trapiantata in Brianza. Così si è deciso, al termine dell’udienza preliminare, nei confronti dei soggetti rimasti coinvolti lo scorso 11 giugno nell’operazione denominata ‘Freccia’, condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia sotto il coordinamento della Dda di Milano. Inchiesta che aveva portato all’esecuzione di misure cautelari personali nei confronti di 22 soggetti (21 italiani e uno di nazionalità serba), di cui 16 finiti in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 2 con l’obbligo di dimora. La prima udienza per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato (tutti eccetto uno, classe ‘91, di Seregno, che si è già presentato il 19 gennaio al Tribunale di Monza) si terrà davanti al Gup del Tribunale di Milano il prossimo 3 febbraio.
Fra gli imputati spiccano i nomi di affiliati ed esponenti di rilievo della ‘ndrina Cristello di Mileto (Vibo Valentia), a capo della locale di Seregno.
Uno su tutti, quello di Umberto Cristello. Classe ’67, nato a San Giovanni di Mileto, «in possesso – secondo i magistrati – di dote elevata conferitagli dal fratello Cristello Rocco», lo storico capo della locale di Seregno ucciso da alcuni esponenti delle ‘ndrine rivali Stagno-Novella-Vallelonga nei pressi della sua villa a Verano Brianza il 27 marzo 2008.
Il nome di Umberto Cristello figurava già negli atti del processo ‘Ulisse’ (dal nome del principale indagato e poi imputato Ulisse Panetta, capo-società con dote di vangelo della locale di Giussano), scaturito fra il 2012 e il 2013 da una costola dell’inchiesta Infinito e reso possibile in larga parte dalle dichiarazioni di alcuni pentiti fra cui Antonino Belnome, ex boss della locale di Giussano originario di Guardavalle (Catanzaro).
Umberto Cristello si contestava di aver coadiuvato il fratello – così nell’ordinanza del gip di Milano Andrea Ghinetti del 4 settembre 2012 – «nei traffici di droga e nella gestione degli investimenti dei proventi del traffico illecito», in qualità di «partecipe» della locale di Seregno. Verrà condannato per associazione di tipo mafioso dal Gup di Milano con sentenza divenuta irrevocabile nel 2013.
Scarcerato di recente, Cristello è ora accusato di aver gestito insieme ad altri vibonesi – anch’essi arrestati nell’operazione di giugno – quali Carmelo Cristello, classe ’72 e cugino dello stesso Umberto, Nicola Ciccia, classe ’80, Antonio Apa, classe ’84, e Andrea Foti, classe ’80, gli interessi di un’organizzazione mafiosa di stampo ‘ndranghetista attiva da decenni fra Seregno, Giussano, Meda, Mariano Comense e Cabiate nel traffico di droga e nel business dei servizi di sicurezza dei locali notturni, nel recupero crediti e nella gestione dell’attività dei rivenditori ambulanti di panini.
Alla stessa locale seregnese avrebbero partecipato anche Luca Vacca, classe ’83 originario di Carbonia, il suo uomo di fiducia Daniele Scolari, classe ’87 nato a Como, e Flavio Scarcella, di Corsico, ritenuto partecipe del clan Barbaro-Papalia e già condannato dalla Corte d’Appello di Milano nel 2018 per associazione mafiosa.
I capi d’imputazione contestati vanno dal traffico internazionale di stupefacenti all’associazione a delinquere di stampo mafioso, dall’usura all’estorsione, fino all’acquisizione indebita di esercizi pubblici.
Nelle mani del clan, la filiera dei locali di pubblico intrattenimento e della rivendita ambulante di panini. Dove era uso dei membri creare, com’è nel tipico stile dell’organizzazione mafiosa, un clima d’intimidazione e di omertà, «anche grazie alla spendita del cognome Cristello».
In particolare, Umberto Cristello – a quanto si legge nell’ordinanza dell’inchiesta “Freccia” – «si avvaleva della forza di intimidazione derivante dalla sua notoria appartenenza alla ‘Ndrangheta» allo scopo di «acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche» o di imporre «la propria volontà in merito alle postazioni di vendita».
«Ma è uno storto, uno storto è! – così in un’intercettazione ambientale del 10 agosto 2018 – Volevano fare i duri… volevano mettere un camion di panini al Molto! “U Curtu” glielo disse che li taglio la testa a tutti quanti! … Non vi permettete di avvicinarvi che vi sparo a tutti quanti! Vi sparo!».
Allo stesso modo, il cugino Carmelo Cristello «esercitava il controllo del territorio e delle attività economiche», dirimendo le controversie attraverso il proprio intervento «con modalità tipicamente mafiose».
«Ascolta, eh, forse sai chi sono io… comunque va beh, mi chiamo Cristello! … sono già stato nel tuo locale. Ti ho inquadrato già (…) lui non si deve permettere di parlare di denunce e tu altrettanto… già che mi parli di denunce inizia una cosa a non piacermi! Hai capito? Denunce di qua, denunce di là, la vita si fa tra uomini! (…) Se tu ritieni di fare il furbo con questa persona qua non ti permettere eh! Non ti permettere!»

Una colonizzazione mafiosa, quella dei Cristello, che si è insinuata nel tessuto economico-sociale brianzolo, con modalità tutt’altro che nuove. Sempre gli stessi nomi che ritornano. Gli stessi soggetti, metodi e strategie criminali. A dispetto delle tante inchieste, del calibro di ‘Infinito’, ‘Tenacia’, ‘Redux Caposaldo’, ‘Ulisse’, ‘Disco Italia’, ‘Bagliore’, ‘Ignoto 23’, ‘Ossessione’, condotte nell’ultimo decennio contro le locali di ‘ndrangheta a cavallo tra la Brianza, l’hinterland milanese e il comasco.
È, fra l’altro, dello scorso 29 dicembre la notizia dell’operazione eseguita una settimana prima dai carabinieri della Compagnia di Seregno, che ha portato alla chiusura per infiltrazione mafiosa di un disco pub di Giussano, il “Deja Vu”, colpito da un’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Monza e Brianza. Le quote del locale erano infatti detenute al 50% da Nazareno Stagno, figlio del capo-locale della ‘Ndrangheta di Giussano Antonio Stagno, a sua volta nipote del capo-bastone Rocco Stagno, ucciso in un macello e seppellito in una fossa a Bernate Ticino il 29 marzo 2010, nonché cognato del defunto boss Rocco Cristello.
Di Antonio Stagno, condannato in via definitiva per associazione mafiosa il 6 giugno 2014 nell’ambito del processo Infinito, si ricordano i racconti dei collaboratori Antonino Belnome Michael Panajia sulle rivalità con il cognato per motivi di affari e, in particolare, per l’avvio (nel settembre 2007) di un’attività estorsiva per 500mila euro ai danni di Massimiliano Fratea Pasquale Sessa, di Francica (Vibo Valentia), titolari della concessionaria di auto “Selagip” di Giussano, «senza il preventivo assenso» di Belnome e dei Cristello. O sui conflitti tra i Gallace (alleati dei Cristello) e i Novella (referenti degli Stagno) che portarono agli omicidi di Carmelo Novella, capo della “Lombardia” con ambizioni “secessioniste” assassinato da Belnome e Panajia nel circolo “Reduci e combattenti” di San Vittore Olona il 14 luglio 2008; e di Antonio Tedesco, macellaio di Guardavalle in stretti rapporti con Novella, consumato nel maneggio “La masseria” a Bregnano (Como), il 27 aprile 2009, per mano di Antonio CarnovaleLuigi Caristo, Salvatore Di NotoSergio Sestito e Maurizio Napoli.
Omicidi, quelli di Novella e Tedesco, per i quali – sulla base delle rivelazioni dei pentiti – è stato riconosciuto il ruolo di mandanti a Vincenzo Gallace, boss di Guardavalle condannato in via definitiva all’ergastolo al termine del processo Bagliore nel febbraio 2016, e ad Andrea Ruga, padrino di Monasterace, deceduto un mese prima della condanna. Ai due non andava giù il progetto di un distacco della Provincia lombarda dalla “casa madre” calabrese. Al che andava a sommarsi – come documentato dall’inchiesta Ulisse – la sempre più marcata ostilità fra gli Stagno e i Cristello, con l’escalation di vendette e ritorsioni che ne seguì. Fra telefonate intimidatorie, proiettili, bottiglie incendiarie lasciate dal clan Stagno alla Selagip e al “Quindici”, bar di proprietà riconducibile a Domenicantonio Fratea (fratello di Massimiliano), e gli attentati alle auto degli stessi rivenditori da parte dei Cristello (che tentavano così di riscattare la perdita del denaro estorto senza permesso dagli Stagno). Gli imprenditori, che pure sono “vittime” della violenza mafiosa (per giunta di ambo le parti), preferirono dal canto loro trincerarsi dietro al muro dell’omertà. Conterranei degli stessi ‘ndranghetisti in guerra, si rivolsero ad un mediatore.
Quanto all’assassinio di Rocco Stagno, le origini del gesto risalirebbero – secondo quanto riferito da Belnome – all’episodio della sua cattura che lo vide, interrogato dagli investigatori, fare il nome dell’”altro Rocco”, capo dei Cristello. Quest’ultimo sarebbe stato ucciso proprio nel corso di queste rivalità. Non prima di essere arrestato per droga nel 2006 e scarcerato nel 2007 sulla base di una licenza premio concessagli dal direttore sanitario del carcere di Monza Francesco Berté (all’epoca non indagato). In cambio, il boss venne messo in contatto con tale Sergio Riboldi, referente del Movimento europeo per i diversamente abili, perché – secondo la pista indicata dagli inquirenti – potesse procurare voti allo stesso Berté, come “favore” in cambio dell’ammissione ai lavori all’aperto presso il vivaio “Il Giardino degli Ulivi” di Carate (notorio punto d’incontro delle ‘ndrine).
Autori dell’assassinio di Stagno, sei vibonesi desiderosi di vendicare la morte di Cristello: Claudio Formica, di San Giovanni di Mileto, indicato come «capo-società della locale di Seregno con dote di trequartino»; Massimo Zanchin, imparentato con i Candela di Cessaniti; Francesco Elia, di San Giovanni di Mileto, ritenuto legato ai Cristello con dote di santista (e quindi vicino agli ambienti massonici); Leonardo Prestia, di Cessaniti, titolare del macello abusivo utilizzato per l’omicidio (e in seguito al quale fu fatto a sua volta santista); e i fratelli Francesco Rocco Cristello, di San Giovanni di Mileto, cugini del defunto Rocco.
Formica si è visto anche imputato – e nell’aprile 2020 condannato in via definitiva a 12 anni e 6 mesi – in uno stralcio del processo Ulisse per aver costretto con violenza e minacce insieme a Rocco Cristello (fratello di Francesco) l’imprenditore Roberto Gioffrè, socio del locale “Casino Royale Texas Hold’Em” di Paina di Giussano, a restituire cambiali per un valore di 70mila euro a Giovanni Giuseppe Brenna (condannati poi a 5 anni), cui aveva ceduto parte dell’attività tra il 2008 e il 2009.

Non paghi, gli ‘ndranghetisti della locale di Seregno – secondo le testimonianze della stessa vittima e del pentito Belnome – estorsero a Gioffrè beni e arredi per un ammontare di 30mila euro. E, in occasione di un incontro in un ristorante di Seregno, dove Gioffrè si presentò col fratello Francesco che a Seregno era consigliere comunale e – secondo i magistrati – aveva stretti rapporti con i Cristello, arrivarono persino a prenderlo a pugni e schiaffi, costringendolo a rinunciare al proprio credito con un coltello puntato al volto. Il risultato: la rottura dei rapporti col fratello (che nei verbali delle sit prese le distanze dalla versione di Roberto, con un atteggiamento definito nell’ordinanza “vicino alla connivenza”) e l’anticipazione del trasferimento all’estero da parte del denunciante e della sua famiglia. Oltre a Cristello e Formica, sono stati condannati in via definitiva anche Armando Cristello, di Francica, componente della locale di Seregno e gestore di un night club (11 anni), e Nicola Fraietta, di Guardavalle, membro della locale di Giussano (10 anni e 6 mesi).
Intanto, nel febbraio 2017, in separato processo riconducibile sempre all’inchiesta Ulisse, erano passate in giudicato le sentenze di condanna nei confronti di: Salvatore Corigliano, di Mileto, con dote di sgarrista, presente all’affiliazione di Belnome e partecipe a numerosi summit (6 anni e 8 mesi); Antonio Staropoli detto Tonino’, di Mileto, uomo di fiducia del capo-locale Rocco Cristello (6 anni e 8 mesi); Fortunato Galati, anch’egli di Mileto (8 anni); e Michele Silvano Mazzeo, di Comparni di Mileto (5 anni e 4 mesi), ossia colui che avrebbe trattato, in concorso con Antonio Stagno e con l’intermediario Francescantonio Mondella, l’importo della tangente da estorcere ai titolari della Selagip.
Appartenevano alla locale di Seregno anche: Peppino Corigliano, santista, subentrato come “reggente” dopo la morte di Rocco Cristello e la successiva cattura del suo omonimo cugino il 13 luglio 2010; Carmelo Rizzo, anch’egli santista, presente ai vari summit e alla visita del boss al capo-locale di Mariano Comense Salvatore Muscatello; e Michele Cristello (fratello di Carmine e di Rocco), che avrebbe custodito le armi della locale in un terreno agricolo a Seregno. Alla locale di Giussano partecipavano invece Rosario Salvatore Fraietta, promosso dalla dote di “camorra” a quella di “sgarro” in occasione di un summit e rimasto nel tempo in contatto con la locale calabrese di Guardavalle; Pasquale Fraietta, passato dalla dote di “santa” a quella di “vangelo”, e il già citato fratello Nicola; Giuseppe Di Noto, rimpiazzato con la dote di “picciotto” e adoperatosi per spostare ed occultare armi, al pari di Vincenzo Cicino, capo-società della locale di Guardavalle stabilitosi in Lombardia; e i fratelli Orlando e Antonio Demasi, custodi delle armi della locale (mitragliette, kalashnikov, bombe a mano) e in contatto anch’essi con la famiglia Gallace-Ruga.
Tornando infine al processo Bagliore – di cui si è detto sopra -, dopo un iniziale annullamento della sentenza di secondo grado con rinvio a diversa sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano, nell’ottobre 2019 la Cassazione ha confermato le condanne all’ergastolo per l’omicidio Stagno nei confronti dei vibonesi (i fratelli Cristello, Formica, Zanchin, Prestia), meno Elia. Il quale è stato beneficiato da un nuovo annullamento della condanna e, nel luglio dello scorso anno, anche dalla riconosciuta continuazione fra i reati di narcotraffico internazionale ed estorsione aggravata dal metodo mafioso nei rispettivi tronconi dell’inchiesta Ulisse. Ergastoli anche per Cristian Silvagna, di Bollate, e Sergio Sestito, di Palermiti (Catanzaro). 12 anni inflitti, invece, per associazione mafiosa a Domenico Tedesco.
(26 gennaio 2021)

Tratto da: wordnews.it

fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/306-giustizia/81950-ndrangheta-a-seregno-droga-e-denaro-alla-locale-dei-cristello.html