La Repubblica
‘Ndrangheta, 20 anni a ex esponente di Fratelli d’Italia
di Giuseppe Baldessarro
Giuseppe Caruso, ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, aiutò le cosche ad avere fondi europei
26 OTTOBRE 2020
BOLOGNA – Vent’anni di reclusione. A tanto è stato condannato Giuseppe Caruso, ex presidente del consiglio comunale di Piacenza di Fratelli d’Italia. I giudice del processo in abbreviato (dunque con lo sconto di un terzo della pena) che stasera si è concluso in primo grado lo ha considerato uomo di vertice della cosca di ‘ndrangheta con base in Emilia Romagna e affari in Lombardia. Caruso, all’epoca dei fatti funzionario Dell’agenzia nazionale della dogana, oltre che un ruolo di vertice tra i calabresi, avrebbe avuto anche quello di facilitare la cosca, aiutandola ad accedere a fondi europei in ambito agricolo.
Un boss alla stregua di Salvatore Grande Aracri, anche lui condannato a 20 anni, fratello del più noto Nicolino, considerato il capo indiscusso della cosca calabrese con interessi nel nord Italia. Oltre a Giuseppe Caruso, il giudice ha condannato anche il fratello Albino a 12 anni e 10 mesi di reclusione. Condannati anche diversi imprenditori locali che si erano piegati alle logiche mafiose pensando di fare affari con gli ‘ndranghetisti.
La corte ha riconosciuto l’intero impianto accusatorio dell’inchiesta “Grimilde” è accolto praticamente tutte le richieste della pm della Dda di Bologna Beatrice Ronchi. Salvi soltanto una manciata dei 47 imputati graziati dalla prescrizione dei reati che gli venivano contestati. Il dato più significativo è il riconoscimento dell’associazione di stampo mafioso e la confisca di beni per milioni di euro. Beni immobili e conti correnti che finiranno nelle casse dello Stato.
Al centro dell’inchiesta il clan calabrese radicato in Emilia Romagna e considerato, come nel sistema Aemilia parte integrante dei cutresi. Secondo la Dda il clan era attivo nel giro delle estorsioni, dell’usura e del riciclaggio che metteva in pratica grazie ad una fitta rete di insospettabili prestanome.
“Questa è una operazione che idealmente e materialmente rappresenta la prosecuzione del processo Aemilia”, aveva detto il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato. E così come Aemilia si è concluso (almeno in primo grado) con condanne pesantissime. Da vanno da un anno di reclusione, per le figure marginali, ai 20 anni per i capi dell’organizzazione. L’indagine è stata possibile anche grazie alle denunce di persone che erano finite nel mirino dei criminali guidati da esponenti della famiglia grande Aracri e al contributo di collaboratori di giustizia storici, come Antonio Valerio e Giuseppe Giglio, e anche nuovi.