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Navigando su internet abbiamo trovato questo resoconto dell’audizione della Senatrice Rosaria Capacchione,brava giornalista de Il Mattino ,da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella seduta del 23 giugno 2015,nemmeno un anno fa .Si tratta di un documento pubblico che tutti possono trovare in rete e leggere .Ad un certo punto ci siamo imbattuti nel nome della città di Gaeta .Fermiamoci qua.Il nome di questa città non é la prima volta che appare ogni volta che si parla di traffici di materiali vari e di contatti fra elementi della criminalità organizzata e delle istituzioni.Se n’é parlato ai tempi delle inchieste sui traffici da e per la Somalia con le navi della società italo-somala una cui nave – la 21 Ottobre –fu sequestrata e rimase a lungo nelle acque del porto di Gaeta.Su quei traffici,come si ricorderà,indagò Ilaria Alpi che finì come tutti sappiamo.Di Gaeta ne hanno parlato,inoltre,Carmine Schiavone ed altri Collaboratori di Giustizia.Ora ne parla anche la Senatrice Rosaria Capacchione.Ma cosa c’é a Gaeta ? Perché il nome di questa città ricorre sempre ogni volta che si parla di camorra,di traffici e di incontri strani? E come mai essa é diventata una sorta di polo di attrazione,insieme a tutte le altre città del sud pontino e del Basso Lazio, fino ad essere definita parte integrante della “provincia di Casale”,per vari clan ?

XVII Legislatura
Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
Resoconto stenografico

Seduta n. 47 di Martedì 23 giugno 2015
Sulla pubblicità dei lavori:
Bratti Alessandro , Presidente … 2

Audizione di Rosaria Capacchione, nella qualità di giornalista de Il Mattino:
Bratti Alessandro , Presidente … 2
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 2
Nugnes Paola  … 5
Capacchione Rosaria , Giornalista del Il Mattino … 5
Caleo Massimo  … 7
Capacchione Rosaria , Giornalista del Il Mattino … 7
Bratti Alessandro , Presidente … 8
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 8
Bratti Alessandro , Presidente … 9
Puppato Laura  … 9
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 9
Puppato Laura  … 9
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 9
Puppato Laura  … 9
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 10
Nugnes Paola  … 10
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 11
Nugnes Paola  … 11
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 11
Bratti Alessandro , Presidente … 11
Capacchione Rosaria , Giornalista del Il Mattino … 11
Arrigoni Paolo  … 11
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 11
Arrigoni Paolo  … 11
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 12
Nugnes Paola  … 13
Bratti Alessandro , Presidente … 13
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 13
Bratti Alessandro , Presidente … 13
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 13
Bratti Alessandro , Presidente … 13
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 13
Bratti Alessandro , Presidente … 14
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 14
Bratti Alessandro , Presidente … 14
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 14
Nugnes Paola  … 14
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 14
Nugnes Paola  … 14
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 14
Nugnes Paola  … 15
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 15
Nugnes Paola  … 15
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 15
Caleo Massimo  … 15
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 15
Caleo Massimo  … 16
Capacchione Rosaria , Giornalista de Il Mattino … 16
Caleo Massimo  … 16
Bratti Alessandro , Presidente … 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALESSANDRO BRATTI

  La seduta comincia alle 11.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori. 

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di Rosaria Capacchione, nella qualità di giornalista de Il Mattino.

  PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione della senatrice Rosaria Capacchione, nella qualità di giornalista de Il Mattino, che ovviamente ringrazio per la sua presenza.
La Commissione, come lei sa, si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti e alle bonifiche.
L’audizione odierna rientra nell’approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla regione Campania. Quest’anno è il ventennale della Commissione bicamerale rifiuti. Ci sono due argomenti, se non sbaglio, che sono sempre stati presenti in maniera costante in tutte le Commissioni. Uno riguarda le problematiche relative alla Campania.
Nell’impostazione del lavoro che faremo, proveremo a mettere in risalto aspetti non già conosciuti. Stiamo cercando di fare una ricostruzione di alcuni fenomeni.
Avverto la nostra audita che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Noi abbiamo già ascoltato il procuratore Ardituro, però non abbiamo ancora concluso l’audizione. Abbiamo sentito proprio ieri il procuratore Cafiero De Raho, focalizzandoci molto sulla figura del pentito Schiavone, per la necessità di approfondire e di capire quanto fosse attendibile. Dal lavoro che stiamo facendo, emerge una situazione abbastanza chiara di attendibilità per alcuni versi e di tanti punti interrogativi sul resto.
Cedo la parola alla senatrice Rosaria Capacchione per lo svolgimento di una breve relazione introduttiva, al termine della quale ovviamente seguiranno delle domande da parte dei commissari. Se ci sono delle parti che lei ritiene di tenere in segreta, ce lo dice e disattiviamo l’impianto audio.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Buongiorno a tutti e grazie. Visto che avete già audito il procuratore Cafiero e il dottor Ardituro, vi racconterò cose che dovreste avere verbalizzato, però da un altro punto di vista, ovvero come le ho vissute io.
Ho scoperto alcune di queste cose, non perché io abbia un particolare acume investigativo, ma semplicemente perché, facendo un lavoro che mi portava molto Pag. 3sul campo, mi trovavo di fronte ad alcune notizie ancor prima che fossero segnalate dall’autorità giudiziaria.
Io ho iniziato a occuparmi di rifiuti veramente per caso, tra il 1988 e il 1989, quando un amico cacciatore, che mi prendeva in giro perché ero ambientalista – gli regalavo i peluche del WWF – mi disse: «Siete tutti degli idealisti, perché non sapete come stanno le cose veramente. Noi, che battiamo la terra, conosciamo dei posti che voi nemmeno immaginate».
Un pomeriggio mi portò in un posto, un triangolo tra Mondragone, Castel Volturno e Cancello e Arnone, dove trovai all’improvviso una montagna di rifiuti di tal quale, con migliaia di gabbiani e la carcassa di una bufala morta a terra.
Era una discarica abusiva, poi diventata famosa: la discarica Bortolotto. Si trattava di una vecchia discarica comunale che era andata avanti senza proroghe, gestita da tale Giacomo Diana, successivamente arrestato anche per 416-bis e morto qualche anno fa, che prendeva un po’ di tutto.
Quella discarica è stata per lungo tempo il luogo dei primi accordi che furono siglati tra camorra, un certo tipo di imprenditoria e un certo tipo di politica. Su quella discarica fu siglato il primo accordo che riguardava lo smaltimento dei rifiuti urbani, tra il clan La Torre, gli smaltitori, gli amministratori e i camorristi – sostanzialmente erano un tutt’uno – sia di Mondragone sia di Sessa Aurunca. Sto parlando della zona nord della provincia di Caserta, al confine con il Lazio.
Questo signore cominciò un’attività. Soprattutto la fotografia della bufala fece molta impressione. Alcuni ragazzi, che lavoravano in una piccola associazione ambientalista di volontari nella zona di Mondragone, cominciarono ad andare a vedere che cosa accadeva.
In quello stesso periodo, ci fu il blocco del trasporto dei rifiuti urbani, in concomitanza con la chiusura delle discariche in Lombardia e in Toscana. Si creò così un’emergenza al di fuori della Campania, con la necessità di trovare dei siti alternativi dove smaltire l’RSU. Ci fu un surplus di arrivo, pertanto un decreto regionale vietò l’arrivo di rifiuti da regioni non confinanti con la Campania.
Questi ragazzi documentarono nottetempo – furono anche presi a fucilate, per la verità, per cui erano molto coraggiosi – l’arrivo di camion che venivano dal Nord, ossia dalla Lombardia e dalle altre regioni che avevano il problema dello smaltimento dei rifiuti.
Io personalmente ho ricostruito che proprio in quel periodo nasce quella che chiamiamo «ecomafia». In quel momento, viene partorito l’accordo strutturale tra queste tre componenti, cioè la politica, l’imprenditoria e la camorra che spara, perché quella è un’operazione ad altissimo reddito. Insieme all’RSU, cominciano a viaggiare anche rifiuti speciali e rifiuti industriali.
È datata proprio 1989 la nascita di Ecologia 89, la prima e unica società certamente mafiosa scoperta che si occupava di rifiuti, di cui voi avete ampie tracce nelle relazioni degli anni precedenti. Infatti, questa società fu scoperta nel 1991-1992 dai carabinieri di Napoli con l’operazione Adelphi, che disegnò uno scenario in cui c’erano produttori di rifiuti che arrivavano dalla Liguria (in particolare da La Spezia), dalla Lombardia, dalla Toscana e dal Piemonte, in genere collegati da una filiera massonica, che avevano dei terminali dello stesso tipo anche in Campania.
Ci fu l’ingresso ufficiale in società di esponenti del clan dei casalesi, per esempio Gaetano Cerci, parente di Francesco Bidognetti, che era stato più volte segnalato nei pressi di Villa Wanda e aveva frequentazioni strutturali con Gelli.
In quello stesso periodo, cominciano ad arrivare i rifiuti industriali, che poi troveremo negli anni successivi sia nella zona della discarica Bortolotto, che citavo poc’anzi, sia nella zona dell’area vasta di Giugliano, controllata da Gaetano Vassallo e poi da Cipriano Chianese.
Sono questi i nomi che ritroviamo costantemente nel corso degli anni in varie indagini che hanno riguardato i rapporti tra la politica e il clan dei casalesi.Pag. 4
Ciò che io ho notato in tutti questi anni, fino a che sono stata al giornale, è stato un gran proliferare di indagini che segnalavano questi problemi e l’assoluta mancanza di sentenze che sanzionassero gli stessi problemi.
Non sempre quello che noi stessi, come giornalisti, abbiamo descritto come un vuoto legislativo corrispondeva a un effettivo vuoto legislativo. Mi riferisco a Cassiopea a tutte le grandi inchieste-monstre di cui si è parlato in tutt’Italia.
Queste indagini, in realtà, nascevano morte, o perché venivano contestati reati inesistenti (non in quanto non coperti dal Codice penale, ma semplicemente in quanto non erano quelli), o perché si arrivava in una maniera talmente tardiva rispetto alla scoperta del fatto da lasciar immaginare che non ci fosse una volontà vera di perseguire il fenomeno.
Nel corso degli anni, mi sono convinta che in effetti era così: se possiamo parlare di un sistema ecomafie, è proprio perché si tratta di un sistema.
In un sistema, non c’è solamente la componente violenta mafiosa, che può servire a garantire il controllo del territorio in una determinata zona, per evitare, per esempio, che le proteste popolari superino un certo livello di guardia e per fare in modo che siano normalmente gestibili.
In un sistema c’è bisogno di tutte le componenti. C’è bisogno di sindaci che identifichino un luogo piuttosto che un altro. C’è bisogno di consiglieri regionali o di presidenti di regione – sto facendo un esempio, non sto pensando a nessuno in particolare – che identifichino un’area piuttosto che un’altra nella regione dove collocare determinati impianti. C’è bisogno del vigile urbano o dell’ufficiale dei carabinieri che passi davanti a una cosa e non la veda. C’è bisogno del magistrato che apra un fascicolo e non lo chiuda. Altrimenti, non sarebbe un sistema, ma un episodio singolo.
Venticinque anni di racconti di queste vicende mi hanno convinto che le cose sono andate più o meno così. D’altronde, c’è una parte che è contenuta in inchieste giudiziarie che sono pubbliche. Non sto rivelando nulla di segreto. Magari, messo tutto insieme, può sembrare dirompente, ma in realtà sono tutte cose pubbliche.
Nel 2005 un’inchiesta del dottor Cantone, che allora era alla DDA di Napoli, portò all’arresto di Michele Orsi. Gli atti furono trasmessi a Roma, che gli diede gli arresti domiciliari. Michele Orsi, di Eco4, era l’uomo dell’accordo tra politica e camorra nell’emergenza rifiuti del 2002-2003 e in quella 2007-2008. In estrema sintesi, è l’uomo che compare nell’inchiesta Cosentino.
Quella fu una piccola indagine, che portò all’arresto ai domiciliari di Michele Orsi, ma che disegnò uno scenario molto più ampio di collusioni e di connivenze, che andavano dal funzionario di prefettura al magistrato e al vigile urbano, i quali concorrevano, anche se in quel caso fu un fatto episodico, a un piano un po’ più ampio.
Ritroveremo questi nomi negli anni, anche in altre indagini e anche con ruoli differenti. Michele Orsi in seguito è stato ucciso. Sergio Orsi adesso è stato arrestato, ma lo ritroviamo in altre indagini, per esempio, insieme ad Angelo Brancaccio, che all’epoca era sindaco di Orta di Atella e in seguito è stato consigliere regionale dei DS e, dopo l’arresto, transitò in Udeur e partiti di questo tipo.
Brancaccio faceva parte della stessa filiera, aveva le stesse amicizie e le stesse frequentazioni. Insieme ai fratelli Orsi, che nel 2003-2004 aveva tesserato nei DS, era l’interfaccia di Forza Italia per i rapporti con Cosentino sugli equilibri che riguardavano il Consorzio CE4 ed Eco4, la società di servizio che curava lo smaltimento sulla zona di Mondragone.
L’appartenenza politica diventa estremamente relativa, come in tutte le cose di mafia. C’è solamente una convenienza di vicinanza a chi in quel momento gestiva.
Brancaccio era il sindaco di Orta di Atella e aveva deciso di fondare una multiservice, per gestire lo smaltimento e la raccolta dei rifiuti, oltre ai tributi, alla manutenzione stradale e altro, in una certa area del territorio. Lui, in quell’epoca, era nei DS, però, con lo stesso Pag. 5cinismo politico, nella zona confinante, dove invece era egemone Forza Italia, siglava gli accordi con Forza Italia. Non posso escludere che avesse dodici tessere di partito. Se gli fossero servite, non si sarebbe posto il problema.
In questo contesto, nasce l’emergenza rifiuti del 2002-2003, che si rivelerà una fonte di guadagno smisurata, tutta fondata su una grande approssimazione, su una gestione molto disinvolta dei siti e su una conduzione clientelare e corrotta sia da parte dei funzionari del commissariato di Governo sia da parte di chi era preposto ai controlli.
Penso ai carabinieri del NAS e del NOE, che spesso facevano i «controlli controllati», cioè andavano e mettevano le carte a posto, come si fa a volte in alcune verifiche fiscali, dove si fa una piccola multa e poi è tutto a posto. Lì andavano, magari facevano un piccolo rilievo e poi erano salvi per tutto il resto.
Parliamo delle discariche di Chianese e di Vassallo, che sono quelle che hanno ospitato la maggior parte dei rifiuti che venivano dalla ACNA di Cengio e tutta la porcheria possibile che viaggiava per l’Italia in quel periodo storico preciso a cui ho fatto riferimento, a partire da allora fino a qualche anno successivo.
Evidentemente in quel periodo capiscono che l’emergenza rifiuti può diventare strutturale e una fonte di guadagno stabile. C’era un’emergenza effettiva nel 2002-2003, che poteva diventare un cespite importante.
Infatti, in varie indagini apparentemente non collegate, svolte dalla DNA e dalla DDA di Napoli su vari argomenti, che vanno dalla cattura dei latitanti Zagaria e Iovine ad altre questioni, si sono scontrati sempre con qualcuno che si stava interessando dell’acquisizione di aree da destinare a discarica, sito di stoccaggio o imprese di trasporti.
Questo accadeva subito dopo la prima emergenza rifiuti, quella di cui si parla a proposito dei rapporti con i servizi segreti e su cui c’è un’ampia pubblicistica un po’ ovunque. Subito dopo, ci troviamo in questa situazione in cui si tende a strutturare un’emergenza.
In quell’epoca, Michele Zagaria era latitante, in base a un provvedimento che nasceva da un’indagine di Cantone riguardante gli investimenti fatti da Zagaria in Emilia-Romagna e in Lombardia.
Nel 2006, durante una perquisizione fatta dai carabinieri del ROS, viene trovata in casa di Pasquale Zagaria, fratello di Michele Zagaria, una carta di credito, che immagino tutti quanti noi vorremmo avere nella vita, non collegata a nessun conto corrente e illimitata. In realtà, era collegata a una banca di appoggio, che aveva la sua filiale in Lussemburgo, quindi evidentemente la provenienza dei soldi era garantita da quel conto.
Nei fascicoli del promotore finanziario che gestiva la pratica di Pasquale Zagaria, c’erano una serie di persone che avevano fatto dei piccoli investimenti con Fideuram. Difficilmente un contadino di Casapesenna conosce l’esistenza di Fideuram. Erano dei conti dove confluivano i fitti delle aree di stoccaggio delle ecoballe.

  PAOLA NUGNES. Ho perso il filo del discorso.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista del Il Mattino. Questo promotore finanziario gestiva delle pratiche, tra le quali c’era quella di Pasquale Zagaria, con la famosa carta di credito bellissima, e una serie di piccoli clienti (contadini, braccianti), che avevano dei conti nella stessa banca, dove confluivano i fitti dei suoli delle ecoballe.
L’ipotesi, che non è stata mai approfondita, ma è quella che viene ritenuta più verosimile, è che in realtà si trattasse di prestanome di Zagaria e che quei fitti fossero destinati allo stesso Zagaria. Infatti, quel promotore finanziario gestiva i conti della famiglia di Zagaria.
Nello stesso periodo, tra il 2006 e il 2007, comincia una serie di attività di acquisizione di suoli sia in provincia di Caserta sia al confine con Napoli sia a Pag. 6Chiaiano, per l’allargamento dell’area di stoccaggio e di smaltimento dei rifiuti, con interventi diretti di prestanome o dello stesso Pasquale Zagaria, che – lo ripeto – all’epoca era latitante. Ci furono accordi per l’acquisizione a prezzi superiori, concordati in altro luogo, e rapporti documentati con alti funzionari di FIBE.
Stiamo parlando di un’epoca in cui l’emergenza non c’era ancora. L’emergenza scoppia nel 2007. Tra il 2007 e il 2008 vengono portate a compimento una serie di iniziative. I rifiuti finiscono effettivamente in queste discariche, che erano state create e ingrandite nel periodo precedente.
Il trasporto dei rifiuti venne affidato, con una trattativa privata, a una serie di ditte, quasi tutte di Casapesenna, tutte direttamente riconducibili a Zagaria e poi sequestrate negli anni successivi, o a persone che nel corso degli anni erano state arrestate con Zagaria o accusate di avere rapporti con quest’ultimo. Era una piccola costellazione di autotrasportatori che ruotava intorno a Zagaria.
Molte di queste ditte non avevano la certificazione antimafia, ma, nonostante questo, furono destinatarie di appalti a trattativa privata, basati sull’emergenza, attribuiti dalla prefettura di Caserta.
L’assenza della certificazione antimafia fu formalmente rilevata nell’aprile del 2009, quindi a emergenza abbondantemente ricomposta e ricollocata.
Non c’era nulla di segreto nei nomi di queste persone. Chiunque poteva sapere che queste persone non erano quelle più idonee.
Circa un anno dopo questo fatto io me ne sono occupata col giornale. Peraltro, furono presentate delle interrogazioni parlamentari su questa vicenda, una alla Camera e una al Senato. La stessa cosa fu scritta anche da Il fatto quotidiano.
Venni a sapere, da una mia fonte confidenziale, che in realtà tutto questo era stato frutto di una trattativa (utilizzo un termine un po’ abusato). Ad alcune fonti istituzionali servivano subito dei suoli, perché c’era un’emergenza da gestire, ma serviva anche che la gente non protestasse. Gli altri risposero: «Noi abbiamo questo e quello, e in cambio vogliamo movimento terra e trasporto».
Di tutto il movimento terra nelle discariche, anche in quelle che erano già precedentemente utilizzate, si sono occupate ditte di persone che sono state successivamente coinvolte in indagini, sempre con Zagaria o con Iovine.
Le piazzole di stoccaggio sono state realizzate tutte da imprenditori arrestati e condannati nell’ambito di indagini che riguardano sempre Iovine e Zagaria.
Le proteste sono state molto limitate, perché, con la scusa del ristoro, si è tenuta buona molta gente.
Il trasporto è stato gestito da ditte tutte direttamente riconducibili a Zagaria. In un caso specifico – penso a Chiaiano ma anche al CDR di Santa Maria Capua Vetere – il trasporto era affidato a un consorzio di trasportatori, il cui capofila era Carandente Tartaglia, un uomo poi coinvolto nelle indagini insieme a Zagaria per la gestione della discarica di Chiaiano.
Stiamo parlando di una filiera organizzata, che vede coinvolte sempre le stesse persone.
Quello che ho trovato sempre piuttosto sconvolgente è che in realtà queste cose non erano affatto segrete. Alcune le avevamo scritte noi sui giornali. Non c’è mai stata risposta a quelle due interrogazioni. Non c’è mai stato nulla di segreto.
Nel 2006, in epoca temporalmente compatibile con quell’accordo che mi fu raccontato e di cui io parlai, tra un esponente degli apparati di sicurezza in genere (non era uno del SISMI-SISDE, ma poteva essere dello SCO o di un apparato di sicurezza qualunque) e Zagaria, che ritengo essere Pasquale Zagaria, visto l’arco temporale di cui stiamo parlando e la sua presenza diretta su altri scenari come Chiaiano, ci furono tre informative del NOE, svolte dalla procura di Santa Maria Capua Vetere.
Tali informative segnalavano la presenza di imprenditori mafiosi nella filiera del trasporto dei rifiuti e riportarono anche il nome di Carandente Tartaglia, il capofila del consorzio dei trasporti.Pag. 7
Di queste informative, risalenti al periodo tra il 2006 e il 2007, non c’è traccia, ovvero ci sono le informative, ma non ci sono mai state le indagini compiute e non c’è mai stato un procedimento giudiziario che abbia avuto un qualunque esito.
Le informative furono mandate alla procura di Santa Maria Capua Vetere. Non mi risulta che siano state mandate anche alla procura di Napoli. Questa francamente mi sembra una cosa bizzarra, visto che segnalavano la presenza di personaggi in odore di mafia. Tuttavia, non compete a me stabilirlo. Comunque, sarebbe dovuta essere la procura che le riceveva a rilevare l’incompatibilità.
Su questo, non c’è mai stato un procedimento formalmente aperto. Mi risulta che queste informative siano finite in un fascicolo che poi è stato archiviato.

  MASSIMO CALEO. Binario morto.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista del Il Mattino. No, sono state proprio archiviate. Sono finite in un posto dove si parlava di altro. È un modo molto pratico per far sparire le carte.
Questo mi lascia pensare che, in realtà, tutto questo sia stato voluto, agevolato e assecondato, così come era avvenuto negli anni precedenti con l’accordo che era stato siglato con i fratelli Orsi per ciò che riguardava Eco4 e CE4.
CE4 era il consorzio di bacino che abbracciava la parte nord della provincia di Caserta. Eco4 era la società di servizio di cui facevano parte i fratelli Orsi, che nascevano all’improvviso come imprenditori dei rifiuti, competitor di tale Nicola Ferraro di EcoCampania, altro colosso della raccolta di rifiuti in provincia di Caserta, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, che però faceva parte di un altro schieramento camorristico.
Ci fu una gara costruita su misura, perché la vincesse Sergio Orsi. Infatti, erano previsti dei requisiti che Orsi aveva e Nicola Ferraro non aveva. Era un bando costruito per i giovani imprenditori. Nonostante Nicola Ferraro avesse provato a introdurre qualche socio giovane, la gara fu vinta da Orsi.
Ci fu un’operazione successiva di sopravvalutazione della stessa Eco4, che portò a tutte le indagini terminate con i numerosi arresti e condanne per Orsi.
L’uomo forte di quel raggruppamento era Sergio Orsi, mentre quello più esposto era Michele Orsi, che è stato la prima vittima eccellente nel periodo della strage di Setola. È stato ucciso il primo giugno del 2008.
In realtà, Orsi è stato ucciso a Casal di Principe e non si è ben capito ufficialmente chi abbia voluto quella morte e chi l’abbia agevolata. Sappiamo solo chi l’ha eseguita. Non era particolarmente difficile in quel periodo. Chi l’abbia voluta e pensata e chi abbia consentito che a Casal di Principe, di domenica a ora di pranzo, venisse ucciso un personaggio come Michele Orsi, che in quel momento aveva iniziato a collaborare con la giustizia, sia pure sotto la forma di colloqui difensivi e non come collaboratore a tutti gli effetti, è ancora un capitolo da scoprire.
Ci sono le testimonianze della vedova di Michele Orsi, che indicano una possibilità di movente. C’è una ricostruzione logica che è possibile fare.
Dalla lunga esperienza sul campo che ho fatto, so che non era possibile a Casal di Principe uccidere una persona di quel livello, di quel tipo, di domenica, senza trovare impiccato il giorno dopo l’esecutore materiale.
In quel periodo, a Casal di Principe c’era libero il figlio di Schiavone, Nicola Schiavone, adesso condannato all’ergastolo, anche se non con sentenza definitiva, al 41-bis. A quell’epoca, invece, era libero.
C’erano una serie di interessi convergenti a far tacere Michele Orsi, che era il più fragile dei due fratelli.
Apro una parentesi. Io ho parlato diverse volte con Sergio Orsi dopo l’omicidio del fratello. Prima per me era soltanto un nome, non lo conoscevo neppure. L’ho conosciuto il giorno dell’omicidio del fratello. Lui ci tenne a venirmi a salutare, per dirmi che gli avevano riferito che c’era una Pag. 8certa macchina, che effettivamente c’era, che faceva parte del commando. Orsi mi disse: «Anche se lei è stata sempre cattiva con noi, è stata sempre giusta, quindi le voglio dire questa cosa».
Nei mesi successivi è venuto più volte, compatibilmente con il suo stato di libertà o di detenzione, a trovarmi al giornale, perché voleva sapere o voleva parlare. Una volta voleva un contatto con Cantone, un’altra volta con Ardituro, anche se in realtà il pubblico ministero che gestiva il suo fascicolo era Milita. Erano sfoghi di una persona che finisce sotto inchiesta. È sempre stato come coloro che sono sospesi: una volta voleva collaborare e un’altra volta aveva paura di collaborare. Era anche molto furbo.
Il fratello Michele, invece, era emotivamente più debole e anche più disponibile a un’effettiva collaborazione.
Nessuno dei due ha mai accettato l’idea che potessero essere camorristi. Nella loro testa, identificavano il camorrista con il killer. Il concetto di colletto bianco nella loro testa non c’era.
Sergio Orsi diceva spesso: «Io vorrei parlare con un magistrato che non mi dica che sono un camorrista. Poi magari lo sono pure, però mi deve spiegare perché lo sono. Io sono un imprenditore». Io ho provato qualche volta a spiegargli questa differenza, ma non ci sono riuscita.
Loro avevano una caratteristica: venendo da famiglie normali, avendo sposato una professoressa e avendo figli laureati, ci tenevano al riconoscimento della loro non mafiosità. Dovevano fare ancora un percorso.
Michele forse tra i due era quello che aveva capito meglio che si poteva essere camorristi senza sparare. È per questo che è stato ucciso Michele.
Michele Orsi è stato anche lasciato solo, per la verità. Infatti, nei mesi precedenti al suo omicidio e prima ancora che Setola venisse scarcerato e poi evadesse – sto parlando del gennaio 2008 – c’erano già state una serie di avvisaglie, che stavano a dimostrare che Michele Orsi correva un serio pericolo.
Delle dichiarazioni improvvide erano state pubblicate, non si sa bene come e perché, su alcuni giornali locali, che sono sempre gli stessi, e lo avevano oggettivamente esposto a un pericolo. Erano dichiarazioni segrete, che furono pubblicate. Questo creò una serie di problemi: lo pedinarono, gli incendiarono dei camion…

  PRESIDENTE. Erano dichiarazioni segrete rilasciate in sede giudiziaria ?

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Sì. Mi si potrebbe chiedere perché, io che sono giornalista, parlo di questo. Io parlo di questo perché, pur essendo stata sempre piuttosto attenta alle cose che accadevano, non ho mai pensato che si potesse far correre il rischio di morte a una persona. C’è un limite oltre il quale non bisogna andare.
Peraltro, quel tipo di informazioni a me non sono mai arrivate. C’è una filiera che diffonde determinate notizie volutamente. Io personalmente non ho mai conosciuto persone che mi dessero un’intercettazione illegale. Eppure, ho scritto qualche tonnellata di pagine di giornale nella mia vita e ho frequentato sempre gli ambienti giudiziari. Dipende da chi è disponibile a ricevere determinate informazioni e dall’uso che ne vuole fare.
Magari potevo anche sapere determinate cose, ma non le potevo documentare. Le tenevo lì, sapendo che c’era uno scenario intorno al quale si stava lavorando. È una cosa diversa dal pubblicare, parola per parola, il verbale d’interrogatorio di due giorni prima di una persona che sta iniziando a collaborare con la giustizia.
Quando è arrivata la morte di Michele Orsi, in realtà, c’era già questo scenario. Per questo, anche se l’omicidio è stato eseguito materialmente da Setola durante la strategia del terrore, dopo l’istanza di rimessione degli atti che fu fatta dall’avvocato Santonastaso durante il processo Spartacus in appello, in realtà quella morte era stata decisa da prima.
È stato l’omicidio di più alto livello in quel periodo. È un omicidio la cui valenza strategica non è stata esplorata fino in Pag. 9fondo, proprio perché chiama in causa responsabilità che non sono solo quelle del killer. C’era un interesse a uccidere Michele Orsi, che non era quello del killer.
Ci sono dichiarazioni di collaboratori che affermavano – su questo naturalmente non voglio esprimere giudizi – che quella morte faceva molto comodo a Nicola Ferraro. Ci sono dichiarazioni secondo cui quella morte faceva molto comodo a Cosentino piuttosto che a Landolfi, cioè ai politici che avevano gestito CE4 nella fase precedente.
In realtà, però, tutte queste indicazioni non hanno portato a un accertamento giudiziario su quale fosse il movente vero e su chi avesse dato il mandato. L’esecuzione non importa, è un dettaglio.
Questo resta un buco nero, così come è un buco nero, a mio avviso, la finta repressione giudiziaria che c’è stata per vent’anni nel settore delle ecomafie in provincia di Caserta.
Mi ha fatto molto impressione leggere, a distanza di molti anni, l’informativa dell’ispettore Mancini, che va letta nel suo insieme. Non vanno lette soltanto le dichiarazioni folcloristiche di Carmine Schiavone lì contenute.
Io l’ho letta quando ho visto l’intervista che Mancini aveva rilasciato a Sandro Ruotolo, quando era in ospedale ricoverato. Guardando le date e sapendo chi fossero gli interlocutori degli investigatori dell’epoca, mi sono venuti i brividi. In realtà, avremmo degli elementi per riscrivere la storia delle investigazioni antimafia in un’altra ottica.
Sto parlando con molta amarezza e con molta delusione. A chi nella battaglia ambientalista ha creduto davvero, non solo facendone cronache giudiziarie, fa male leggere e capire che in realtà molta repressione era finta.
La repressione non è mai arrivata veramente fino in fondo. Tante indagini, in realtà, hanno prodotto non più di una o due sentenze di condanna, ma molto parziali, perché definite in sede di giudizio abbreviato dal singolo imprenditore che aveva la necessità di chiarire la sua personale posizione.
Di tutto il resto, non abbiamo traccia. In realtà, non c’è nulla. Non è vero che ciò è avvenuto perché i reati si sono prescritti o perché il giudice è un cretino. Probabilmente, ciò è avvenuto perché era sbagliata l’indagine. Ci può essere la buonafede o la malafede. Non tocca a me stabilirlo e fare valutazioni di questo tipo. Tuttavia il fatto è questo: più di vent’anni di indagini nel settore non hanno portato a sentenze.
Non so cosa volete sapere di più.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA PUPPATO. In un’altra audizione, la vicenda dei fratelli Orsi, Sergio e Michele, ci è stata spiegata come conflitto tra due clan, Schiavone e Bidognetti, che si confrontavano negli appalti.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Si può spiegare anche così. Ho detto la stessa cosa.

  LAURA PUPPATO. La modalità con la quale si definiscono i vari clan è nota, magari più per voi che avete maggiore confidenza.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Vorrei chiarire che non si tratta di un clan, ma di un cartello. Erano quattro grandi famiglie, che agivano più o meno d’accordo, ma non necessariamente d’accordo.

  LAURA PUPPATO. In quel caso, quasi con la stessa formula che lei ha scelto, ci era stato detto che non era facile definire chi fosse il maggiore interessato tra costoro rispetto alla morte di Michele Orsi.
Da quanto lei dice, Orsi aveva già iniziato una sorta di collaborazione con la procura e addirittura erano usciti interi interrogatori. Io non avevo appreso questa informazione, neanche sulla stampa. Non è possibile che semplicemente si stesse Pag. 10scoperchiando il mare magnum di tutto il collegamento del sistema camorristico esistente ?
Lei all’inizio diceva che il sistema prevedeva sostanzialmente o la collaborazione esplicita oppure la tacitazione e l’inefficienza di alcuni corpi dello Stato e di alcuni meccanismi: forze di polizia, carabinieri, vigili urbani, sindaci, consiglieri.
È possibile riassumere le differenze evidenti tra un sistema con quelle caratteristiche e la situazione che oggi vive la Campania in quelle stesse terre, che ci permettano di capire se c’è un’evoluzione in positivo di quella situazione ?
Chi era il prefetto di Caserta negli anni 2006-2007, cioè negli anni antecedenti l’emergenza rifiuti, che hanno prodotto tutta quella situazione in cui molti hanno chiuso gli occhi e spento i riflettori ?

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. L’evoluzione c’è stata certamente, non so dire fino a che punto sia positiva.
Il clan dei casalesi come lo conoscevamo non esiste più, però è ancora in itinere la verifica su cosa sia diventato. Per quello che mi risulta, è diventato prevalentemente un clan di colletti bianchi e di imprenditori, molti dei quali, per la verità, sono sempre gli stessi, conservando la possibilità teorica di rimettere in campo un Setola qualunque, che domani mattina decida di riprendere a sparare.
Già prima degli arresti di Iovine e Zagaria, si erano attrezzati per puntare tutto sul settore bonifiche, tentando la scalata di alcune società e riuscendovi in alcuni casi.
La società, nello specifico, si chiamava Eco-Art. Peraltro, non so, anche in questo caso, che fine abbia fatto la denuncia dello scalato presentata alla DIA di Milano. Si trattò di un’estorsione bella e buona.
La società era in fase di accreditamento alla regione Campania. L’accreditamento fu bloccato, proprio perché, come scrissi, in occasione di un procedimento parallelo sulle misure di prevenzione, che non c’entrava assolutamente nulla, fu scoperto del tutto casualmente che questa società, apparentemente pulita, in realtà riconduceva sempre alle stesse persone.
Infatti, nell’ambito di quella procedura di prevenzione, furono disposti dei sequestri e delle misure di prevenzione personale nei confronti di imprenditori, originari di Casapesenna o di San Cipriano, che è sempre nell’agro aversano, i quali si erano trasferiti in Emilia-Romagna già da qualche tempo e si stavano muovendo su quella zona.
Questa società aveva acquisito dei brevetti a Modena, se non sbaglio, proprio per la bonifica di percolato e di rifiuti tossico-nocivi in forma liquida. Si erano già attrezzati per fare questo.
Peraltro, l’ANAC aveva bloccato alcune gare per la bonifica o per la messa in sicurezza, perché anche alcune di queste società erano palesemente infiltrate e riconducibili. Questa è l’evoluzione che c’è stata.
Se non sbaglio, il prefetto in quella data era Maria Elena Stasi.

  PAOLA NUGNES. Riprendo una delle domande poste dalla collega. Con il processo Spartacus è stato distrutto, almeno nella sua essenza principale, il clan dei casalesi. Come abbiamo già detto ieri, non è stata toccata invece quella parte di connivenza necessaria che era nella politica e in alcuni gruppi istituzionali. Comunque, aver tolto uno dei tre piedi al tavolino potrebbe darci la possibilità e la speranza di ritenere che si sia indebolito il sistema. La risposta è stata più o meno già data.
Un’altra domanda riguarda il periodo 2006-2007 e le dichiarazioni rese dall’allora assessore Ganapini rispetto alla presenza di esponenti dei servizi segreti all’interno dell’emergenza rifiuti e della gestione criminale che si stava perpetrando, in occasione del ritrovamento di alcuni compattatori abbandonati. Vorrei sapere se c’è stato un contatto tra lei e l’assessore e se le visioni coincidevano.
Mi chiedo se questa presenza dello Stato, che è la cosa che più ci preoccupa, non possa rigenerare il sistema, anche laddove colpiamo la mano criminale, visto Pag. 11che abbiamo contezza del fatto che, attraverso i commissariamenti e attraverso i servizi segreti, si mettono su questi sistemi.
Come lei giustamente ha detto e come molti di noi avevano intuito – forse solo adesso viene detto in maniera così chiara – le indagini erano sbagliate e le sentenze sono state sbagliate. Il problema non era solo la mancanza di strumenti legislativi.
Noi abbiamo un quadro estremamente grave e ho difficoltà a immaginare come si possa smantellare.
Vorrei sapere se conosce il nome di quel promotore finanziario che era alla base di quella struttura della banca di Lussemburgo di cui ha parlato poc’anzi, per quanto riguardava la carta di credito di Zagaria e i fitti dei terreni.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Parto dall’ultima domanda, perché è la più semplice. Non ricordo il nome, ma è facile rintracciarlo negli atti del procedimento a carico di Zagaria. Comunque, non l’ho citato nella memoria, perché la sua posizione fu stralciata e in seguito è uscito di scena (non ricordo se sia stato assolto, prosciolto o prescritto). Stiamo parlando del 2006, quindi di un fatto un po’ datato.

  PAOLA NUGNES. Per quanto riguarda, invece, il processo di Chiaiano, dove sta venendo alla luce la presenza dello Stato di cui ha parlato lei, ma anche il giudice Ardituro, che è stato qui poche settimane fa, lei, che sicuramente per attitudine starà seguendo questa inchiesta, reputa che abbiamo maggiori speranze di risultati ?

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Io credo che si debba fare una distinzione precisa tra la conoscenza di certi fatti, la ricostruzione logica di certi fatti e una prova processuale. Sono tutte incompatibili. Qualche volta, se si è fortunati, si riesce a farle entrare nello stesso contenitore.
Io, personalmente, ero arrivata alla conclusione che fossero presenti uomini e apparati. Ho fondate ragioni per escludere che si trattasse di servizi segreti. È una conclusione alla quale sono giunta autonomamente rispetto a Ganapini, il quale mi contattò dopo aver letto i miei servizi. Lui si riferisce a un’epoca precedente a quella da me indicata.
Io, infatti, ho parlato di due fasi: la fase dell’emergenza 2002-2003, quando c’erano Facchi, Ganapini eccetera; e una successiva, dove probabilmente si è pensato di mettere a sistema una cosa che aveva fruttato molti soldi.
Quelle di cui parlano Ganapini e Facchi sono persone dei servizi segreti. Quelle di cui parlo io quasi certamente non sono dei servizi segreti, ma di apparati generici di sicurezza.

  PRESIDENTE. La vicenda di cui parla Facchi, che è stato audito in questa Commissione, è relativa alla prima emergenza. Riferiva l’incontro che lui aveva avuto presso un distributore a Gaeta o a Teano. Non c’entra con la fase successiva, quella dell’ultima emergenza, sulla quale si diceva che fosse stata sbloccata in virtù delle cose che sono state dette poc’anzi.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista del Il Mattino. Io sono arrivata a pensare che in realtà l’emergenza sia nata perché c’era quel piano da portare avanti. Sono stati compiuti degli atti prima per rideterminare quell’emergenza, che negli anni precedenti aveva portato tante risorse non controllate, in virtù delle leggi sull’emergenza.

  PAOLO ARRIGONI. Poc’anzi lei, facendo riferimento a delle informative dell’ispettore Mancini, ha parlato di una consapevolezza e di una repressione finta messa in atto.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. C’è scritto, per la verità.

  PAOLO ARRIGONI. Vorrei sapere se, a qualche mese dalla sua entrata in vigore, lei considera il decreto sulla terra dei fuochi efficace per sconfiggere le ecomafie Pag. 12e per risanare il territorio, oppure ritiene che vi siano misure blande, ancorché finte, e intravede la necessità di porre delle norme correttive.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Non voglio inventarmi una competenza che non ho. Questo richiede una risposta tecnica, che onestamente non mi sento di dare. Posso dare una risposta in base alla mia conoscenza del territorio, che non è quella di un agronomo, naturalmente.
Si è sommata la percezione esterna di due fenomeni completamente diversi. Il primo è l’intombamento o interramento di rifiuti, che ha riguardato la gestione criminale dello smaltimento dei rifiuti (RSU prima e tossico-nocivi successivamente) lungo tutto lo stivale.
C’è stata una concentrazione particolare in Campania, nell’area al confine tra Napoli e Caserta, che era più «disponibile», anche in virtù della presenza del clan dei casalesi nel monolite dell’organizzazione mafiosa, che poteva garantire varie cose: controllo del territorio, rapporti con la politica, rapporti con la pubblica amministrazione, capacità di corruzione e tutto ciò che può fare un’organizzazione mafiosa, da non confondere con l’organizzazione che noi vediamo dentro la fiction di Gomorra, che non ha nulla a che vedere.
C’è poi quella parte visibile dei fuochi, che non c’entra nulla. Stiamo parlando dell’abbruciamento superficiale di scarti, di rifiuti industriali o di RSU che non viene smaltito in maniera corretta, che richiama direttamente la responsabilità dei produttori di quei rifiuti. Non c’entra nulla con quello che è successo prima.
Io faccio riferimento a quello che scrissi a suo tempo. Feci un conto empirico, con i dati Ispra e gli altri dati disponibili, su dove andavano a finire gli scarti industriali di una parte d’Italia dove la maggior parte della produzione industriale e artigianale è clandestina. Se io ho un laboratorio che fa le scarpe false, dove vado a smaltire i rifiuti ?
Infatti, qualche volta, parlando con la Guardia di finanza, ho detto loro: «Quando fate gli accessi, invece di contare e sequestrare solo il prodotto finito, contate anche lo scarto, per avere almeno un’idea di quanta di questa roba viene smaltita».
Questa roba viene smaltita semplicemente dandola a un povero disgraziato che si trova a passare. Gli danno 20 euro, talvolta 10, prendono i sacchi e gli chiedono di liberarsene.
È chiaro che un intervento di bonifica nel senso letterale del termine sulla parte superficiale abbruciata è possibile. L’esercito serve. Tutto quello che è contenuto nel decreto è utile.
Tuttavia, questo chiama in causa anche la responsabilità dei sindaci e della Polizia municipale di quei singoli comuni, che dovrebbero fare un po’ più di vigilanza. Questo imporrebbe anche un maggior rigore scientifico nell’identificazione dei produttori.
Per esempio, lessi che avevano sequestrato dei pozzi a Marcianise, una delle zone industriali delle provincia di Caserta, dove ci sono capannoni che fanno varie cose. Furono sequestrati questi pozzi, perché trovarono tracce di cloroformio. Ci furono fantasticherie di vario tipo. Si disse che il cloroformio deriva da rifiuti ospedalieri. Non è così, il cloroformio in genere viene utilizzato come componente dei collanti che servono per il PVC.
Mi chiesi: quante fabbriche di PVC ci possono stare in quella zona ? Cinque ? Dieci ? Quindici ? È un numero finito e anche piuttosto basso. Occorre andare a vedere dove smaltiscono la colla questi signori.
Servirebbe un orientamento di tipo scientifico nella repressione. Non mi serve che vai a sequestrare solo le scarpe. Tu devi andare anche a vedere chi le produce, dove le produce e dove smaltisce il rifiuto.
Il decreto va benissimo. Tuttavia, rispetto agli intombamenti e agli interramenti di 25 anni fa, non ha molta efficacia né la può avere, perché stiamo parlando di due fenomeni differenti.

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  PAOLA NUGNES. Ci vorrebbe un approccio investigativo, che è quello che in fondo ci vogliono togliere. Mi dispiace, ma lo devo dire.

  PRESIDENTE. Questa è una considerazione. Si riferisce al Corpo forestale. Ci sarebbe da aprire un lungo capitolo anche sull’argomento.
Rispetto al movimento di uno dei clan, quello di Bardellino, ieri il procuratore Cafiero De Raho ci diceva che, quando uno dei due clan perse su tutta la vicenda, si spostò verso il sud del Lazio.
Rispetto a questa situazione lei sa qualcosa ? Ovviamente tutto è sempre stato concentrato sulla questione campana, però, in realtà, c’è una preoccupazione rispetto a questo spostamento verso il basso Lazio, che emerge anche da una serie di gestioni di alcune attività imprenditoriali in quelle zone. Di questo si è mai occupata nel lavoro che ha svolto ?

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Certo, anche perché li andavano ad ammazzare pure là. Non gli lasciavano molta tregua. La famiglia dei fratelli di Bardellino è ormai in pianta stabile nel basso Lazio dal 1988. Antonio Bardellino scompare il 26 maggio del 1988. Da allora, è sopraggiunta una sorta di accordo con la famiglia: «Ti salviamo, se te ne vai».
Gli ultimi atti violenti furono un’aggressione a Ernesto Bardellino, durante la quale furono uccisi due dei suoi tre guardaspalle (il terzo fu ucciso l’anno successivo), e in seguito l’omicidio di Piccolo e il tentato omicidio di Parente a Gaeta. Ritroviamo Parente come trasportatore di rifiuti nella storia successiva a Gaeta.
C’è poi tutta una parte collegata strettamente a Michele Zagaria, con persone che sono state condannate – questo si sa – nella zona che, seguendo il Garigliano, va verso l’interno fino ad arrivare a Cassino, dove ci sono insediamenti ormai venticinquennali.
Faccio una premessa: già molto tempo prima Bardellino aveva proprietà, beni e attività economiche e imprenditoriali a Formia, come grandi discoteche e ristoranti, che poi hanno avuto storie strane. Uno di questi locali fu poi acquisito da Cipriano Chianese.
Uno dei grandi buchi, che è sempre stata una mia personale curiosità che non sono mai riuscita a soddisfare, è che fine abbia fatto il tesoro di Bardellino. In realtà, sono molti i tesori che non conosciamo e che hanno fatto fortune improvvise di persone insospettabili.

  PRESIDENTE. Rispetto all’ultima emergenza, quella del 2008 gestita da Bertolaso, se ho capito bene, lei ha detto che l’accordo che sembrava fosse stato fatto era del tipo: «Per il movimento terra e i trasporti non vi diamo fastidio, se ci fate smaltire rifiuti». Questo era l’accordo che si è concretizzato in quel periodo ?

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Di fatto, questo è accaduto: il movimento terra è stato gestito da persone che sono state arrestate e condannate nei procedimenti a carico di Iovine e Zagaria, e il trasporto è stato gestito da trasportatori della filiera di Zagaria. Non è scappato nulla.

  PRESIDENTE. Allo stato attuale, guardando le carte, a volte sembra emergere che quelli che si occupano dei trasporti, più o meno con ragioni sociali diverse, sono riconducibile alle stesse situazioni. Ci sono consorzi molto grandi. Ci sono anche delle indagini in corso. Il CIT, ad esempio, ha portato rifiuti in tutta…

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Per esempio, ci sono dei grossi autotrasportatori – penso a Caturano, con la Veca Sud e una serie di società collegate – che noi ritroviamo a spasso per l’Italia, nonostante le interdittive antimafia e nonostante siano stati coinvolti in più occasioni in indagini specifiche sul trasporto dei rifiuti.
La Veca Sud fu fermata, perché trasportava mangime, dopo aver trasportato le ceneri dell’inceneritore di Acerra a Brescia. Nonostante questo, continua a lavorare.

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  PRESIDENTE. Nel settore dei trasporti, avevamo verificato che erano coinvolte anche imprese siciliane.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Quella era un’altra indagine, che però era molto interessante.

  PRESIDENTE. Ciò che le chiedo è se, nel corso della sua attività, ha mai avuto segnalazioni o verifiche relative a un eventuale accordo tra i diversi sodalizi mafiosi in questo settore.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Per ciò che concerne i trasporti, non ne sono a conoscenza.
Tuttavia, questa indagine era molto interessante proprio sotto il profilo del fenomeno da studiare. Riguardava un’impresa di trasporti, la Paganese Trasporti, che era in accordo con dei trasportatori siciliani e calabresi per il trasporto su gomma dai mercati ortofrutticoli.
C’era un accordo di questo tipo: i siciliani coprivano la Sicilia, mentre la Calabria in genere era porto franco oppure era coperta quasi sempre dai casalesi. I casalesi coprivano l’ultimo tratto fino al mercato di Fondi, in accordo con i calabresi. I calabresi si occupavano del trasporto o comunque dividevano.
Infatti, proprio nella zona di Fondi ci sono fortissimi insediamenti riconducibili alla ’ndrangheta, collegati alle attività del mercato ortofrutticolo.
Immagino che lo stesso tipo di accordo, se è fatto sulla logistica per quello che riguarda il trasporto della frutta e della verdura, possa riguardare anche il trasporto dei mobili o di qualunque altra cosa, perché è un accordo funzionale anche dal punto di vista economico, in quanto in tal modo si risparmia.

  PAOLA NUGNES. Sulla recente questione dell’ex area Pozzi Ginori…

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Non è molto recente. Mi sembra che abbia almeno vent’anni. Io ho scritto vent’anni fa di questo.

  PAOLA NUGNES. Sappiamo che l’inchiesta è iniziata un anno fa, nel marzo 2014, e che è stata denunciata da un suo collega. Vorrei sapere, aldilà di quello che è già a nostra conoscenza, se lei valuta che ci sia, anche in questa faccenda, la mano dei casalesi e di Cosentino, oppure lo escluderebbe.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Me ne sono occupata circa vent’anni fa. Fu aperto anche un dossier. Se ne è occupata la regione Campania negli anni passati. In realtà, quello era un altro tipo di problema, che non si è mai voluto affrontare, ma non c’entra niente la camorra.
I siti industriali dell’epoca, che producevano anche sostanze pericolose, avevano la necessità di smaltire i rifiuti industriali. Mi riferisco alla ex Pozzi e alla Firema, che si occupava di costruzione e manutenzione di treni, in particolare di coibentaggio.
In quell’epoca, oltre vent’anni fa, in Italia c’erano pochissime discariche che potevano ospitare questi rifiuti. Pertanto, ritennero, ovviamente in maniera del tutto illegale, di fare meno danno costruendo in situ una discarica casalinga, come andava costruita, ma senza le autorizzazioni e, quindi, senza le verifiche e i controlli, intombando i rifiuti che producevano. Lo fecero perché non sapevano dove portare i rifiuti o perché il costo del trasporto all’estero era talmente alto da rendere completamente non competitiva l’attività. Stiamo parlando di aziende, tipo la Pozzi, poi Iplave, che poi hanno chiuso. Dunque, stiamo parlando di un periodo in cui queste aziende erano in crisi.
Dubito fortemente che avessero a che fare con i casalesi. Non lo posso escludere, ma non lo so.
Comunque, non era un fatto segreto. Perdonatemi la franchezza, ma ogni tanto mi fa ridere quando si fanno queste grandi scoperte. Io sulle terre di Iplave ho distrutto tre o quattro paia di scarpe, perché c’erano rovi, amianto, bidoni di vernici che non erano stati interrati. Queste cose sono state scritte. Sto parlando di quasi Pag. 15vent’anni fa. Sono stati fatti gli accertamenti dalla regione e dall’ARPAC. Le cose si dimenticano.
Sto parlando di quel vuoto giudiziario che francamente mi sembra increscioso, perché in realtà non c’era nessuna ragione per non fare le cose. Lì non mi portò un pericoloso informatore segreto, bensì il sindaco, il quale mi disse: «Dacci una mano a risolvere questo problema, perché questi se ne sono andati e hanno lasciato questo, e noi non sappiamo come toglierlo». Non sto parlando della talpa che ti porta nottetempo a vedere una cosa pericolosissima. Era una cosa nota.
Mi meraviglio che dopo vent’anni si faccia la scoperta. Siamo arrivati con troppo ritardo.

  PAOLA NUGNES. Adesso si sta scavando.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Si poteva scavare pure 20 anni fa. Nessuno l’aveva mai nascosto. Tutti sapevano che c’era quella situazione.

  PAOLA NUGNES. Di recente ci sono l’apertura del filone di inchiesta e il fatto che stiano scavando.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Mi fa piacere che dopo vent’anni stiano scavando.

  MASSIMO CALEO. Quest’ultima questione mi induce a una riflessione: mi pare di cogliere dalle parole della senatrice Capacchione alcune indicazioni comportamentali. Su queste questioni occorre andare piano, vedere le cose, studiarle, soprattutto non facendo di ogni questione un cavallo di battaglia di natura politica, che poi rischia di gettare nebbia su tutto il resto della situazione complessa, che è in Campania, ma anche fuori dalla Campania.
Vorrei chiederle una riflessione, se è in grado di rispondere. Lei pensa che il business delle bonifiche, come all’epoca coinvolse le associazioni malavitose, stia coinvolgendo adesso quel sistema a tre (politica, imprenditoria, camorra o ’ndrangheta) ? È possibile che si sia spostato il tiro dall’interramento al ripristino del sito ?

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Ho qualche indizio dimostrabile in tribunale e la certezza intima che sia così, perché hanno cominciato troppo presso la scalata di società di questo tipo per non essere, anche questa, una cosa studiata.
Noi ci stiamo facendo fuorviare, senatore, dal fatto che non si spari più. In fondo, fa comodo a tutti. Gli omicidi hanno una loro utilità – passatemi il cinismo – perché il morto ti ricorda che c’è il pericolo. Tu vedi il sangue e capisci che si muore.
Ora non stanno uccidendo, ma c’è una parte di quelle persone che sta continuando ad agire. Ce n’è una parte di persone che è cresciuta in quella scuola e che ha cominciato a fare quelle cose, giocando molto sull’impunità e sul fatto di non avere un passato criminale familiare alle spalle, ma sapendo che quella è un’attività molto redditizia.
Io lo dico perché ne sono profondamente convinta. Noi a volte sbagliamo l’approccio, troppo securitario e troppo poco di prospettiva, nella lotta alle organizzazioni mafiose, perché troppo spesso ci accontentiamo dell’eccellente risultato della cattura dei latitanti e degli assassini e ci tranquillizziamo.
Dimentichiamo una cosa: su un arco temporale, che ho stimato di almeno undici anni, fare il mafioso conviene, perché produce reddito veloce e sicuro, ti garantisce una sorta di welfare alternativo che funziona, ti garantisce il posto di lavoro, ti garantisce la scuola per tuo figlio, ti garantisce l’assistenza sanitaria di qualità, ti garantisce l’accesso agli appalti e a tutto il resto. Dura undici anni come media statistica, ma vivi quegli undici anni da re.
Se noi non teniamo presente questo, non andremo mai avanti. Ho fatto una statistica da quando si inizia a quando si viene arrestati la prima volta. Mediamente è tanto tempo. Naturalmente, come in Pag. 16tutte le statistiche, c’è qualcuno che viene arrestato dopo tre anni e qualcuno che non viene arrestato mai.
Comunque, per quel periodo conviene. L’organizzazione mafiosa ha un forte potere attrattivo, che è un sistema sociale.

  MASSIMO CALEO. Dunque, bisogna stare attenti a chi accende i fari.

  ROSARIA CAPACCHIONEGiornalista de Il Mattino. Peraltro, un Setola costa poco.

  MASSIMO CALEO. È stata molto chiara.

  PRESIDENTE. Noi ringraziamo la senatrice Capacchione. Se avremo bisogno di fare ulteriori approfondimenti, eventualmente la ricontatteremo. Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 12.20.