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Narcotraffico e ‘ndrangheta, La Svizzera restituisce un milione

Narcotraffico e ‘ndrangheta, La Svizzera restituisce un milione

Il Corriere della Sera, Venerdì 3 febbraio 2017

Narcotraffico e ‘ndrangheta, La Svizzera restituisce un milione
I soldi appartenevano alla famiglia Nirta che l’aveva investita sul territorio elvetico. Determinante l’accordo di collaborazione tra Roma e Berna. I fondi arrivano dal traffico di cocaina del clan, trapiantato in Val d’Aosta e il Sudamerica

di Elisa Sola

La Svizzera restituirà all’Italia i soldi dei conti correnti del narcotraffico in odore di ‘ndrangheta. Si tratta di un successo per il gruppo di inquirenti – i Ros e i carabinieri della polizia giudiziaria di Torino, coordinati dalla procura delle misure di prevenzione – che dal 2012 lavora sugli affari sporchi dei Nirta. Un nome noto alla Dda, quello della famiglia originaria di San Luca (Reggio Calabria), residente a Quart, in val d’Aosta. Un nome menzionato, in questi ultimi giorni, dalle cronache nazionali dopo l’arresto del capo della procura di Aosta Pasquale Longarini, intercettato in un’inchiesta – ancora in corso – della Dda di Torino sulla ‘ndrangheta in Val d’Aosta.

Affari con il Sudamerica

I soldi che la Svizzera invierà all’Agenzia nazionale dei beni confiscati, circa un milione di euro, sono parte dei proventi dal narcotraffico di cocaina a cui Giuseppe Nirta, classe ‘52, si dedicò negli anni scorsi, importando grossi partite di coca dal Sudamerica. Risorse che si trovano su conti correnti confiscati definitivamente dalla giustizia italiana, dopo il responso della corte di Cassazione. Nell’atto di sequestro anticipato il tribunale di Aosta scriveva di Nirta: “pericoloso socialmente”, con “molteplici e continuative frequentazioni con persone stabilmente inserite in contesti criminali anche di natura mafiosa”, proprietario di “un cospicuo patrimonio, cespiti immobiliari e ingenti somme di denaro occulte in istituti elvetici di origine oscura e non altrimenti spiegabile se non riconducendole al compimento di lucrose attività illecite”. I Ros hanno contatto almeno cinque viaggi in Spagna di Nirta, tra il 2007 e il 2008 e 14 in Colombia dal ‘94 al 2009.

Lo «scambio di bottiglie»

Per scoprire i conti in Svizzera, i carabinieri – che avevano intercettato una chiamata in cui in gergo si annunciava lo scambio di “200” bottiglie al confine elvetico, il riferimento era alle banconote – avevano studiato i movimenti di una società del Lussemburgo, la Terarg. Una sigla in apparenza a loro familiare. Perché era l’unione delle iniziali del nome e del cognome della madre dell’indagato. La società ha portato gli inquirenti ai due conti da 900mila euro. Alla fine, gli elvetici hanno collaborato, ammettendo che i soldi spettano all’Italia. Una dichiarazione che segue il respingimento da parte del tribunale federale dei ricorsi della famiglia. In virtù di un accordo bilaterale che lega il nostro paese a quello elvetico, la Svizzera tratterrà circa il 50 percento del denaro da restituire, in virtù del cosiddetto principio di “sharing” con il paese collaborante. Quello dei Nirta è un caso che fa storia. Spiega l’ex procuratore capo delle misure di prevenzione di Torino, Alberto Perduca: “E’ un esempio di come la cooperazione giudiziaria inizi a essere accordata all’Italia dai paesi stranieri anche nei procedimenti di prevenzione, non solo quelli penali”.

Il boss si dichiara indigente

Le autorità giudiziarie svizzere, sentendo odore di ‘ndrangheta – reato per cui Nirta non è stato condannato – hanno fatto pressione, attraverso la procura federale di Berna, direttamente sul gestore dei soldi. Il riservatissimo consulente finanziario della famiglia calabrese, uomo pagato per ricevere il denaro e “allocarlo”. Un professionista che è stato caldamente invitato a non avvalersi del segreto professionale. Ora, resta da compiere l’ultima missione. Liberare gli immobili che i Nirta occupano a Quart, nonostante da due anni ci sia stata la confisca definitiva. L’Agenzia nazionale dei beni sequestrati lo scorso luglio ha emesso un’ordinanza di sgombero. I Nirta, attraverso il loro legale, l’avvocato Mauro Ronco, hanno spedito al prefetto Umberto Postiglione una richiesta di sospensiva. In sostanza, si appellano al fatto che sarebbero indigenti e che in quelle case vivrebbero anziani e bambini. Chiedono di poter restare finché il comune di Quart non concederà loro una casa popolare. “E’ un atto che non ci ha toccati”, spiega Postiglione, che annuncia: “Procederemo con lo sgombero coatto”. Lo sfratto, secondo le norme della Val d’Aosta, a Statuto speciale, dovrà essere compiuto dalla Regione stessa. Il presidente Augusto Rollandin, nel silenzio quasi totale della politica locale, è stato più volte sollecitato a dare risposte sul problema delle case dei Nirta dal consigliere Alberto Bertin, di Alpe. Una voce isolata in una valle fortemente infiltrata dalla criminalità, dove molti sanno e tutti tacciono.