Il Mattino, Lunedì 8 Gennaio 2018
Napoli ostaggio dei «baby guerrieri»: raid e sangue per accreditarsi ai clan
di Pietro Treccagnoli
Napoli non è una città per giovani. Tra vittime e carnefici, ai limiti o sotto la maggiore età, la cronaca delle ultime settimane sta dipingendo un quadro fosco e losco. La narrazione si è trasformata in una dannazione. È violenza che tracima e si spande a macchia d’olio imbrattando di sangue tutti i quartieri. Non esiste più un’oasi, semmai c’è mai stata. È Napoli svelata, altro che i paramenti sacri dell’oleografia o la sublimazione feroce di fiction smerciate in mezzo mondo. La realtà, innanzitutto. Napoli violenta e Napoli violentata. Uno stupro nella carne e nell’anima. E la cruda tensione la si legge nelle parole che si accumulano nei giornali, in televisione, sui social, ma prima di tutto nelle facce dei giovani e di chi i giovani frequenta. A via Foria, a Chiaia, al Vomero, a Forcella. In meno di venti giorni, s’è assistito a un crescendo maledetto tra bastonate, stese, accoltellamenti, pistolettate. Una miscela dove la criminalità spicciola, quella organizzata, i branchi in preda alla lite gratuita e gli aspiranti camorristi che marcano il territorio si danno il cambio o si affiancano.
Il semplice elenco di raid e aggressioni è da brivido. Come lo sono persino le spiegazioni, gli interrogativi che si aggrovigliano senza risposte illuminanti in un gomitolo di chiacchiere. La città dei giovani è la città che sbaglia i conti con il futuro, ma pure con il presente. Che si prende a mano armata il presente perché non vede il futuro. E chi ha di fronte questo scenario da guerrieri della notte si chiede qual è il dosaggio giusto tra repressione e prevenzione. Il più recente salto di qualità, quello che ha segnato la lettura e il racconto della Napoli illegale e criminale, c’è stato lo scorso novembre, quando trenta ragazzi provvisti di bastoni e coltelli hanno fatto irruzione nella zona dei Baretti di Chiaia, seminando panico e feriti e generando una reazione a colpi di pistola.
Da allora, è stata una corsa a ostacoli, fino all’ennesimo accoltellamento sabato passato a via Carducci, nei pressi del liceo Umberto, a ridosso del quadrilatero del borgo di Chiaia; fino all’annuncio della marcia per la legalità anticamorra e la vivibilità cittadina organizzata per sabato prossimo dai comitati del quartiere che fu borghese e ora si sente assediato; fino all’identificazione della banda che, il 17 dicembre a piazza Vanvitelli, cuore del Vomero, ha ferito due ragazzi per uno sguardo di troppo; fino al saccheggio dei computer del liceo Pansini, sempre al Vomero, scoperto alla riapertura delle scuole dopo le vacanze natalizie; fino alla gambizzazione di un diciassettenne, l’altra notte, a porta San Gennaro, a poche centinaia di metri dal luogo dove il 18 dicembre, il giovane Arturo, ormai simbolo della voglia di riscatto, è stato quasi ucciso a colpi di coltello da un gruppetto di minorenni. E in mezzo c’è proprio il ferimento dello studente del Cuoco, il liceo dei Miracoli, poco prima di Natale, con la mobilitazione che è scattata segnando un primo forte passo nella mobilitazione delle coscienze e ci sono le baldanzose sparatorie dell’ultimo dell’anno in diversi quartieri di Napoli.
Ecco, manca il fiato, si finisce in apnea solo a tracciare la linea rossa. E non si capisce dove porterà. In questi due mesi scarsi la città si è seduta davanti a un specchio, ha provato a capire. E sono due i poli dentro i quali oscilla l’ordine del discorso: questa scia di violenza di chi non ha l’età è solo frutto del disagio o è la tappa iniziale di un percorso di affiliazione al Sistema, nel grande gioco di Gomorra? «La paranza dei bambini non è una invenzione giornalistica, ma un dato reale» ha spiegato ieri Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, a chi lo interrogava per l’ennesima volta sull’emergenza delle baby gang. «C’è un problema soprattutto di prevenzione. Che a Napoli ci fosse una criminalità minorile particolarmente forte non l’abbiamo scoperto oggi, abbiamo verificato per esempio in passato come persino all’interno della camorra ci fossero tantissimi ragazzini». Le risposte devono venire dalla «scuola e i momenti educativi devono fare la loro parte».