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Napoli, le «vedette» presidiano via Marina così scattano i raid dei baby-criminali . Gli accessi alla città sono presidiati in maniera militare da bande organizzate.

Il Mattino, Giovedì 30 Giugno 2016

Napoli, le «vedette» presidiano via Marina così scattano i raid dei baby-criminali

di Leandro del Gaudio

Erano nascosti dietro il benzinaio, in sella a uno scooter di alta cilindrata. Saranno stato le tre del pomeriggio di lunedì scorso, caldo asfissiante in città, in una strada che sembra una mulattiera – parliamo di via Marina – dove si circola a venti all’ora, complice traffico da intasamento cantieri. I due rapinatori erano fermi, in attesa della soffiata giusta. Li hanno avvisati che dall’autostrada era arrivata la preda giusta, ideale per chi vive di scippi e reati predatori: una turista alla guida di un’auto costosa, che ha appena fatto in tempo a decelerare per le buche e i dossi del manto stradale, che si è trovata al centro di un raid organizzato.

Messo in moto lo scooter, passano da dietro al benzinaio, si accostano all’auto (una Porsche Carrera decapottabile) e uno dei due, quello seduto dietro, dà inizio a un copione già visto: punta al braccio sinistro della donna, una turista americana, prova a strappare l’orologio, si tratta di un Patek Philippe, in un tira e molla che solo per fortuna non ha conseguenze gravi. Attimi di paura, violenza pura, lei – vittima e protagonista dell’ennesimo reato predatorio – riesce a difendersi, non molla la presa, tiene testa all’aggressore. Che alla fine lascia, rinuncia al bottino, torna in sella allo scooter e scappa. Crimine ordinario, episodio di routine in una città alle prese con le «stese» della camorra (agguati plateali senza un obiettivo preciso, volume di fuoco da azione bellica), la vittima si chiama Angela Turner, è la nuora di Ted Turner, manager della Cnn, un passato da console italiano ad Atlanta: a Napoli era per un viaggio di piacere, come scrive in una lettera al sindaco De Magistris, tramite il sito on line Fanpage.

Una due giorni a Napoli che ha inizio con l’aggressione in via Marina, che passa attraverso le bellezze della città (in particolare una visita al San Carlo e ad altri monumenti), ma anche negli uffici di polizia di via Medina. È lei ad aver fornito una descrizione particolareggiata dell’aggressore, un identikit ora a disposizione dell’Upg agli ordini del vicequestore Michele Spina. Con i poliziotti napoletani ha inizio una collaborazione proficua ed efficace (come viene riconosciuto dalla donna nella sua lettera aperta al primo cittadino) che potrebbe culminare negli arresti dei due aggressori a stretto giro. Tanto che nel giro di poche ore c’è già un primo sviluppo investigativo: la donna viene accompagnata sul posto dalla polizia, viene interrogato il titolare della rivendita di benzina dietro la quale si erano nascosti i due rapinatori. È stato denunciato per favoreggiamento, mostrandosi per niente collaborativo, finendo col negare anche l’evidenza: nessun particolare utile a ricostruire l’episodio, tra una serie di «non so e non ricordo» che hanno spinto gli uomini di Spina a formalizzare una denuncia a carico del benzinaio. Intanto, le indagini sono andate avanti. Martedì mattina, la donna torna in via Medina, fornisce altri particolari, offre nuovi riscontri che sembrano aver confermato la pista degli inquirenti.

Le indagini sono a buon punto, l’inchiesta va avanti. Si lavora sul territorio, c’è un identikit dell’aggressore numero uno, più labile la ricostruzione fatta su quello che era alla guida del mezzo. Inchiesta che punta dritto sul terreno di caccia degli scippatori, sulla rete di protezione che in genere accudisce i «moschilli» di via Marina. Una arteria da sempre a rischio per un doppio ordine di motivi: da un lato il traffico poco scorrevole per volanti e gazzelle, dall’altro le tante vie di fuga che consentono ai predatori in sella a scooter rubati di colpire e lasciare il campo, magari mimetizzandosi nelle arterie che portano alle spalle del Mercato o in quel di Gianturco e Poggioreale. Riflettori puntati su una gang di giovanissimi più o meno collegati ai circuiti criminali dei clan Rullo e Mazzarella. Inchiesta di sistema, si va oltre l’episodio specifico: c’è un circuito di informazioni e di protezione, qualcosa che va oltre la singola aggressione: c’è chi fa la soffiata, con uno squillo al cellulare o con un messaggio (sempre e comunque usando schede dedicate, cioé intestate a ignari extracomunitari), poi c’è chi offre protezione e omertà.

Tutto avviene in una manciata di secondi, si tratta di crimini lampo: caccia aperta ai Rolex e agli orologi di marca, alle borse lasciate sui sediolini o sul pavimento delle auto incolonnate nel traffico. Un giorno dopo l’aggressione subita da Angela Turner – è la cronaca della tarda mattinata di martedì – un’altra donna ha ricevuto lo stesso trattamento: le hanno sfondato il finestrino posteriore, poi le hanno rubato la borsa poggiata sul pavimento posteriore dell’auto. Un colpo consumato davanti a decine di autisti, poche o inesistenti le testimonianze fornite ai carabinieri. Anche in questo caso si indaga su uno scenario investigativo che conduce alle «case nuove» al rione popolare un tempo dominato dal clan Mazzarella e che negli ultimi anni è gestito in autonomia da altri sistemi familiari. Ma torniamo alle strade della paura: via Marina, corso Malta, via Terracina, viale Kennedy, corso Novara, via Nazionale delle Puglie, via delle Repubbliche Marinare.

In pratica, gli accessi alla città sono presidiati in modo militare da bande organizzate, anche se si presentano agli occhi degli investigatori quasi sempre in modo fluido e disarticolato. Sembrano azioni estemporanee – quelle messe a segno contro il turista o l’uomo d’affari di turno – ma la realtà è completamente diversa. Lo dicono le informative di polizia giudiziaria, le indagini della settima sezione (crimini predatori) o dello stesso pool anticamorra. In genere, i rapinatori seriali hanno un copione da seguire e un circuito da battere seriali, quasi immutabili nel corso del tempo: agiscono su un tratto di strada di ottocento metri, massimo un chilometro, sono mimetizzati alle spalle di un’auto in sosta o di una pompa di benzina, hanno tutti gli stessi ferri del mestiere. In che senso? Non girano armati (un peso inutile che potrebbe solo aggravare la loro posizione in caso di arresto), non sono isolati: hanno un bullone o un ferro (in alcuni casi un sampietrino) che serve a sfondare un finestrino, a cogliere di sorpresa, contando sullo choc iniziale delle vittime, poi sono rapidissimi con le mani.

Quasi sempre – anche se non è scontato – hanno il casco o un berretto, anche se in genere agiscono su zone in cui non sono in funzione sistemi di videosorveglianza pubblici (a dispetto dei tanti «pon» per la sicurezza tenuti a battesimo negli ultimi venti anni a Napoli), e sanno dove andare. Hanno a disposizione garage e sottoscala (specie alle spalle di via Correra o di via Cusenz), possono contare su azioni di resistenza da parte di donne e bambini, qualora ci fosse un inseguimento della polizia. Non sono isolati, si diceva: ad attendere il rapinatore di turno, in alcuni casi, si presenta una squadretta che ripulisce lo scooter, che garantisce protezione e anonimato. Poi la refurtiva viene «squagliata», attraverso i canali classici della ricettazione: sono una decina i ricettatori che agiscono a Napoli, che acquistano la roba (in questo caso parliamo soprattutto di orologi preziosi) e la rivendono sui mercati internazionali: San Marino e Svizzera sono le mete più ambite, dove è possibile piazzare (in modo assolutamente legale) un orologio senza etichetta e senza garanzia. Ci sono specialisti del genere che arrivano da mezzo mondo che controllano la merce, le danno un valore e la mettono all’asta.

Un lavoro che chiude una catena, che definisce un circuito che ha inizio a Napoli, nella zona dei grandi alberghi, ai Decumani o nelle rampe di accesso in città. Proprio come accaduto ad Angela Turner, all’architetto 47enne per dieci anni console italiana ad Atlanta, che ha resistito al tentativo di rapina per poi denunciare gli aggressori. E li ha anche riconosciuti, magari provando a ripercorrere le frasi gridate durante l’assalto: «Scassale la faccia a questa…», urlava quello rimasto in sella allo scooter durante il parapiglia. E anche questo è un copione noto da tempo.