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Napoli e la Campania come un campo di battaglia. Vivere a Napoli è una roulette: si può essere uccisi anche per sbaglio

Le mafie in Italia sono l’impresa economica più potente e costituiscono uno dei pilastri dell’economia Europea, con un giro d’affari che qualcuno ha calcolato intorno ai 150 miliardi di euro all’anno. A questo bilancio si devono aggiungere, però, anche le migliaia di morti in più di trent’anni di guerre tra i clan. La Campania è la regione d’Italia e tra le prime nel mondo, con il maggior numero di morti ammazzati.

Roberto Saviano, pur sostenendo, nel suo libro Gomorra, che la conta del numero dei morti costituisce l’elemento meno indicativo per comprendere il potere criminale della camorra, fornisce una conta dettagliata del numero dei morti ammazzati per camorra dal 1979 al 2005. Una conta che in 27 anni raggiunge, l’incredibile e raccapricciante numero di 3.600 morti. E questi numeri si registrano in Campania, regione che sulla cartina geografica costituisce il centro della civile Europa e non di un continente permanentemente alle prese con guerre e pulizie etniche e non è neanche la Bosnia in pieno conflitto degli anni novanta, l’Algeria o la Somalia e neanche la Georgia dell’agosto 2008.

La Campania e Napoli in particolare non sono luoghi dove ognuno decide il proprio destino, la propria sorte. Molto spesso è la guerra tra clan a decidere la sorte delle persone, anche di quelle che con i poteri criminali non hanno nulla a che vedere. Qui si muore perché qualcuno deve dare un messaggio a qualcun’altro, perché si conosce una persona di un clan opposto, per una semplice somiglianza, per un taglio di capelli, per la somiglianza del motorino sul quale si viaggia. In sostanza, qui, il rischio di morire per caso è davvero molto alto. Campare a Napoli è una roulette, dice Fabio, un ragazzo di diciotto anni, appena scampato ad un attentato compiuto in un distributore di benzina a Napoli nel mese di settembre del 2007. Si tratta di una semplice presa d’atto che una vita giovanissima e pulita in questa città deve comunque fare i conti con il pericolo ed il rischio della morte per errore. Questi sono i momenti in cui te ne scapperesti dalla città senza più girarti indietro. Lavorare sulla strada è come stare in un campo di guerra, pure a mezzogiorno, è lo sfogo di una altro testimone dell’agguato.

Arrivano in motocicletta, sparano come dei pazzi in mezzo alla gente, tra i bambini e le donne che fanno la spesa, disposti a tutto pur di eseguire la sentenza di morte. Come dei codardi sparano alla schiena, ammazzano persone innocenti per dare un segnale. Lo scenario a cui spesso molte persone si trovano davanti è quello di una guerra. Forse uno scenario come quello di Bagdad o di Kabul può riservare le stesse sorprese. Invece qui a Napoli si tratta di episodi che non sono eccezionali, ma sempre più frequenti e con i quali la gente si sta abituando a convivere.

Isaia Sales nel suo saggio pubblicato nel 2006 per Ancora del Mediterraneo, riprendendo il giornalista Gigi di Fiore, un altro autorevole studioso e conoscitore di questioni di camorra, sostiene che a Napoli c’è il record dei “morti per caso”, tra cui diversi bambini e adolescenti, persone cioè incappate casualmente nel fuoco dei killer. La camorra di città, sostiene l’autore, ha assunto caratteristiche di gangsterismo urbano e i delitti esterni al suo ambiente lo dimostrano. I suoi giovani killer fanno uso frequente di cocaina che compromette loro la capacità di mirare bene il bersaglio, colpendo non di rado passanti innocenti, magari scambiandoli per nemici. Per la camorra, a differenza della mafia, l’omicidio non è progettato, non è motivato da una logica strategica, ben mirata ed improntata alla massima efficienza, ma agisce risposta a risposta, omicidio ad omicidio con un istinto sanguinario. Non è un caso che i soldati di queste ultime guerre, di tutti contro tutti, siano sempre più giovani. E questo spiega perché nelle bande di camorra la brutalità costituisce la normalità e il motivo dei numerosi morti per sbaglio.

Ed è proprio seguendo questa logica di guerriglia, di risposta a risposta che la sera del due novembre 2008, si è compiuto un episodio che ha davvero dell’incredibile proprio perché commesso da giovani violenti dall’età compresa tra i dodici e i sedici anni. Durante una rissa scoppiata in un centro commerciale di Casoria, un giovane viene accoltellato ad una gamba. Un affronto da far pagare caro e così poco dopo la reazione in via Abate Desiderio al rione Berlingieri di Secondigliano al confine con Casavatore. Un commando di sei persone a bordo di tre scooter arriva davanti al circolo Danzi, il club dei “bambini” a rischio – gestito da un quarantaquattrenne pregiudicato – e sparano una quarantina di colpi di pistola calibro 9 tra le gambe di un gruppo di adolescenti che a mezzanotte sostavano sul marciapiede del circolo. A terra rimangono sanguinanti cinque ragazzini, tra gli undici e i sedici anni, feriti chi alla spalla, chi al ginocchio, chi al piede, chi alle gambe.

La vicenda criminale conferma lo stato di degenerazione sociale e di degrado culturale che vige tra i ragazzi di questo territorio. Questa volta al centro della scena sono degli adolescenti cresciuti seguendo le logiche di un branco che segue valori fondati sulla prepotenza, sull’arroganza, sulla tracotanza, sulla sopraffazione e sulla vendetta tipiche degli insegnamenti dei cattivi maestri quali sono i boss della camorra. Un episodio che oltre a rimbalzare sulle cronache nazionali e internazionali ed a far particolarmente irritare il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, ancora una volta ha dimostrato che negli ultimi vent’anni (dagli omicidi di Nunzio Pandolfi ucciso nel 1990 alla sola età di due anni; del dodicenne Fabio De Pandi – ucciso a dodici anni nel quartiere di Soccavo nel 1991; di Silvia Ruotolo; di Annalisa Durante; di Gelsomina Verde; di Dario Scherillo, tanto per fare solo alcuni nomi di giovani innocenti) la china è diventata sempre più pericolosa. Una vicenda che per la sua dinamica fa pensare che per ragazzi come questi il punto di arrivo obbligato possa essere davvero la camorra.

L’elenco delle persone innocenti uccise in campania è davvero lungo. Si contano oltre duecento morti senza colpa. Delle oltre duecento persone uccise dalla violenza criminale in Campania, la Fondazione Pol.i.s. della Regione Campania, costituita proprio per sostenere le vittime innocenti della criminalità in Campania, sta realizzando delle pubblicazioni per raccontare la storia di tutte. La prima, scritta da Raffele Sardo, per Pironti Editore è in libreria proprio in questi giorni. Si intitola Al di là della notte. Storie di vittime innocenti della criminalità e racconta un periodo che va dall’uccisione di Joe Petrosino – 12 marzo del 1909- alla strage del Rapido 904 del 23 dicembre del 1984. Personalmente, in un libro intitolato Qualcun altro bussò alla porta. Dario Scherillo ed altre storie di persone vittime della violenza criminale ho raccolto le vicende umane delle vittime e dei loro familiari caduti nell’anno 2004, quando, insieme a Dario Scherillo, un giovane di 26 anni ucciso per sbaglio la sera del 6 dicembre (aveva un motorino uguale a quello di un criminale, condannato a morte dal clan opposto), venivano uccisi Francesco Estatico (assassinato con una coltellata, per aver fatto un complimento ad una ragazza), Matilde Sorrentino (uccisa per vendetta, poiché aveva denunciato chi aveva commesso abusi nei confronti del figlio), Annalisa Durante (di quattordici anni, uccisa in un agguato contro un camorrista del suo quartiere che si face scudo con il suo corpo per sfuggire ai colpi dell’attentato), Fabio Nunneri (di venti anni, ucciso da una coltellata al petto per essere intervenuto a fare da paciere in una lite per motivi di viabilità), Gelsomina Verde (morta per un’amicizia sbagliata), Francesco Graziano e Antonio Landieri, anche loro scambiati per criminali ed uccisi.

Angelo Vassallo e Teresa Buonocore sono le ultime persone che sono state uccise. Angelo Vassallo, era il sindaco di Pollica – Acciaroli. Una persona onesta che voleva fare il sindaco onestamente. Lo hanno massacrato a colpi di pistola. Come a lui trent’anni fa è toccato a Marcello Torre, sindaco di Pagani nel salernitano (si era opposto all’infiltrazione negli appalti della ricostruzione post terremoto. Stessa sorte è toccata al consigliere comunale del P.C. di Ottaviano, Mimmo Beneventano. Teresa Buonocore aveva semplicemente fatto ciò che avrebbe fatto ogni madre: denunciare e fare condannare chi aveva abusato della sua bambina. Per questo è stata uccisa.

Presto a queste vittime sarà dedicato un luogo della memoria, voluto dalla Fondazione Pol.i.s. Uno spazio dove la memoria degli innocenti si nutrirà della produttività di chi con passione e coraggio ancora oggi lotta, combatte, si arma contro un cancro che sembra duro da debellare.

Paolo Miggiano Cittadinanzattiva Campania

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