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Morire di carcere

La morte di Stefano Cucchi, con l’emozione e l’indignazione seguita alla pubblicazione delle fotografie del suo corpo martoriato, ha avuto l’effetto di scoperchiare il “calderone infernale” delle morti in carcere, di far conoscere all’opinione pubblica un dramma solitamente relegato alla ristretta cerchia degli “addetti ai lavori”. Con il Dossier “Morire di carcere” abbiamo ricostruito centinaia e centinaia di vicende di detenuti morti, citando fonti, luoghi, nomi e circostanze. In alcuni casi i loro famigliari ci hanno inviato delle fotografie, come prova del fatto che le “versioni ufficiali” non raccontavano la verità, o la raccontavano parzialmente

Nelle carceri italiane muoiono in media 150 detenuti l’anno, dei quali un terzo circa per suicidio
(1.005 casi accertati, dal 1990 ad oggi), un terzo per cause immediatamente riconosciute come
“naturali”, e il restante terzo per “cause da accertare”, che indicano tutti i casi nei quali viene aperta
un’inchiesta giudiziaria.
La morte di Stefano Cucchi, con l’emozione e l’indignazione seguita alla pubblicazione delle
fotografie del suo corpo martoriato, ha avuto l’effetto di scoperchiare il “calderone infernale” delle
morti in carcere, di far conoscere all’opinione pubblica un dramma solitamente relegato alla ristretta
cerchia degli “addetti ai lavori”.
Con il Dossier “Morire di carcere” abbiamo ricostruito centinaia e centinaia di vicende di detenuti
morti, citando fonti, luoghi, nomi e circostanze. In alcuni casi i loro famigliari ci hanno inviato delle
fotografie, come prova del fatto che le “versioni ufficiali” non raccontavano la verità, o la
raccontavano parzialmente.

Sono immagini che “parlano da sole”: morti per “infarto” con la testa spaccata, per “suicidio” con
suicidio con ematomi e contusioni in varie parti del corpo. Quello che non è possibile vedere, ma a
volte emerge dalle perizie mediche (quando vengono disposte e poi è dato conoscerne l’esito), sono
costole spezzate, milze e fegati “spappolati”, lesioni ed emorragie interne.
Questo è quanto emerge dalle cronache, dalle perizie, dalle fotografie (quando ci arrivano) e questo
è quanto ci limitiamo a testimoniare. Se ci sono responsabilità per queste morti e, nel caso, chi sono
i responsabili, non spetta a noi dirlo, ma alla magistratura.

Di seguito sono riportati 30 casi, in ordine cronologico, tratti dal dossier “Morire di carcere” (alcuni corredati da immagini), casi che a nostro avviso richiederebbero un approfondimento nelle sedi opportune.

30 gennaio 2002, Carcere di Poggioreale (Napoli)
Raffaele Montella, 40 anni, napoletano, si impicca. Due giorni prima l’avevano “chiuso” dagli
arresti domiciliari, per essersi allontanato dalla sua abitazione; era in attesa di giudizio per reati di
droga. I suoi parenti non credono al suicidio: lui, prima di essere riportato in carcere, aveva detto:
“Se torno in cella mi ammazzano”.

1 marzo 2002, Carcere di Rebibbia (Roma)
Stefano Guidotti, 32 anni, è trovato impiccato alle sbarre del bagno. Sono i tre compagni di cella a
dare l’allarme, ma una serie di particolari fa sorgere dubbi ai carabinieri del centro investigazione
scientifica di Roma, che conducono le indagini. A cominciare dalle escoriazioni presenti sul suo
volto: ferite inconciliabili con l’ipotesi del suicidio. Poi alcune inspiegabili macchie di sangue sul
pavimento. Infine il cappio – fatto con la cintura del pigiama – che per gli inquirenti non avrebbe
potuto sostenere il peso del corpo. Ad alimentare il dubbio anche una lettera, ritrovata tra gli effetti
personali di Guidotti: contiene progetti per il futuro, troppo lontani dall’idea di farla finita. Era
detenuto per associazione mafiosa ed estorsione. Il P.M. Giancarlo Amato, titolare dell’inchiesta,
per ora ha chiesto soltanto gli accertamenti di rito per un suicidio in carcere.

24 aprile 2002, Ospedale “Maria Vittoria” di Torino
Fabrizio Linetti, detenuto nel carcere delle Vallette, dice di aver ingerito un tagliaunghie. È una
scusa (come accerterà l’autopsia) per andare in ospedale. Al pronto soccorso s’impadronisce di una
specie di taglierino usato in ambulatorio. C’è una colluttazione con un agente penitenziario e Linetti
riusce ad afferrare la pistola dell’agente, con la quale poi si uccide, quando vede inutile ogni tentativo di fuga. Un fatto anomalo, dicono gli inquirenti, perché Linetti non aveva alcuna possibilità di scappare, ma anomalo è anche il suicidio, che non sembra avere una giustificazione precisa.

20 maggio 2002, O.P.G. di Reggio Emilia
Kolica Andon, 30 anni, albanese, si uccide, dopo 35 giorni di sciopero della fame. La notizia trapela
solo all’inizio di luglio. “Preferisco morire, piuttosto che restare qui dentro da innocente”: ora,
quella frase ripetuta fino all’ossessione, suona ancora più terribile e accusatoria. Faceva sul serio,
Kolica Andon, si è impiccato in una cella dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia,
dov’era arrivato da pochi giorni, proveniente dal carcere di Mantova. Due settimane prima del
suicidio una sua nipote, Maria, aveva lanciato un appello pubblico perché la posizione processuale
di suo zio venisse rivista.

30 giugno 2002, Carcere di Cuneo
Mauro Fedele, 33 anni, muore in carcere. La versione ufficiale parla di “arresto cardiocircolatorio”
ma Giuseppe Fedele, padre di Mauro, lancia accuse contro gli agenti di custodia. “Il corpo di mio
figlio è pieno di lividi: ha la testa fasciata e ha segni blu su collo, sul petto, specialmente a destra,
come uno zoccolo di cavallo; e poi sui fianchi e all’interno delle cosce, sia a destra sia a sinistra. È
chiaro che lo hanno riempito di botte, forse con i manganelli, e che è morto per questo. Chiederemo
che un nostro medico di fiducia assista all’autopsia, perché dopo quello che abbiamo visto non
possiamo subire passivamente e credere a quello che ci hanno detto e cioè che Mauro è morto per
arresto cardiocircolatorio. Il nostro avvocato presenterà una denuncia per omicidio, perché
pensiamo che sia morto in seguito ad un pestaggio”.

22 luglio 2002, Carcere di Torino
Fabio Benini, 30 anni, muore per infarto cardiaco. Era stato trasferito da dieci giorni, proveniente
dal carcere di Forlì, al centro psichiatrico del carcere “Le Vallette” di Torino. Soffriva di anoressia,
aveva perso 50 kg negli ultimi mesi, collassava due volte al giorno, l’altra mattina l’hanno trovato
morto nel suo letto.

3 agosto 2002, Carcere di Bari
Gianluca Frani, 31 anni, paraplegico, si uccide impiccandosi. L’uomo, che stava scontando una
condanna di 8 anni e 9 mesi per un cumulo di pene relative ad una serie di reati, si è suicidato nel
carcere di Bari, dove era stato trasferito due anni fa perché paraplegico. Uno dei pochi istituti di
pena, secondo il ministero della Giustizia, dotato di un centro clinico per gente malata come lui.
Ma la famiglia accusa: come può un carrozzellato – si chiedono i parenti – riuscire ad impiccarsi al
tubo dello scarico del water senza che nessuno si accorga di nulla? Gianluca Frani aveva subito una
lesione al midollo spinale nel ‘97: qualcuno gli sparò contro, proprio sotto casa, e man mano le sue
condizioni erano peggiorate fino a costringerlo alla sedia a rotelle.

5 ottobre 2002, Ospedale “Fazzi” di Lecce
Sotaj Satoj, 40 anni, albanese, muore nel reparto Rianimazione dell’Ospedale di Lecce dopo tre
mesi di sciopero della fame. Gli agenti continuano a piantonarlo per ore, da morto: credevano fosse
un éscamotage per tentare la fuga. Era arrivato in Italia su un gommone, attraversando il Canale di
Otranto. All’arrivo aveva trovato la Guardia di Finanza, che non aveva creduto fosse un “semplice”
clandestino, sbarcato assieme ad altri 50, e che aveva pagato circa duemila dollari agli scafisti. Sul
gommone c’era della droga e lui era stato arrestato, assieme ad altri sei connazionali, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Per ribadire la sua innocenza aveva
deciso di adottare l’unica forma di protesta possibile: lo sciopero della fame.

27 novembre 2002, Questura di Roma
Maurizio Scandura, 28 anni, tossicodipendente, muore nella camera di sicurezza di una Questura.
Era stato arrestato al termine di un inseguimento culminato con una caduta, sua e dei due poliziotti
che cercavano di fermarlo. Dopo la caduta sia Scandura sia i poliziotti erano stati medicati in
ospedale e il giovane era stato dimesso con una prognosi di sette giorni, dopo che la TAC non aveva
individuato alcun problema neurologico. Invece la mattina seguente i due agenti che avrebbero
dovuto scortarlo in Procura, per il processo per direttissima, lo hanno trovato morto.

4 dicembre 2002, Carcere di Modena
Maria Laurence Savy, belga, claustrofobica, si impicca tre giorni dopo l’arresto. Il marito ha
dichiarato che la moglie al momento dell’arresto ha scritto di suo pugno una dichiarazione, nella
quale elencava i propri problemi di salute. La lettera, scritta in francese, sarebbe poi stata tradotta e
letta. La stessa traduttrice – secondo le dichiarazioni di Cremonesi – avrebbe poi consigliato alla
Savy di consegnarne una copia all’infermeria del carcere. Esiste davvero questo documento? Dov’è
finito? L’interprete può confermare? È stato consegnato ai responsabili del “Sant’Anna”, agenti di
polizia penitenziaria o personale medico? In caso affermativo, la successiva domanda sarà: la
detenzione per tre giorni in cella singola e senza sorveglianza continua era compatibile con la
claustrofobia e gli altri eventuali disturbi dichiarati dalla donna?

1 maggio 2003, Carcere di Rebibbia (Roma)
Marco De Simone, 41 anni, si impicca in una cella del reparto minorati psichici, 48 ore dopo essere
arrivato a Rebibbia. Era stato dichiarato incompatibile con il regime carcerario. L’uomo, ha riferito
il suo legale, era già stato ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli e anche nel
reparto psichiatrico dell’Ospedale “Sant’Eugenio” di Roma. Avrebbe dovuto scontare un cumulo di
pene per un totale di 8 mesi e 15 giorni.

13 agosto 2003, Carcere di Catanzaro
Emiliano Mosciaro, 47 anni, muore di peritonite. Il 4 agosto telefona alla madre, per dirle che non si
sente bene e che le cure dei medici del carcere non funzionano. Emiliano soffre di crisi depressive e
quei dolori addominali, che accusa da qualche giorno, sono forse scambiati per effetti di una
qualche forma di somatizzazioni. Il giorno dopo la telefonata alla madre Emiliano viene trasferito
d’urgenza all’Ospedale di Catanzaro, su richiesta di un medico esterno che lo ha visitato in carcere.
Troppo tardi. Mosciaro viene operato d’urgenza ma l’appendicite si è ormai trasformata in
peritonite acuta, con stato di necrosi avanzata. Emiliano combatte per sette lunghi giorni con la
morte, ma senza risultati positivi. Muore la mattina del 13 agosto.

2 settembre 2003, carcere di Massa Carrara
F.M., 29 anni, affetto da problemi mentali, muore nella sua cella durante la notte. Era entrato in
carcere due giorni prima, dopo essere stato fermato da una pattuglia di carabinieri perché evaso
dalla struttura in cui era agli arresti domiciliari. Il direttore del carcere dichiara alla stampa che si è
trattato di un malore, determinato dal fatto che il ragazzo era dedito all’uso di sostanze stupefacenti,
ma le sue parole sono smentite con forza dai parenti e dal tutore del giovane carcerato. “Non era un
drogato – afferma l’avvocato Pasquali – era solo un ragazzo con problemi comportamentali e
mentali, che non sapeva distinguere il bene e il male, le situazioni di pericolo e le azioni malvagie”.
F.M. da bambino aveva subito un grave incidente stradale che gli aveva procurato una perdita di parte del lobo frontale del cervello, la sede della “capacità decisionale”. Un ragazzo comunque sano
fisicamente, giovane, non dedito a droghe, la cui morte per malore “suona” in modo davvero strano.

1 ottobre 2003, Carcere di Livorno
Marcello Lonzi, 29 anni, muore in cella: sarebbe deceduto per collasso cardiaco, dopo essere caduto
battendo la testa. La madre non crede a questa ricostruzione e sospetta si sia trattato di un omicidio,
anche perché il corpo del figlio era coperto di lividi. Chiede al Presidente della Repubblica, Carlo
Azeglio Ciampi, un aiuto per impedire che “venga nascosta la verità”. Marcello Lonzi stava
scontando una pena di otto mesi, per un tentato furto, ed era in attesa di usufruire dell’indultino.

Foto di Marcello Lonzi – morto per “collasso cardiaco”

25 novembre 2003, Carcere di Civitavecchia
Detenuto rumeno, 40 anni, muore a causa di profonde ferite alla testa. Secondo una prima
ricostruzione l’uomo avrebbe battuto ripetutamente il capo contro le pareti della cella dove era
rinchiuso. Venerdì della scorsa settimana il rumeno finisce in manette, con l’accusa di tentato furto,
e quindi associato al carcere di Civitavecchia. Lunedì si tiene l’udienza di convalida dell’arresto. Il
giudice per le indagini preliminari accoglie la richiesta di convalida dell’arresto e
l’extracomunitario è costretto a rimanere in carcere. Qualche ora dopo, degli agenti di polizia
penitenziaria lo ritrovano riverso a terra dentro la sua cella, con profonde ferite al capo. Subito
viene trasportato all’ospedale San Paolo e le sue condizioni appaiono decisamente serie. Il rumeno
si aggrava di ora in ora ed allora i medici del nosocomio locale decidono di trasportarlo in
eliambulanza presso un ospedale della capitale, dove il suo cuore cessa di battere nella tarda serata
di giovedì. La prima ipotesi che emerge è quella del suicidio. In pratica l’uomo si sarebbe scagliato
più volte contro la parete.

2 marzo 2004, Carcere di Firenze
Detenuto marocchino viene ritrovato senza vita nella sua cella, steso nella branda, piegato di lato,
con un rivolo di sangue alla bocca. La prima ipotesi che trapela dal carcere fiorentino è quella
secondo cui l’uomo sarebbe morto per un’overdose di farmaci. Franco Corleone, garante dei diritti
delle persone ristrette nelle libertà personali nel comune di Firenze, afferma: “È un fatto gravissimo,
che mostra ancora di più la situazione critica delle carceri”.

24 marzo 2004, carcere di Opera (Mi)
Andrea Mazzariello, 50 anni, paraplegico e costretto su una sedia rotelle si impicca usando come
cappio il cordone di un accappatoio, che usava come vestaglia. Era in carcere dal 10 febbraio scorso, quando gli era sopraggiunto un definitivo di pena. Vivendo su una sedia a rotelle era stato
assegnato al Centro Clinico del Carcere di Opera, ma per motivi ignoti non gli veniva somministrata
la morfina, che gli aveva prescritto il suo medico di base prima della carcerazione. Racconta
l’avvocato Giuseppe Rapone: “Otto giorni fa sono andato a trovarlo e mi ha raccontato che non gli
davano la morfina da quando era stato arrestato, ossia da 42 giorni. La morfina gli era stata
prescritta dal suo medico quando era a piede libero, per calmare i dolori lancinanti alla schiena che
lo costringevano sulla sedia, per questo si è tolto la vita”.

1 luglio 2004, Ospedale di Barletta (Ba)
Vincenzo Milano, 30 anni, muore all’ospedale di Barletta. Vi era stato trasportato, di urgenza, per
essere curato delle ferite riportate durante la cattura – eseguita da una pattuglia della Polizia
Municipale – dopo che aveva commesso uno scippo: trauma cranico e facciale e diverse ferite lacero
contuse. Ora è giallo sulla sua morte, tanto che il sostituto procuratore della Repubblica di Trani,
Luigi Scimè, ha aperto un fascicolo d’indagine rubricata con l’accusa di omicidio colposo. Poco
dopo il ricovero Vincenzo Milano sarebbe entrato in un lungo e profondo sonno, da cui non si
sarebbe più svegliato.

15 dicembre 2004, carcere di Messina
Francesca Caponnetto, 40 anni, si uccide gettandosi da una rampa di scale. La donna era uscita di
cella per alcuni controlli medici, ma era sfuggita al controllo della polizia penitenziaria mentre
saliva una rampa di scale e si è gettata nel vuoto. È deceduta poi al pronto soccorso del Policlinico.
In cella la polizia non ha trovato nessun biglietto per spiegare l’estremo gesto.

23 dicembre 2004, carcere di Secondigliano (Napoli)
Domenico Del Duca, 26 anni, fine pena nel 2007, muore il 23 dicembre presso l’ospedale Cotugno,
dove era arrivato, in coma, il giorno prima, proveniente dal secondo istituto di pena della città. Sulla
sua morte è sino ad oggi regnato il completo silenzio. Del Duca, sieropositivo, era ricoverato nel
centro clinico del carcere da settembre. Proveniva da un anno di internamento nell’ospedale
psichiatrico giudiziario di Napoli, perché soffriva di disturbi mentali. La notte del 21 dicembre si è
barricato in cella, per un motivo apparentemente banale, una sigaretta negata. Gli agenti di polizia
penitenziaria decidono di fare irruzione e utilizzano gli idranti per riportare l’ordine.
La cella viene inondata di acqua e ruggine, così come il suo occupante. Il ragazzo viene trasferito
nella cella liscia, priva di ogni suppellettile, di un altro reparto. La mattina del 22 viene trovato in
coma di primo grado dal medico di turno che ne dispone l’immediato ricovero in una struttura
ospedaliera. Del Duca viene trasferito, sembra solo dopo alcune ore, presso l’ospedale Cotugno,
specializzato per le patologie da Hiv, dove muore, il giorno successivo senza riprendere
conoscenza. Il suo referto parla di morte causata da crisi cardio-respiratoria (polmonite
fulminante?), ma sul corpo non è stata disposta alcuna autopsia, indispensabile per chiarire i fatti.
Non risulta che la Procura di Napoli abbia aperto un’inchiesta, né che il dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria ne abbia disposto una interna per verificare le modalità
dell’intervento degli agenti ed eventuali responsabilità.

12 gennaio 2005, Carcere di Piacenza
Mohamed El Mansouri, 30 anni, marocchino, si impicca nella sua cella della casa circondariale di
Piacenza con l’elastico dei boxer. Si è suicidato nel giorno della ripresa del processo, per corruzione
tra detenuti e guardie penitenziarie al carcere di Monza per introdurre alcol e droga, che lui stesso
aveva in parte innescato con la sua denuncia. Il pm del processo monzese Flaminio Forieri,
amareggiato per la tragica notizia, non collega necessariamente il suicidio alla vicenda di Monza.
Ma, se di coincidenza si tratta, è senz’altro una coincidenza angosciante. Di certo c’è che l’extracomunitario si era fatto terra bruciata tra i detenuti dopo avere sporto la sua denuncia tanto
che da Monza era stato trasferito prima ad Alessandria, poi a Cremona e poi ancora a Piacenza,
perché tacciato di essere un “infame”.

16 aprile 2005, Carcere di Rebibbia (Roma)
Emanuela Fozzi, 26 anni, muore di varicella nel carcere di Rebibbia Femminile a Roma. La donna,
malata di Aids, avrebbe contratto il virus della varicella e, proprio a causa del fisico debilitato e
privo di protezioni, le sue condizioni di salute si sarebbero aggravate a tal punto da richiedere il
ricovero urgente in ospedale. Tre mesi fa era stata dichiarata incompatibile con il carcere per le sue
condizioni ma alla fine di aprile è morta. Nel carcere romano infatti sarebbe scoppiata una vera e
propria epidemia: la malattia esantematica ha colpito 13 detenute, di cui tre ricoverate in tre
ospedali di Roma, e due agenti penitenziari. “Quella donna non doveva essere in carcere – dice il
Garante del Lazio per i diritti dei detenuti Angiolo Marroni – era stata dichiarata incompatibile con
la detenzione, ma nulla è stato fatto. La responsabilità è di chi non ha ottemperato alla dichiarazione
di incompatibilità con il regime carcerario”.

31 maggio 2005, carcere di Venezia
Andrea Fabris, 34 anni, viene ritrovato morto sul pavimento della cella, nel carcere maschile di
Santa Maria Maggiore. Il detenuto padovano è stato trovato esanime poco dopo le 20.30, riverso a
terra nella cella che condivideva con altri due detenuti: sul corpo numerose ecchimosi. Circostanze
quanto meno singolari, che hanno immediatamente convinto la Pm di turno, Maria Rosaria Micucci,
a disporre l’autopsia sul corpo del giovane con trascorsi da tossicodipendente e che si trovava in
carcere in seguito ad un’inchiesta per droga. Come si è provocato quelle botte? La conseguenza di
un’aggressione, avvenuta non necessariamente in cella, o invece le conseguenze del tutto casuali di
una caduta dovuta ad un malore?

24 ottobre 2005, Carcere Regina Coeli (RM)
Antonio Schiano di Colella, 36 anni, tossicodipendente, detenuto da due giorni, muore in una “cella
di osservazione” del carcere romano di Regina Coeli. La vicenda è stata resa nota dal Garante
regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni. Secondo le informazioni raccolte dal Garante,
l’uomo è arrivato a Regina Coeli “con un referto dell’ospedale Sant’Eugenio, che certificava
politraumi a suo carico”.

27 ottobre 2005, Stazione Carabinieri di Mercatello (SA)
Maurizio Calabrese, 41 anni, muore nella camera di sicurezza della stazione dei carabinieri
Mercatello a Salerno in caserma. Presumibilmente la morte è dovuta a “cause naturali”. Lo riferisce
una nota del comando provinciale dei Carabinieri, in cui si precisa che Calabrese era stato arrestato
per furto nella serata di ieri e che stamane doveva essere processato per direttissima.

3 novembre 2005, Carcere di Secondigliano (NA)
Pietro Del Gaudio, 44 anni, detenuto a Secondigliano dal 17 agosto, nuore in ospedale a causa di
uno sciopero della fame portato alle estreme conseguenze. Cinque giorni di ricovero, alla terapia
intensiva del Cardarelli, non sono valsi a tentare di rimediare ai danni che la privazione volontaria
di cibo gli ha causato. La causa è da ricercarsi nello sciopero della fame che il detenuto, secondo
quando è stato possibile apprendere, aveva iniziato ai primi di ottobre. Sarà il magistrato della
procura che ha in carico l’inchiesta ad accertare come mai il ricovero in ospedale è stato deciso
dopo tanto tempo. Il motivo della protesta del detenuto sarebbe da ricercare nelle precarie
condizioni igienico-sanitarie del carcere di Secondigliano, del padiglione di detenzione dov’era
stato rinchiuso.

16 novembre 2005, Opg di Castiglione delle Stiviere (MN)
Katiuscia Favero, di 30 anni, viene ritrovata impiccata con un lenzuolo ad una recinzione, nel
giardino interno della struttura: è un suicidio, secondo gli investigatori. Ma la madre non crede a
questa versione: “Voglio sapere cosa hanno fatto a mia figlia. Io non credo che si sia suicidata,
sospetto che sia stata uccisa”. Vuole la verità sulla scomparsa della figlia nella sezione Arcobaleno
del manicomio giudiziario di Castiglione dello Stiviere. Non crede al referto ufficiale che parla di
suicidio e chiede un’indagine approfondita: intanto, ha ottenuto l’autopsia (i cui risultati si stanno
aspettando) e racconta al ministro i dubbi, raccolti in un dossier.
“Mia figlia tra poco sarebbe tornata a casa, invece ho dovuto riportarla giù in una scatola di legno”,
dice la donna. La ragazza era finita dietro le sbarre già minorenne, poi la sua vita si era complicata
sempre di più, persa dentro la spirale della droga. Il 19 agosto 2004 era finita a Sollicciano, il
carcere fiorentino. Qui aveva tentato il suicidio, al pronto soccorso aveva tentato di ferire
un’infermiera con una siringa, c’era stata una piccola rissa. Poi la svolta che ha segnato
definitivamente la sua vita tragica: “Fu violentata da tre addetti – dice la madre – ma il risultato della
sua denuncia fu il trasferimento a Castiglione dello Stiviere”.

20 novembre 2005, Carcere di Isili (NU)
Rinaldo Ermatosi, cagliaritano di 36 anni, muore nel carcere di Isili in circostanze ancora tutte da
chiarire: il decesso, secondo le prime ipotesi dei medici legali, potrebbe essere dovuto a
broncopolmonite. Ma i familiari dell’uomo sostengono che non si drogasse e sollevano dubbi sui
modi in cui l’amministrazione carceraria ha gestito le informazioni su quanto avvenuto.

24 dicembre 2005, Carcere di La Spezia
Romeo Cantoni, 37 anni, muore in carcere la notte tra il 23 e 24 dicembre 2005. “Oggi sarebbe
dovuto uscire, per andare a San Patrignano, invece le sue ceneri sono state messe in un loculo alla
presenza del figlio di 10 anni. Romeo è morto per cause “naturali”. Vi chiedo aiuto per poter dire a
suo figlio che è stato fatto l’impossibile per salvarlo, come succede in una società civile… eviterò
invece di raccontargli i soprusi, le umiliazioni, le botte e le ingiustizie adottate nelle carceri italiane
per correggere ed educare chi ha sbagliato. (lettera firmata per la redazione, 28 dicembre 2005)

14 maggio 2006, Carcere di Civitavecchia
Habteab Eyasu, 36 anni, eritreo, si uccide impiccandosi in una cella di isolamento della Casa
Circondariale di Civitavecchia. Il giovane si trovava nel carcere di contrada Aurelia da circa due
mesi, rinchiuso nella sezione di Alta Sicurezza. L’immigrato, rifugiato politico, era in carcere per
associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, immigrazione clandestina. Ma, secondo i
congiunti e la comunità eritrea, era stato fermato in circostanze poco chiare. L’inchiesta della
procura di Civitavecchia ha stabilito che Habteab si è impiccato.
Nelle fotografie scattate all’ospedale di Civitavecchia Habteab Eyasu ha un ferita in fronte, e dietro
la nuca una grande macchia rossa di sangue. Sara Tseghe Paulous, sua zia, arrivata appositamente
dall’Arabia Saudita, mostra il cadavere del nipote e dice a chiare lettere: “Io ora voglio sapere cosa
è accaduto. Non credo che si sia suicidato. Perché chi si suicida non ha queste ferite in faccia”.

Foto di Habteab Eyasu – morto per “suicidio”

29 gennaio 2007, Carcere di Monza
Gianluca Concetti, 40 anni, muore in carcere. Ha allagato la sua cella, in preda all’ennesima crisi
psicotica, ed è scivolato sbattendo violentemente la testa. Quando agenti e infermieri hanno aperto
la porta della cella, per Gianluca Concetti non c’era più niente da fare. È morto sul colpo, lunedì
pomeriggio. In carcere. Lui che, secondo i medici, in carcere non ci poteva stare per il suo stato di
salute.

10 luglio 2007, Questura di Milano
Mohammed Darid, 32 anni, marocchino, viene ritrovato morto alle 6 del mattino nella “camera di
sicurezza” della Questura di Milano. Era stato fermato la sera prima, in stazione Centrale, dagli
agenti della Polfer per spaccio di stupefacenti e trovato. L’autopsia ha stabilito che non c’erano
segni di violenza sul suo corpo e la morte è stata causata da un arresto cardiocircolatorio.

15 ottobre 2007, carcere di Perugia
Aldo Bianzino, 44 anni, viene ritrovato morto in cella all’alba di domenica 15 ottobre, nel carcere
di Capanne, Perugia. Di sicuro si sa che era stato arrestato il venerdì prima, assieme a Roberta, la
madre del più giovane dei suoi tre figli. È successo nel casale sopra Pietralunga, tra Città di
Castello, Gubbio e Umbertide.
Prima la perquisizione alle 7 del mattino, con il cane antidroga che non trova nulla nel casale. Ma
poi, dietro un cespuglio spuntano alcune piante di marijuana. I giornali locali riportano cifre
consistenti. Un centinaio di piante ma forse hanno fatto la somma con le piante maschio trovate in
fosso secche e inutilizzabili. Di sicuro sappiamo che Roberta e Aldo sono stati portati al
commissariato di Città di Castello per le formalità di rito e da lì trasferiti, con un mandato d’arresto
spiccato dallo stesso pm che si occupa della morte di Aldo, al carcere di Capanne, struttura di media
sicurezza, dove non c’è il regime duro dell’articolo 41, come a Spoleto o Terni. Struttura moderna,
nuova, inaugurata da Castelli quand’era Guardasigilli di Berlusconi.
Di sicuro si sa, l’ha detto la famiglia, che il comportamento degli agenti di Città di Castello sia stato
corretto. Roberta e il suo compagno si sono persi di vista solo all’arrivo in carcere, pomeriggio di
venerdì 13. Di sicuro, un avvocato d’ufficio li ha visti il giorno appresso, prima lui poi lei. Aldo
stava in condizioni normali, solo era preoccupato per Roberta. Roberta che sarebbe stata rilasciata la
mattina dopo. Di sicuro si sa che il medico legale avrebbe presto escluso l’ipotesi di una morte per
infarto.
Anzi, avrebbe riscontrato quattro emorragie cerebrali, almeno due costole rotte e lesioni a fegato e
milza. Di sicuro, e di strano, si sa che non c’erano segni esteriori. Tanto da lasciare perplessi i
consulenti incaricati della perizia. Di sicuro si sa che le ferite al fegato non sono idonee a cagionare
la morte, spiega a Liberazione uno dei legali della famiglia. “Di sicuro sappiamo che è arrivato a
Capanne in condizioni di assoluta normalità e da lì non è uscito”.

23 giugno 2008, Carcere Sollicciano di Firenze
Niki Aprile Gatti, 26enne, si impicca in cella. Fu arrestato il 19 giugno alle 23.00 a Cattolica con
l’accusa di aver commesso una frode informatica, quindi rinchiuso nel carcere di Sollicciano
(Firenze). Alle 11.00 del 23 giugno venne trovato senza vita, impiccato alla finestra del bagno con
un paio di jeans e un numero imprecisato di lacci da scarpe. Ora, i genitori di Niki Aprile Gatti, 26
anni, che non hanno mai creduto all’ipotesi di suicidio del figlio, si oppongono alla richiesta di
archiviazione avanzata dal pm al procedimento che avrebbe dovuto fare luce sulla morte del
giovane. Secondo i genitori del ragazzo, che vivono ad Avezzano (L’Aquila), la richiesta di
archiviazione “contrasta con le pur scarne risultanze processuali che rivelano una carente attenzione
per il detenuto alla luce delle caratteristiche che il caso presentava; si fonda su un esame parziale e
insufficiente degli atti; esprime una valutazione operata in assenza di approfondimento investigativo
e di verifica probatoria”.

25 luglio 2008, Carcere di Genova
Alla mamma aveva scritto una lettera drammatica: “Qui in carcere mi ammazzano di botte”. “Mi
riempiono di psicofarmaci”. “Mi ricattano”, “Sto male”. Ieri lo hanno trovato senza vita riverso per
terra, con una bomboletta di gas in mano, in un bagno del carcere di Marassi, a Genova. E adesso, la
madre si rigira tra le mani quella lettera tremenda, mentre grida le sue accuse e il suo dolore.
Manuel Eliantonio, 22 anni, originario di Piossaco, è morto l’altra mattina nella struttura
penitenziaria dov’era rinchiuso da quasi cinque mesi. Ucciso, dicono al Marassi, dal gas butano
respirato da una bomboletta di gas da campeggio.
Suicidio? “Forse un incidente”, lasciano intendere dalla casa circondariale. Spiegando che il butano è spesso adoperato come droga dai detenuti.
Ma la madre di Manuel, Maria, urla: “Mio figlio lo hanno ammazzato. Lo hanno pestato a sangue e
lo hanno stordito con psicofarmaci. Lo hanno ucciso, e stanno cercando di coprire tutto”. Mostra
l’ultima – nonché l’unica – lettera che il figlio le ha inviato dal carcere dov’era rinchiuso per una
condanna a 5 mesi e dieci giorni. “Una storia da niente, resistenza a pubblico ufficiale”, dice lei. L’ultimo scritto di Manuel sono due paginette strappate da un quaderno a quadretti su cui c’è lo spaccato di una vita d’inferno. “Cara mamma, qui mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana. Adesso ho soltanto un occhio nero, ma di solito…”. E ancora: “Mi riempiono di
psicofarmaci. Quelli che riesco non li ingoio e appena posso li sputo. Ma se non li prendo mi
ricattano con le lettere che devo fare”. E ancora: “Sai, mi tengono in isolamento quattro giorni alla
settimana, mangio poco e niente, sto male”.

22 ottobre 2009, carcere di Regina Colei (Rm)
Verità su Stefano Cucchi. E in tempi rapidi. La invocano la famiglia, i legali e la politica. Tutti
insieme oggi hanno convocato una conferenza stampa in Senato per chiedere di fare luce sulla
morte del 31enne romano, fermato giovedì 16 ottobre nel parco degli Acquedotti perché in possesso
di venti grammi di sostanze stupefacenti, e morto nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini
giovedì 22, dopo essere passato per il Tribunale, il Regina Coeli e il Fatebenefratelli. Otto
interminabili giorni durante i quali la famiglia ha tentato invano di vedere il loro caro e di parlare
con i medici che lo avevano in cura.

Foto di Stefano Cucchi – morto per…

(Tratto da AprileOnline)