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Messina Denaro uomo d’affari e quel senatore di Forza Italia che pesa

Da Iacchite -16 Gennaio 2023

Poco più di un anno fa, a dicembre del 2021, il Fatto Quotidiano aveva pubblicato uno speciale sul superboss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, arrestato oggi dopo una latitanza durata 30 anni. Mai come ora è opportuno rileggerlo per riannodare tutte le vicende che si sono succedute in questi decenni.

di Giuseppe Pipitone con la collaborazione di Marco Bova

Fonte: Fatto Quotidiano Millennium

Matteo Messina Denaro non si trova. Come fa? Come ci riesce? Nell’epoca degli smartphone e della geolocalizzazione, del tracciamento quasi integrale della vita di ognuno di noi, come può uno degli uomini più ricercati al mondo continuare a rimanere invisibile?
Fatto Quotidiano Millennium, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 11 dicembre, si è messo sulle tracce dell’ultimo superlatitante di Cosa Nostra: in un approfondito ritratto di 20 pagine che ha ricostruito il passato, il periodo di formazione criminale fatto di lusso e violenza, il rapporto profondo che lo unisce a Graviano, gli antichi legami familiari che lo collegano ai Cuntrera e Caruana, i potentissimi narcotrafficanti che avevano la loro base in Venezuela. E poi il ruolo fondamentale giocato nelle stragi, poco prima di cominciare una lunga latitanza. A ogni blitz, a ogni operazione, a ogni sequestro, i giornali scrivono che il cerchio intorno all’ultimo latitante di Cosa Nostra si stringe sempre di più. Ma il centro di quel cerchio rimane sempre, inesorabilmente, vuoto.
E allora, riportiamo quanto scrive Il Fatto Quotidiano perché finora mai nessuno aveva provato a fare una ricerca organica che ci potesse spiegare fino in fondo perché Messina Denaro non si trova. Si tratta di una storia che andrebbe divulgata il più possibile ed è per questo che la pubblichiamo in maniera tale che quante più persone possibili siano al corrente di come “funziona” la nostra Italietta. E questa storia comincia a Roma. 

PRIMA PARTE (https://www.iacchite.blog/messina-denaro-tutti-i-segreti-del-boss-fantasma-e-fimminaro/)

SECONDA PARTE

UN UOMO D’AFFARI

Finora non l’hanno mai preso, ma attorno gli hanno fatto terra bruciata, gli hanno arrestato centinaia di fedelissimi, stringendo le manette pure ai polsi della sorella Patrizia e del fratello Salvatore. Poi hanno provato a bloccargli “la roba” cioè i piccioli, i soldi, il bene supremo di ogni mafioso che si rispetti: solo negli ultimi dieci anni un conto veloce ci dice che i beni sequestrati, perché considerati riconducibili a Messina Denaro, valgono più di sette milioni di euro, un forziere a nove zeri.

Dentro c’è di tutto: dicono che fosse suo l’impero da un miliardo e mezzo di Vito Nicastri, un elettricista di Alcamo dai modi decisi diventato ricchissimo grazie alle pale eoliche. Il Financial Times era arrivato a definirlo il re del vento” e invece quei soldi investiti nell’energia pulita erano sporchi.

Erano di Matteo pure i supermercati Despar e una serie di cantine che producevano un vino premiato persino al Vinitaly. Il valore? Quasi 800 milioni.

Di più, molto di più valeva Valtur, il colosso dei villaggi turistici e dei resort, quasi cinque miliardi finiti in mano a Carmelo Patti, un siciliano emigrato in Lomellina per fare l’operaio, arrivato a stringere la mano di Giovanni Agnelli. Anche quella, per gli investigatori, era tutta roba di Matteo. Questo Messina Denaro è un mafioso o un uomo d’affari? Un assassino o un businessman in grado di differenziare gli investimenti, in modo da avere sempre profitti per finanziare la sua latitanza?

UN SENATORE CHE PESA

Dopo i piccioli, c’è la politica. Quando Matteo diventa un fantasma, la Prima Repubblica sta morendo. La seconda nasce nel 1994: Forza Italia vince le elezioni e Silvio Berlusconi diventa presidente del Consiglio. In Parlamento, da Trapani arriva anche un uomo distinto, uno con una barba curatissima: si chiama Antonio D’Alì ed è il rampollo di una delle pià importanti famiglie della provincia. Proprietari di latifondi, di saline e di banche, i D’Alì hanno dato lavoro a tantissimi siciliani. Anche ai Messina Denaro. A Partanna c’è stato un omicidio e i poliziotti vogliono capirci di più. Matteo nega, di quella storia non sa nulla. Lui è solo un agricoltore, un viddano, come il padre. Ma loro non sono viddani come gli altri: loro lavorano per i D’Alì.

Mi chiamo Matteo Messina Denaro, sono il quarto dei sei figli di mio padre Francesco Messina Denaro e sono l’unico che ha continuato l’attività di mio padre dedita alla coltivazione dei campi. Voglio precisare che mio padre ha iniziato la sua attività agricola come campiere e coltivatore presso i terreni della famiglia D’Alì Staiti”, scandirà il giovane mafioso, abilissimo a far valere tutto il peso di quel cognome autorevole. Per quella famiglia, aggiunge, lavora pure suo fratello maggiore, Salvatore, non in campagna però. Salvatore ha studiato e ha un posto alla Banca Sicula.

Sono vecchie storie che torneranno d’attualità anni dopo quando D’Alì finirà sotto inchiesta per concorso esterno. I giudici d’appello scrivono che per farsi eleggere al Senato ha avuto i voti della mafia, almeno fino alle elezioni del 2001. Dicono che per sdebitarsi ha fatto trasferire lontano da Trapani un prefetto odiato dai boss. E che ci aveva provato pure col capo della squadra mobile: si chiama Giuseppe Linares ed è l’uomo che per anni ha dato la caccia a Matteo. Un giorno, dopo uno dei tanti blitz antimafia, lo chiama e si congratula e poi dice: “Sarebbe il caso che lei se ne andasse, è troppo esposto”. Era il 2002. Linares ricorderà davanti ai magistrati che il tono di quella chiamata era “algido”. Il poliziotto sarà poi trasferito nel 2013: lo promuovono e lo mandano a Napoli. Dopo un processo lungo e complesso, invece, D’Alì è condannato in appello a sei anni di carcere. La sentenza non è definitiva: nel frattempo l’ex senatore si è tagliato la barba.

Fonte:https://www.iacchite.blog/messina-denaro-uomo-daffari-e-quel-senatore-di-forza-italia-che-pesa/