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Messina Denaro, l’ultimo mistero in un’intercettazione. “Matteo alzati”, scatta il blitz, ma il covo è vuoto

Messina Denaro, l’ultimo mistero in un’intercettazione. “Matteo alzati”, scatta il blitz, ma il covo è vuoto

Una microspia ha messo in allerta gli investigatori. E intanto il superlatitante manda un messaggio al cognato: “Quello a me mi vuole bene…”

di SALVO PALAZZOLO

Matteo susiti. “Matteo alzati”, disse una mattina l’imprenditore che i carabinieri di Trapani stavano intercettando. Un imprenditore ritenuto vicinissimo al superlatitante di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, si tratta di Francesco Catalanotto, arrestato ieri mattina. La cimice piazzata nella sua auto registrò il rumore di un portone metallico che si apriva. Il Gps rilanciava la posizione su un computer della centrale operativa degli investigatori: un caseggiato rurale in contrada Fontanelle di Campobello di Mazara. E poi quelle parole. “Matteo susiti. Era il 24 marzo 2016. Il giorno dopo, scattò il blitz nel casolare. Ma non c’era nessuno.

Eccolo, l’ultimo mistero sulla primula rossa di Castelvetrano. Il retroscena è contenuto nelle carte dell’indagine della procura distrettuale antimafia di Palermo che ha portato in carcere il “re” delle scommesse on line, Calogero Jonn Luppino, accusato di aver finanziato la famiglia del superlatitante. Quel casolare di campagna era di proprietà di Luppino, l’imprenditore risultato in stretto contatto con il cognato di Messina Denaro, Saro Allegra. Il giallo prosegue, il giallo sul capomafia che sembra imprendibile dal giugno 1993 nonostante le indagini di carabinieri e polizia proseguano a ritmo serrato, con decine di arresti. Un pressing giudiziario che stressa non poco i fedelissimi del padrino. Al punto che un giorno qualcuno arrivò ad augurarsi il suo arresto.

Fino a quando non prendono a questo, siamo tutti consumati — diceva Luppino, che sospettava di essere seguito dalle forze dell’ordine — perché ti legano tutti a questo deficiente”. E suo zio, Salvatore Giorgi, aggiungeva: “Finché non prendono questo cane di macogna, eh, in questo territorio faranno terra bruciata”. Lo stesso sfogo di tanti altri mafiosi. Arrestano decine di boss e favoreggiatori, ma lui resta un fantasma.

L’investitura

Un fantasma. Ma, adesso, la procura di Palermo mette nero su bianco una certezza. “E’ l’unico nella provincia di Trapani in grado di poter determinare assetti e vertici del sodalizio”. Messina Denaro è vivo, sembra che si sposti di tanto in tanto. E fa arrivare i suoi desiderata. Lo dice il cognato, Saro Allegra, che intercettato parla dell’investitura ricevuta: “Quello a me mi vuole bene anche perché io sono per lui…”. E ancora: “Quello mi ha detto a me: chiunque viene, non ti devi fare impressionare, mandali a fare in culo, chiunque viene, tu, a te nessuno ti può dire niente e io cammino”.

Parola di fantasma. Il fantasma che conosce i segreti delle stragi del 1992-1993. I segreti che fanno di Messina Denaro il padrino più potente di Cosa nostra. Non la Cosa nostra “militare”, quella delle estorsioni e della droga, quella che a Palermo ha provato a ricostituire la Cupola. La mafia di Messina Denaro punta sugli affari, sui fondi pubblici, sulle relazioni nate in un passato ruggente. Basta guardare l’entità dei sequestri fatti negli ultimi sei anni agli imprenditori ritenuti parte del cerchio magico del padrino latitante: sei miliardi di euro.

Anche il capo dei capi, Totò Riina, non si dava pace in carcere: “Ma perché non ammazza qualche magistrato… io me lo sono cresciuto… no, lui pensa solo ai pali”. I pali eolici, il grande business dell’energia alternativa su cui la mafia 2.0 di Messina Denaro ha investito. E la caccia prosegue, affidata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido a due squadre di specialisti. Da una parte i poliziotti del Servizio centrale operativo della polizia, con le squadre mobili di Palermo e Trapani. Dall’altra, i carabinieri del Ros, con i colleghi del nucleo Investigativo di Trapani. I migliori investigatori dell’antimafia.

L’indagine

In una delle sale operative di questa maxi indagine qualcuno ha appeso a una parete la poesia scritta dalla piccola Nadia Nencioni, una delle vittime della strage di via dei Georgofili, a Firenze. La strage per cui Messina Denaro è condannato all’ergastolo. Nadia aveva 9 anni. Qualche giorno prima della bomba, scrisse una poesia intitolata “Tramonto”. “Il pomeriggio se ne va/il tramonto si avvicina/un momento stupendo/Il sole sta andando via (a letto)/E’ già sera tutto è finito”. E ora “Tramonto” è il nome in codice dell’operazione Messina Denaro. Il tramonto, si spera al più presto, dell’ultimo padrino delle stragi ancora in libertà. Non sarà facile.

Qualcuno dice che sia in Tunisia, qualcuno sussurra in Venezuela. Qualcuno, ancora, dice al Nord Italia. Oppure, fra Trapani e Agrigento. Chissà. “Forse, questa è ancora una partita truccata – sussurra uno degli investigatori che gli dà la caccia – stiamo facendo tutto il possibile, con il massimo impegno, ma qualcosa continua a non quadrare”. Si può ipotizzare che il fantasma goda ancora di un’ampia rete di complicità. Troppi blitz falliti, troppe piste sfumate all’improvviso. Questa è ancora una partita truccata.

 

23 febbraio 2019

Fonte:https://www.repubblica.it/