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Memoria d’accusa: quando Giovanni Falcone denunciava il caso Palermo

L’Espresso, 23 maggio 2018


Memoria d’accusa: quando Giovanni Falcone denunciava il caso Palermo

Ecco l’intervento del giudice ucciso che L’Espresso ha pubblicato in esclusiva il 18 settembre 1988. «C’è un senso di scoraggiamento. Ci hanno messo nella condizione di non muoverci»

DI PIETRO CALDERONI

 

Ecco l’atto d’accusa che il giudice palermitano Giovanni Falcone ha fatto domenica 31 luglio (1988 ndr) davanti al Comitato antimafia del Consiglio superiore della magistratura. È una testimonianza eccezionale (l’audizione era segreta) e sconvolgente con la quale il magistrato più esposto nella guerra contro “Cosa nostra”, per la prima volta, ha parlato esplicitamente degli intralci nel suo lavoro, dei contrasti insanabili col suo capo, il consigliere istruttore Antonino Meli, del tentativo di smembrare e di fatto disinnescare il “pool” antimafia, dell’impossibilità – visto il clima che tira nell’Ufficio istruzione di Palermo – di continuare a istruire i processi. Insomma, dice Falcone, qualcosa si è inceppato nella lotta alla mafia. E spiega il perché.

Falcone denuncia che, al Palazzo di giustizia di Palermo, è in corso uno scontro, decisivo, tra due modi d’intendere la lotta alla mafia. Da una parte, il consigliere Meli, reo di voler gestire il delicatissimo momento giudiziario in forma esclusivamente burocratica, rallentando l’iter dei processi più importanti e svilendo il lavoro del pool; dall’altra parte, appunto, i giudici del pool antimafia, con Falcone in testa, preoccupati per questo calo di tensione negli uffici giudiziari palermitani.

È una polemica che nasce, in realtà, il 20 luglio dopo una intervista, a “Repubblica”, del giudice Paolo Borsellino, fino a qualche tempo prima nel gruppo dei giudici antimafia di Palermo e poi passato a dirigere la procura della Repubblica di Marsala. Borsellino fa pesanti accuse: «Stiamo tornando indietro come vent’anni fa», dice. E aggiunge: «Le indagini si disperdono in mille canali e intanto Cosa Nostra si è riorganizzata come prima, più di prima». Non solo: Borsellino sostiene che Meli ha cominciato a smantellare, con i pretesti più diversi, il pool antimafia. Meli replica stizzito che non è vero.

Le gravi parole del giudice Borsellino, però, non cadono nel vuoto. Nemmeno 24 ore dopo l’intervista, infatti, è addirittura il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, a intervenire chiedendo che sia fatta piena luce su quello che sta accadendo all’interno del Palazzo di giustizia di Palermo. Lo scontro fra Meli e Falcone, fino a quel momento covato sotto la brace, emerge in tutta la sua crudezza. Uno scontro che, il 19 di gennaio (1988 ndr), aveva avuto il suo prologo, quando il Consiglio superiore, premiando l’anzianità rispetto alla professionalità e alla competenza specifica, aveva deciso di nominare, a strettissima maggioranza, dopo lunghe discussioni e spaccature, consigliere istruttore di Palermo proprio Meli invece di Falcone. Alla fine di luglio, dunque, in una Roma oppressa da un caldo africano, le porte del palazzo dei Marescialli, dove ha sede il Csm, si aprono per ascoltare le ragioni dei protagonisti. È un’indagine il cui epilogo è destinato a emergere dalla riunione del Consiglio fissata a partire da martedì 13 settembre. A luglio, il giudice Borsellino conferma le sue parole. Subito dopo, davanti agli 11 membri del Comitato antimafia del Csm, si siede Giovanni Falcone. Ha appena consegnato una lettera in cui chiede di essere trasferito in un altro ufficio; lui, l’uomo che ha istruito il maxiprocesso, che per primo ha raccolto le confessioni di Tommaso Buscetta, che ha incriminato il sindaco democristiano Vito Ciancimino, che ha indagato per scoprire gli assassini dei grandi delitti eccellenti, da quello di Piersanti Mattarella a quello di Pio La Torre, dice che cosi non ha più senso andare avanti. E ricorda, accusa, elenca, davanti agli altri giudici del Consiglio superiore della magistratura, portando esempi, rievocando fatti, rivelando episodi rimasti fino a quel momento segreti. Il lungo intervento di Falcone è introdotto dal consigliere Carlo Smuraglia: «Falcone, la ringraziamo per essere qui. Lei conosce le ragioni… la preghiamo di parlare». E il giudice parla.

Parole di Falcone.

«Si è verificata purtroppo una situazione di stallo che ci sta portando verso quella gestione burocratica dei processi di mafia che è stata la causa non secondaria dei fallimenti degli anni, dei decenni trascorsi. Cosi vengono a confronto due filosofie del fare il giudice: quella che prevede una gestione burocratica-amministrativa-verticistica dell’Ufficio e quella che tende ad ottenere i risultati dell’istruttoria. Il consigliere Meli spesso, molto spesso, mi sollecita a chiudere le istruttorie, ma certi processi hanno bisogno del loro sfogo, certi processi politici, come l’omicidio Mattarclla [era il presidente democristiano della Regione, dc, ndr.], quello La Torre [era il segretario regionale del Pci siciliano, ndr.] o quello Parisi [Roberto Parisi, presidente del Palermo calcio, ndr.] non si possono chiudere, a meno che non si voglia fare il solito fonogramma al Commissariato chiedendo l’esito di ulteriori indagini e, alla risposta che l’esito è negativo, chiudere la solita bellissima sentenza contro ignoti. «Il problema è cominciato a diventare più pressante con l’insediamento del consigliere Meli. Ci saremmo aspettati quanto meno di essere convocati per uno scambio di idee, per discutere dei problemi enormi, materiali e di gestione di tutti questi processi, ma nulla di tutto questo è avvenuto… Se c’è una filosofia del pool, del lavorare insieme in materie così intimamente connesse come quelle che riguardano le attività mafìose, era proprio quella di cercare di seguire sempre l’evolversi delle varie indagini per vedere attraverso un esame globale del fenomeno di poter incidere in maniera più efficace; senonché ci siamo accorti che mano mano le cose cambiavano. I processi venivano assegnati con un criterio da noi non conoscibile e in contrasto coi criteri predisposti e approvati dal Consiglio superiore della magistratura, criteri che prevedevano che a quel gruppo di sezioni dovessero essere affidati tutti i processi di mafia… Tutto questo invece non veniva osservato: non soltanto non veniva osservato, ma noi non ne conoscevamo il perché».

IL SEQUESTRO MISTERIOSO
«Faccio un esempio,il processo per l’omicidio di Tommaso Marsala [industriale, ucciso nel 1987, titolare dell’appartamento-base dei killer del vicequestore Ninni Cassarà, ndr.]: Marsala era imputato dell’omicidio Cassarà, era stato scarcerato per mancanza d’indizi ma permanevano sul suo conto pesanti sospetti. A un certo punto Marsala viene ammazzato: dopo l’inchiesta sommaria il processo contro ignoti viene formalizzato e assegnato al giudice Lacommare. Egli prospetta dci motivi di opportunità [poiché evidentemente non fa parte del pool antimafia, ndr.], ma gli viene risposto che un po’ tutti si devono occupare d’indagini di mafia.
«Lo stesso avviene col processo per il sequestro di Claudio Fiorentino [il maggior gioielliere palermitano, rapito il 10 ottobre 1985, ndr.], che è uno dei fatti più gravi e più significativi su cui occorre, a mio avviso, approfondire le indagini. I Fiorentino erano già venuti fuori nel 1980, ai tempi del processo Spatola [il clan mafioso in contatto anche con Michele Sindona, ndr.] per una sorta di attività di riciclaggio di denaro, dollari statunitensi di provenienza illecita, Il sequestro appariva abbastanza anomalo e soprattutto in contrasto con un divieto di compiere sequestri di persona stabilito da Cosa Nostra in Sicilia. Quindi delle due l’una: o il sequestro era finto o erano cambiate le regole di Cosa Nostra; fra l’altro il sequestro era avvenuto in territorio Partanna-Mandello, cioè in una zona molto vicina ai Corleonesi e quindi si trattava di cercare di fare luce sull’episodio. Bene, questo processo il Consigliere istruttore se lo assegna a se stesso senza dare nessuna spiegazione in merito. A questo punto prendiamo atto di questa realtà e gli chiediamo copia degli atti, una richiesta che ci consentiva di vedere se e quali agganci potessero esserci con altri processi in corso. Tra l’altro segnaliamo al Consigliere, nella nostra richiesta, l’esigenza indifferibile del potenziamento del pool; gli abbiamo detto, nei modi più garbati, che in questa maniera si smembra tutto, gli abbiamo spiegato i motivi per cui noi ritenevamo che quei processi avessero attinenza al gruppo antimafia; infine gli abbiamo ricordato che all’Ufficio istruzione esiste uno strumento informatico molto importante, creato da noi giorno dopo giorno, per cui la conoscenza di quel processo ci serviva anche per inserire gli atti nell’elaboratore elettronico…

«Succede che, di fronte a queste nostre richieste, il consigliere avoca la titolarità del processo contro Cosa Nostra… E poi si rifiuta di trasmetterei copia dcgii atti richiesti affermando che dovevamo chiedere atti determinati e non tutti gli atti. Io mi chiedo com’é che potevamo chiedere atti determinati se non li conoscevamo!
«Poi sono cominciati ulteriori problemi, da ultimo questo processo per l’omicidio di Antonio Casella (grosso imputato, chi si occupa di queste indagini sa bene che significa questo nome: Edilferro eccetera), fatto di gravità inaudita, perché significa una spaccatura all’interno della maggioranza egemone [di Cosa Nostra, ndr.]. Naturalmente chiedo ai colleghi della Procura: “Quando lo formalizzate, me lo fate sapere”. Il processo viene assegnato al collega Grillo, il quale, appena lo legge, va da Meli e gli dice: “Ma guardi, cosa c’entro io?”. Risponde Meli: “Ah, non me ne ero accorto”. Allora io dico, come si fa a non accorgersi di un fatto del genere, significa non aver letto nemmeno il rapporto, cioè fare l’assegnazione solo sulla copertina. Allora, per rimediare, è un po’ maligna la cosa, il Consigliere Meli assegna il processo per l’istruttoria di questo omicidio a otto persone! Ora io chiedo, come si fa a istruire così, un processo del genere? La risposta la lascio alla vostra intelligenza. «E poi in queste assegnazioni, stranamente, alcuni colleghi del gruppo antimafia non vengono presi in considerazione, nel senso che non vengono loro assegnati questi processi, ma processi ordinari, processi per rapine… Tutta una serie di processi del carico ordinario li abbiamo istruiti sempre; ma, se si aumenta indiscriminatamente il carico ordinario, ci fermiamo tutti e difatti quando io parlo di situazione di stalla, intendo dire che adesso le indagini, gli interrogatori, gli esami testimoniali, li posso fare soltanto io perché gli altri sono occupati a gestirsi l’ordinario. E a questo punto ci blocchiamo tutti.
«Ecco io non lamento altro; però una cosa è molto seria, questa mancanza di comprensione dei problemi. Il Consigliere non ha letto ancora una pagina del processo di cui è formalmente assegnatario, ma ha determinato tutta questa serie di reazioni a catena per cui ci siamo inevitabilmente fermati tutti. E io personalmente non intendo avallare una gestione di processi di questa gravità in una visione burocratico amministrativa».

IL BLOCCO TOTALE
«Io non intendo assolutamente sovraccaricare nulla e ho sempre ispirato la mia condotta alla volontà di sdrammatizzare tutti i problemi, ma le condizioni obiettive sono queste: noi ci troviamo bloccati da fatti che, presi uno per uno, sembrano delle miserie, ma presi globalmente bloccano tutto. Tutta questa situazione all’interno dell’Ufficio in realtà ha prodotto il blocco totale. Ci trastulliamo con vicende che non meriterebbero nessuna attenzione, mentre sui nostri problemi non riusciamo a concentrarci»
Domanda il consigliere Guido Ziccone, del Sindacato magistrati: «Da come lei ha riferito i fatti, mi sembra di aver capito che c’è una serie di difficoltà che mano a mano sono emerse, evidenziate dal modo in cui questo pool ha ragionato e operato. È un modo che il Consigliere istruttore avrebbe voluto o vorrebbe modificare?»
Falcone: «Io non so nemmeno se vuole che ci sia un pool, e con quali persone, perché non ce ne ha informato ancora!».
Ziccone: «La cosa che mi colpisce, che colpisce tutto il Paese… è come si arrivi a questa diagnosi d’impossibilità di andare avanti… ».
Falcone: «C’è un senso di scoraggiamento da parte dei colleghi… Le faccio un altro esempio (ma ne potrei fare centinaia di questo esempi): processo per truffa di miliardi alla Sicilsud Leasing, processo molto importante sorto fra l’altro da indagini che avevamo fatto noi (io in particolare) e che poi sono state sviluppate dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di finanza; processo in cui ancora una volta viene a trovarsi coinvolto, come perno, Tommaso Marsala.

IL PROCESSO NEGATO
«Essendo un processo molto importante, aspettiamo che arrivi all’ufficio istruzione; finalmente un giorno telefono alla cancelleria c mi dicono che è arrivato da una decina di giorni; chiedo a chi è assegnato c mi rispondono che è assegnato anche a me. Pensando di dover lavorare anch’io, chiamo il collega assegnatario e gli chiedo quando ci riuniamo per parlarne. Risponde di no, che è inutile riunirsi, che io posso richiedere la sola copia degli atti. Pensando che ci fosse l’assegnazione congiunta, vado a vedere e l’assegnazione è in questi termini: il processo è assegnato al giudice istruttore Barrile e, limitatamente agli atti che potrebbero essere importanti nelle indagini su Marsala, anche ai giudici Falcone e Lacommare; s’inserisce una terza persona ed ecco che siamo in quattro. Ora io vi chiedo: sulla base di questa delega, come ci possiamo muovere noi?… Cosi mi si mette in condizioni di non muovcrmi, non posso fare nulla. Giorno dopo giorno c’è un problema, poi quando cerchiamo di far capire queste cose, ti spunta sul “Giornale di Sicilia” un comunicato: basta coi miti, queste beghe fra magistrati, queste sono beghe fra cordate di magistrati, tutti sono in grado di fare tutto. Voglio dire che è tutta una serie di colpi di spillo che ti mette in condizione di non muoverti. Certo, se scomponiamo e rianalizziamo queste vicende, sono tutte risolvibili, però, poi, in concreto ti accerchiano c non ti muovi. Tutto questo ti delegittima, tutto questo t’impedisce di andare avanti; diceva Dalla Chiesa che Palermo era una città dove il “prestigio” conta…».
Domanda il consigliere Smuraglia: «Rispetto a quando è venuto a Palermo il Comitato antimafia del Consiglio, cioè a fine gennaio, la situazione complessiva è migliorata, è rimasta uguale o è peggiorata?».
Falcone: «io direi che al peggio non c’è mai fine, ma certo migliorata non è… Recentemente mi è capilato di dover rivivere quegli stessi errori che abbiamo censurato per il passato. Agli inizi degli anni ’60 certe frasi come “rappresentante”, “famiglia mafiosa”, “reggente” (tutto un insieme di notizie che poi ci sarebbero state dette anche da Tommaso Buscctta) c’erano già scritte nei rapporti. Poi, dagli anni ’70 in poi, tutto questo sparisce, perché? Per la mancanza di memoria storica, per la mancanza di professionalità specifiche per questi problemi. Cosi noi ci troviamo adesso in una situazione identica a quella di prima che iniziassimo le indagini istruttorie… Adesso constatiamo scarsezza di collaborazione e di entusiasmo, io non vedo funzionari di Polizia nel mio ufficio da mesi, mesi e mesi…».

L’AUTISTA AL COMPUTER
Smuraglia: «Il Procuratore Borsellino ci ha detto che adesso dei computer, dell’impiego degli elaboratori elettronici si occupa il collega De Francisci».
Falcone: <<Se ne occupava! Perché Dc Francisci, occupato anche lui nell’ordinario, è costretto a diradare il suo impegno nell’informatica ed il laboratorio viene gestito da un commesso, l’ex autista di Chinnici…»,
Smuraglia: «Non è arrivato un tecnico?»
Falcone: «No, no, no. Queste elaborazioni vengono affidate a questa persona dotata di sensibilità, che però può omettere dei dati che per noi sono significativi e per lui non lo sono».
Domanda il consigliere Pietro Calogero: «Il ricorso al carteggio che si è dispiegato in questi mesi fra i componenti del pool e il consigliere Meli a cosa è dovuto? Qual è la ragione del ricorso allo scritto tra componenti dello stesso ufficio?».
Falcone: «Noi abbiamo fatto ricorso allo scritto solo dopo che ci siamo resi conto che non c’era alcun dialogo. Io stesso più d’una volta l’ho detto al Consigliere: incontrati con noi, non vogliamo altro che lavorare in piena armonia. Non è stato possibile».
Calogero: «Quindi anche la richiesta di copia degli atti in ordine al sequestro Fiorentino, era stata preceduta da richieste verbali di conoscere gli atti del processo?».
Falcone: «Erano andati a parlare con Meli sia Natoli che Trizzino… Insomma nel concreto: ci siamo resi conto che se l’è assegnato lui, ritenendo che fosse un qualcosa di ordinario e credo che forse tuttora non sia convinto che sia importante questo processo, ma in realtà è molto importante».
Calogero: «In relazione ai processi che si è autoassegnato, processi di mafia s’intende, risulta che Meli abbia svolto atti istruttori?».
Falcone: «No…».
Il consigliere Massimo Brutti: «Vorrei che Falcone ci desse tutte le indicazioni possibili sulla base della buona volontà per uscire dall’impasse, perché si possa risolvere tutto questo problema nella chiarezza».
Falcone: «La buona volontà da parte nostra c’è tutta. Io penso che il punto focale è che il Consigliere Meli dovrebbe comprendere che non c’è nessun complotto di nessun genere. Meli, a mio avviso, è stato male informato. Io credo che non abbia compreso un fatto fondamentale: che noi non abbiamo altri interessi che non siano quelli istituzionali. Ma, vivaddio, tutte le responsabilità, tutte le colpe saranno perseguite, a qualsiasi partito appartengano coloro che abbiano commesso determinati reati. Solo a queste condizioni io sono disponibile per continuare. Ripeto, purché tutti quanti ci si renda conto che bisogna lavorare serenamente, in buona fede e senza fini di altro genere».