L’Espresso, 25 Giugno 2020
Massimo Carminati, il criminale fascista che torna sempre libero
Già negi anni 80 il “Cecato” era un punto di congiunzione tra estremismo di destra e malavita romana. È nonostante sia entrato in tutte le inchieste giudiziarie degli anni di piombo ne è sempre uscito sempre indenne o quasi. Non stupisce quindi che sia di nuovo a piede libero
DI LIRIO ABBATE
Negli anni Ottanta il fascista Massimo Carminati era una figura di cerniera tra l’estremismo eversivo di destra e la malavita organizzata romana, che in quel periodo di terrore non disdegnavano di collaborare e scambiarsi favori. Componente dei Nuclei armati organizzati (Nar), veniva indicato dagli ex della banda della Magliana come un esperto di armi ed esplosivi, furbo e “solista” nelle sue attività criminali che lo vedranno entrare e uscire nei processi per alcuni dei fatti più cruenti accaduti in Italia. Inchieste giudiziarie da cui ne esce indenne o con semplici graffi penali. Tra questi, il depistaggio per la strage alla stazione di Bologna del 1980, l’uccisione, il 18 marzo 1978 a Milano dei due studenti di sinistra Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci e l’omicidio di Mino Pecorelli, il giornalista assassinato a Roma la sera del 20 marzo 1979.
Per la morte di quest’ultimo verranno chiamati in causa tutti i poteri occulti, dalla P2 alla mafia, fino a Giulio Andreotti. In un interrogatorio dell’11 marzo 1994, Antonio Mancini, ex componente della banda della Magliana, dichiara: «Fu Massimo Carminati a sparare assieme ad “Angiolino il biondo” [Michelangelo La Barbera, nda]. Il delitto era servito alla banda per favorire la crescita del gruppo, favorendo entrature negli ambienti giudiziari e finanziari romani, ossia negli ambienti che detenevano il potere».
Parole che alla fine non basteranno a far condannare il Cecato. Non è un caso che Mancini metta in relazione la banda della Magliana con Carminati. Il fascista, infatti, già negli anni Settanta cattura l’interesse degli storici boss Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati. I due ne apprezzano la spregiudicatezza e il coraggio. Lo prendono sotto la loro ala protettiva sia per coinvolgerlo nelle attività illecite sia per uno scambio di favori.
Carminati e i suoi sodali ricambiano generosamente le simpatie di Giuseppucci. I neri si adoperano spesso e volentieri in azioni di recupero crediti, danneggiamenti e altro, nei confronti di alcuni soggetti entrati in conflitto con gli affari della banda della Magliana. A distanza di anni, Carminati non risparmia però qualche critica nei confronti dei suoi vecchi amici.
Al costruttore romano Cristiano Guarnera, in una conversazione intercettata pochi anni fa, spiega che lui era un «politico» non come «i cialtroni della Magliana», fatta eccezione per «il Negro [Giuseppucci]» che «era l’unico vero capo che c’è mai stato… che era un mio caro amico». E aggiungeva: «Una banda di accattoni straccioni, per carità sanguinari perché si ammazzava la gente così senza manco discutere, la mattina si decideva se uno doveva ammazzare qualcuno la sera… ma quelli erano altri tempi, stiamo parlando di un mondo che è finito tanto è vero che poi si sono tutti pentiti, se so’ chiamati tutti l’uno con l’altro».
Carminati fa capire che avevano «interessi» diversi. «Io sono diventato, secondo loro [i pentiti], uno della banda della Magliana mentre io… io facevo politica a quei tempi, poi la politica ha smesso di essere politica ed è diventata criminalità politica, perché c’era una guerra a bassa intensità prima con la sinistra e poi con lo Stato». Carminati non attacca solo i pentiti, se la prende spesso anche con i giornali. E ai suoi amici racconta che gli avevano accollato di tutto. «Hanno scritto che sono stato killer della P2, killer dei servizi segreti, capito, io sono stato tutto, sono stato tutto ed il contrario di tutto». E aggiungeva dilungandosi in un ragionamento in cui sottilmente esibiva non solo le altisonanti malefatte attribuitegli nel tempo dalla stampa e dagli inquirenti (di cui pure sottintendeva l’infondatezza), ma anche le proprie conoscenze altolocate, maturate nella militanza di estrema destra, con le quali asseriva di essere sempre in contatto. «Sono stato qualunque cosa, la strage di Bologna, cioè a me mi hanno accollato tutto, tutto quello che mi potevano accollà, me lo hanno accollato, cioè hai capito, io ero l’anello mancante, diciamo fra una realtà politica ed una realtà di criminalità organizzata, la banda della Magliana era diventata l’anello mancante, capito, quello famoso…», Il suo interlocutore gli suggerisce «il ponticello» e lui: «Bravo, hai capito, e allora tutto quello che poteva si poteva affibbiare a quella che era diventata la cosiddetta agenzia del crimine, la banda della Magliana, cioè che era un’agenzia secondo loro disposta a tutto per soldi, per potere, per prebende, capito, quella che gli è servita per far poi carriere politiche, film libri e quant’altro».
Carminati spiega al suo amico imprenditore che cos’era l’agenzia del crimine. E davanti ai giudici precisa: «Non me la sono inventata io l’agenzia del crimine», e aggiunge che la persona che aveva parlato all’epoca di agenzia del crimine era stato «il dottor Domenico Sica» era lui che aveva “ipotizzato” l’esistenza di quest’agenzia, suggerisce il difensore di Carminati. La coincidenza vuole che l’ex alto commissario antimafia Domenico Sica sia stato fra le vittime del furto al caveau della banca di piazzale Clodio in cui Carminati ha svuotato solo alcune delle centinaia di cassette di sicurezza: selezionate, nella lista che l’ex Nar aveva in mano, c’erano anche le due cassette di Sica. Il nome del magistrato non venne mai pubblicato dai giornali durante le indagini (lo ha rivelato solo L’Espresso tre anni fa) , e quando il magistrato all’epoca venne ascoltato in aula dai giudici di Perugia nel processo in cui Carminati era imputato del furto, ammise che una delle cassette l’aveva aperta quando era Alto commissario per la lotta alla mafia per custodire documenti o somme di denaro. Una coincidenza. Le ipotesi sull’agenzia del crimine fatte da Sica, dirà Carminati ai giudici e quindi dopo il colpo al caveau, «non vennero poi riscontrate al processo, che è quello che poi conta insomma».
La Cassazione lo scorso ottobre ha escluso l’associazione mafiosa per la gang del Cecato, riconoscendola come un’organizzazione criminale. Dopo 8 mesi i giudici della Suprema corte hanno depositato le motivazioni, quasi in concomitanza con la scadenza dei termini di custodia. In questo modo Carminati ha potuto lasciare il carcere di Oristano dopo 5 anni e 7 mesi di detenzione, pur facendo parte del “mondo di mezzo” riconosciuto dagli ermellini che hanno rimandato alla corte d’appello di Roma per un nuovo processo che rideterminerà la pena. La notizia non ha colto di sorpresa Antonio Mancini, che l’aveva più volte detto: «Dopo cinque anni Carminati tornerà a casa». E così è stato.