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Marchionne ha spazzato via la Costituzione

C’era una volta la Costituzione. Non c’è più. A spazzarne via una delle pietre angolari non è stato Silvio Berlusconi: troppo controllato a vista e probabilmente nemmeno davvero interessato a impicciarsi più che tanto di affari non strettamente suoi. Ci ha pensato, pochi giorni fa, Sergio Marchionne.

A leggere i giornali, in questi giorni, sorge il dubbio che in pochi si siano accorti dell’enormità di quanto avvenuto, o forse che molti se ne siano accorti benissimo ma preferiscano fare in modo che non se ne accorgano i lettori. Lasciamo perdere il testo dell’accordo, che è pessimo e ricalca con migliorie solo cosmetiche quello di Pomigliano. Lasciamo perdere persino la manovra della Fiat, che con la piena complicità del governo sta facendo precisamente quel che dice di voler evitare: si sta cioè preparando a lasciare l’Italia, però facendosi finanziare dall’Italia stessa e dai propri operai il prezzo del traghetto, cioè la restituzione del prestito con il governo degli Usa, senza la quale non sarà possibile concludere l’accordo con Chrysler.

Passi tutto questo, anche se significa trasformare i lavoratori salariati in moderni schiavi e anche se comporta un danno mastodontico per l’economia del Paese che ha foraggiato la Fiat per decenni senza ottenere in cambio nulla. Eppure l’elemento davvero clamoroso, la svolta epocale, il fatto “storico” come lo ha giustamente definito Berlusconi, è un altro. E’ la brutale cancellazione del diritto alla rappresentanza sindacale per chi non ha firmato l’accordo.

In concreto, la rappresentanza sindacale sarà riconosciuta d’ora in poi, nella principale fabbrica italiana, solo per quei sindacati che sottoscrivono gli accordi voluti dalle aziende. Non è più la creazione e il finanziamento dei sindacati gialli. Robetta. E’ l’istituzionalizzazione del sindacato giallo. Non è più uno scalfire e aggirare la Costituzione. E’ demolirne uno dei pilastri fondanti, quello che sancisce la libertà d’associazione dei lavoratori nella Repubblica fondata sul lavoro.

Da due anni leggiamo di scandali e scandaletti. Sentiamo parlare come se nulla fosse di moderno fascismo e di regime. Ci si indigna per le avventure sessuali del premier. Si scende in piazza per la censura che minaccerebbe Marco Travaglio o Michele Santoro. Si vibra di sdegno perché qualche neofascista, manifestando in piazza, attenterebbe allo spirito e alla lettera della Costituzione.

Tutte queste vicende, messe insieme, sono una barzelletta da bar al confronto di quel che è accaduto il 23 dicembre. Però a nessuno è venuto in mente di rivolgere 10 domandine a Sergio Marchionne, e ce ne sarebbero di ben più serie di quelle rivolte a suo tempo a Silvio Berlusconi con martellamento quotidiano. Nessuno si è peritato di scendere in piazza, come avvenne in occasione della ignobile manifestazione a favore del contratto di Travaglio come ospite fisso e pagato di “AnnoZero”. “Il Fatto” ha trovato molto più scandalosa la reticenza del premier nel rispondere a una domanda del suo cronista che non la fine della libertà sindacale in Italia. Persino il sempre agguerrito sito di “Militant” uno spazietto per disquisire su questa secondaria faccenda ancora non l’ha trovato.

Tutto ciò, sia chiaro, non significa che il berlusconismo sia un falso problema. Un simile affondo Marchionne se lo è potuto permettere perché c’è Berlusconi, che non a caso ha gioito ed esultato per l’accordo. Ma se lo è potuto permettere anche perché l’opposizione sociale e culturale, per non parlare di quella politica, su questi fronti è cieca, muta e soprattutto assente.

La costruzione di una dittatura antioperaia, perché di questo si tratta, è il prodotto dell’incontro tra i veleni del berlusconismo e quelli di un’opposizione che oltre l’antiberlusconismo (spesso anche superficiale) proprio non sa andare.

(Tratto da Gli Altri Online)