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Mantova, la lezione della Guzzanti: «Stato e mafia coincidono»

Sabina presenta al Mignon il film “#LaTrattativa” autodistribuito dal basso, via facebook e con il porta a porta. «Le stragi di Capaci e via D’Amelio sostenute da parte delle istituzioni per imporre una svolta antidemocratica» di Igor Cipollina

21 marzo 2015

MANTOVA. Stessa sala, dieci anni dopo. Il cinema è stato ristrutturato, l’Italia no. Ed è piena di crepe. Nel 2005 Sabina Guzzanti venne al Mignon per presentare “Viva Zapatero”, ruvido atto d’accusa contro la censura nel Belpaese. Il nuovo film è “#LaTrattiva” che, fosse stato per lei, avrebbe intitolato “Stato mafia”. Ma il distributore s’è impuntato, per poi disinteressarsi del destino della pellicola.

Uscito il 2 ottobre dello scorso anno, il film è rimasto nelle sale una manciata di giorni, visto da poche persone. «Perché la gente non lo sapeva» si sfoga dal palco del Mignon la Guzzanti, che si è lanciata nel progetto di un’autodistribuzione orizzontale, dal basso. Modello inedito nella storia del cinema italiano.

Attorno a “#LaTrattativa” è nato un ostinato movimento d’opinione, una rete d’impegno per moltiplicare le proiezioni pure nelle pieghe più nascoste della provincia italiana (da Santià a Nardò). Grazie al tamtam dei social network e alla dedizione del porta a porta. Morale, in quattro mesi la Guzzanti ha collezionato 502 proiezioni e 150mila spettatori. Con un calendario esaurito fino a tutto maggio.

L’invito a Mantova è arrivato dai Visionari antimafia, ma è la stessa Fiorenza Brioni a disinnescare il sospetto di eventuali sovrapposizioni e convenienze: l’iniziativa nulla ha che fare con le sue sorti elettorali. Il tema è quello dell’intreccio tra mafia e politica, amplificato dalla coincidenza con la Giornata della Memoria e dell’Impegno.

Il titolo “#LaTrattativa” non piace alla Guzzanti perché è fuorviante, suggerisce l’idea di uno scambio. Mentre oggi è ormai superata pure l’idea della collusione: «Oggi Stato e mafia coincidono, la criminalità organizzata “fattura” 200 miliardi di euro all’anno e con questi soldi può comprarsi di tutto». La mafia non è quella raccontata dalla fiction e da certo cinema. «Sicuro che c’è la manovalanza, ma al vertice c’è la classe dirigente». Pure la geografia criminale è ormai rovesciata. «Le regioni più mafiose sono l’Emilia, il Piemonte, la Lombardia, il Veneto – le mette in fila la Guzzanti – Domani (il 22 marzo, ndr) sarò a Reggio Emilia, città di ’ndrangheta».

È la mafia a decidere le sorti politiche, il capovolgimento di valori si è compiuto definitivamente con le stragi di Capaci e via D’Amelio, «sostenute da una parte delle istituzioni, a cominciare dai servizi segreti, per imporre una svolta politica. Svolta antidemocratica prima ancora che criminale». E a uno spettatore che le domanda come se ne esce, a quale luce ci si può aggrappare, la Guzzanti risponde secca: «Non servono deleghe, la speranza è una decisione. C’è bisogno di un’assunzione di responsabilità» non di leader che ti tirano fuori da guai per precipitarti in una schiavitù ancora più grave.

Stesso cinema dieci anni dopo, com’è cambiato il Paese? Quanti passi indietro ha fatto? «C’è stata un’involuzione democratica rapidissima e tragica. La gente è terrorizzata, ha paura di parlare e mostrarsi, una paura che non è nemmeno conscia, ma spegne l’animo delle persone. Sono tutti compressi, sanno di doversi arrabbiare e lo fanno, però è una rabbia che implode e fa male solo a loro. C’è incapacità di esprimersi, avverti che la gente vorrebbe dire una cosa, ma ne dice un’altra perché il luogo comune diventa più forte della capacità di elaborare un pensiero». Fortuna che siamo umani, capaci di slanci e di svolte. «Di cambiare da un momento all’altro».