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MAFIOSFERA | Latitanti senza frontiere: un affare di famiglia

Si moltiplicano le notizie sugli arresti all’estero di membri dei clan calabresi ricercati, l’ultima due giorni fa a Bali. Perché la globalizzazione non ha cambiato solo la società, ma anche il modo di nascondersi dei criminali. Ecco come

Anna Sergi

12 Febbraio 2023

Si dice spesso che la ndrangheta non abbia confini. Ma di fondo, qualche confine chiaramente ce l’ha, o meglio ancora, le viene imposto. Si tratta molto spesso di confini anche abbastanza prevedibili, in realtà, se i diretti interessati – gli affiliati in questo caso – fossero tutti persone dotate di senso pratico, arguzia, acume e soprattutto mancassero di deliri di onnipotenza. Un viaggio, una vacanza dall’Australia all’Indonesia quando si è nell’elenco dei latitanti ricercati in mezzo mondo, infatti, non rientra tra le attività che uno ‘ndranghetista dovrebbe intraprendere.

Ndrangheta e I-Can: 3 anni, 42 latitanti in arresto

Le autorità locali – con il supporto dell’Unità I-Can – Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta e dell’esperto per la sicurezza italiana a Canberra hanno arrestato Antonio Strangio, 32 anni, all’aeroporto di Bali, in Indonesia, mentre sbarcava da un volo proveniente dall’Australia. è stato arrestato. La notizia è dell’8 febbraio.  «Con Strangio», rende noto la direzione centrale della Polizia Criminale, «sono 42 i latitanti arrestati in tutto il mondo in poco meno di tre anni dall’avvio del progetto I-Can, che sta raccogliendo i risultati di un lavoro volto a far crescere nelle forze di polizia di 13 Paesi la consapevolezza della pericolosità globale dalla ‘ndrangheta».

Antonio Strangio è affiliato del clan omonimo – alias Janchi (i bianchi) – di San Luca, feudo aspromontano in provincia di Reggio Calabria che non ha tristemente bisogno di introduzioni quando si parla di mafia. La famiglia mafiosa in questione è balzata agli onori della cronaca, tra le altre cose, per una faida durata decenni e culminata con la strage di Duisburg, in Germania, nel 2007. Strangio era ricercato per produzione e traffico di sostanze stupefacenti con l’aggravante del metodo mafioso in seguito all’operazione Eclissi 2 nel 2015, tra San Luca e San Ferdinando, contro esponenti del clan Bellocco della Piana.

Latitante ma non troppo

In fuga dal 2016, Strangio in realtà latitava poco. Era infatti in Australia, pare principalmente ad Adelaide, in quanto cittadino australiano naturalizzato. La Red Notice di Interpol – l’avviso di cattura internazionale per i soggetti ricercati in tutto il mondo – non lo toccava in Australia, in quanto il paese non agisce per una segnalazione di Interpol e quindi non procede all’arresto di un proprio cittadino ai fini dell’estradizione. Ma le autorità lo seguivano, lo guardavano, lo tracciavano.

La domanda vera, dopo l’arresto, non può che essere: cosa ha fatto in questi anni Strangio ad Adelaide o, in generale, in Australia? E richiede il solito abbozzo di risposta difficilissima da contestualizzare e molto facile da manipolare per giustizialisti dallo sguardo miope: aveva famiglia in Australia, legami di sangue e legami di territorio. Ma il caso di questo Strangio non è né il primo né l’ultimo del suo genere.

Antonio Strangio: un nome, due latitanti

Un altro Antonio Strangio, alias U Meccanico o TT, praticamente della stessa famiglia, finì in manette nel 2017 a Moers, vicino a Duisburg, in Germania. All’epoca aveva 38 anni, lo arrestarono esattamente nel quinto anniversario dall’inizio della sua latitanza. In questo caso, a raggiungere questo Strangio fu un mandato di arresto europeo. Cosa ci faceva TT nell’area di Duisburg? Risultava chiaramente alle autorità italiane che altri esponenti della stessa famiglia fossero residenti lì e la strage di Ferragosto del 2007 ne era ovviamente prova indiretta. Quindi, aveva famiglia anche lui.

In più, c’era l’operazione Extra Fines 2 – Cleandro del 2019, a Caltanissetta, incentrata tra le altre cose sulle attività del clan Rinzivillo di Cosa nostra. In Germania, emergeva – mi ricordano fonti tedesche – che il presunto referente del clan Rinzivillo a Colonia, Ivano Martorana, fosse dedito a reperire e trafficare stupefacente e che a tale scopo era in contatto con altri soggetti, tra i quali proprio Antonio Strangio, TT. Dunque, sembrerebbe che lo Strangio di Germania facesse ancora quello per cui era ricercato e fu arrestato: traffico e importazione di stupefacenti.

Infatti, U Meccanico fu coinvolto anche nell’operazione European ‘Ndrangheta Connection, altrimenti conosciuta come Operazione Pollino, nel 2018. C’era anche lui tra i 90 individui in arresto per un traffico internazionale di stupefacenti tra Belgio, Paesi Bassi, Germania, Italia, Colombia e Brasile. L’operazione coinvolse affiliati clan di San Luca e di Locri, come i Pelle-Vottari, i Romeo alias Stacchi, i Cua-Ietto, gli Ursino e appunto i Nirta-Strangio (nonché esponenti della criminalità turca). Oltre a diverse tonnellate di cocaina e alla scoperta di azioni di riciclaggio, l’operazione rivelò anche l’uso di attività di ristorazione – segno di presenza stabile sul territorio – in supporto alla logistica del narcotraffico.

Ndrangheta, latitanti e famiglia

Oltre al nome, questi Strangio hanno in comune la latitanza all’estero e la protezione che deriva dal nascondersi “in famiglia”. Perché se c’è una cosa che è cambiata, con i processi di globalizzazione e con l’amplificazione dell’interconnettività che questi processi hanno attivato per le esistenti comunità di immigrati in giro per il mondo, è proprio la famiglia.
Se un tempo poteva apparire dispersa, dislocata in vari luoghi di migrazione, è oggi famiglia integrata,
 interconnessa. Ci si telefona o video-telefona, ci si visita, ci si collega coi parenti all’estero per motivi di studio, lavoro, esperienza, vacanza. Vale per moltissimi emigrati (o immigrati) e vale anche per le dinastie criminali di ‘ndrangheta. Forse anche di più per alcune dinastie criminali di ‘ndrangheta come gli Strangio, che della famiglia hanno fatto un business, rendendola la chiave del loro successo criminale, quanto della loro reputazione. Nel bene (per loro) e nel male (per noi).

Succede dunque che al 2023 – ma anche prima a dir la verità, ché la globalizzazione e i suoi processi non sono certo roba così recente – la famiglia amplificata e interconnessa sia la normalità. Idem per una serie di altre ‘prassi’: la doppia lingua, la doppia cittadinanza, due passaporti, ad esempio. Quindi non sorprende che in paesi di migrazione stabile dalla Calabria, come la Germania e l’Australia (ma anche ovviamente gli Stati Uniti, il Canada, la Svizzera, il Belgio…) sia proprio all’interno di alcune famiglie (dinastie criminali, appunto) che si innestano servizi e attività in supporto al crimine organizzato, laddove questo sia organizzato proprio a dimensione familiare.

Ndrangheta e latitanti: i casi Vottari, Crisafi e Greco

Simili a quello di Antonio Strangio, l’ultimo della dinastia sanlucota arrestato a Bali qualche giorno fa, furono altri arresti di suoi ‘vicini di casa’. Anzi, di case al plurale: Calabria e Australia). Le manette scattarono a Fiumicino per Antonio Vottari nel 2016, anch’egli di San Luca, latitante e nascosto in Australia dalla “famiglia” ad Adelaide. Stessa sorte e stesso aeroporto per Bruno Crisafi, anche lui sanlucota, in arrivo dall’Australia nel 2017. Clan Pelle-Nirta-Giorgi, alias Cicero, risiedeva da anni – e faceva il pizzaiolo – a Perth. Entrambi, Vottari e Crisafi, legati al narcotraffico con altri pezzi di famiglia tra Germania (e Olanda, Belgio e Nord Europa) e Calabria, tra l’altro.

Può sembrare, quello di Crisafi, un primo «ciak, si gira!» del film appena andato in scena con l’arresto di Edgardo Greco in Francia. Altro latitante calabrese del Cosentino (la sua appartenenza alla ‘ndrangheta andrebbe problematizzata, proprio per il suo ruolo – killer – e i gruppi a cui si legava, più gangsteristici che ‘ndranghetisti, tra l’altro), Greco faceva lo chef. C’è differenza, però, tra chi scappa e si nasconde all’estero per mimetizzarsi e nascondersi – «Il modo migliore per nascondere qualcosa è di metterlo in piena vista», in fondo già scriveva Edgar Allan Poe – e chi scappa all’estero come estensione della propria protezione familiare, facendo in fondo ciò che farebbe anche a casa propria.

Dinastie criminali stabili

L’arresto di Antonio Strangio a Bali – e la sua permanenza in Australia – come quelle di Vottari e di Crisafi prima di lui o dell’omonimo TT in Germania – ci confermano anche stavolta una cosa: la forza della ‘ndrangheta – quella “doc” – è legata anche alla presenza stabile di dinastie criminali internazionalizzate che possono offrire servizi in giro per il mondo. Ad altri ‘ndranghetisti o anche ad amici o ai colleghi degli ‘ndranghetisti, si veda Edgardo Greco.

I clan di San Luca (e non sono i soli), nello specifico, “hanno famiglia” sia ad Adelaide che a Perth, in Australia, tanto quanto ne hanno a Duisburg o a Erfurt, in Germania. Questo permette loro non solo di avere protezione – nel senso di ‘nascondiglio’ durante la latitanza – ma anche e soprattutto di stabilirsi in Australia qualora decidano di farlo, come fossero a casa. Alcuni lavorando, come Crisafi il pizzaiolo. Altri studiando, come Vottari, che aveva un visto da studente per iniziare un corso a un’università di Melbourne. Spesso, ancora, dedicandosi al narcotraffico comunque, come lo Strangio di Germania.

Cognomi che pesano

Sempre attività di famiglia. Questo non significa assolutamente che tutte le famiglie con tali cognomi o con legami a tali cognomi all’estero siano ‘omertose’ o famiglie di ‘ndrangheta. Esattamente come questo non sarebbe il caso nemmeno a San Luca. Le stesse variabili, di intento quanto di contesto, operano anche all’estero nelle famiglie migranti. Ma all’estero sono molto più difficili da districare e comprendere.

Al di là del panico mediatico che si scatena ogni qual volta la ‘ndrangheta si scopre all’estero, in realtà c’è davvero poco da sorprendersi. Quando della ‘ndrangheta si comprendono i tratti caratterizzanti, tra cui il funzionamento delle dinastie internazionali all’interno di processi più complessi e spesso ‘banali’ nel senso di ‘ricorrenti’ della migrazione che la ‘ndrangheta sfrutta e macchia (come fa in Calabria con interi paesi e dinastie), appare chiaro che questa risorsa diventi preziosa.
Se come diceva 
George Bernard Shaw «una famiglia felice non è che un anticipo del paradiso», probabilmente una famiglia di ‘ndrangheta “felice”, o quanto meno assestata, non è che un anticipo dell’inferno o del purgatorio. Soprattutto per chi, ricordiamolo, con certi soggetti condivide legami di famiglia e magari non vorrebbe.

Fonte:https://icalabresi.it/rubriche/latitanti-ndrangheta-se-la-fuga-e-un-affare-di-famiglia/