Cerca

Mafiosfera| La ‘ndrangheta invisibile del porto di New York

Mafiosfera| La ‘ndrangheta invisibile del porto di New York

Politica, sindacati e ‘ndrine nella Grande Mela. Nell’infrastruttura più importante della costa orientale degli Usa non solo traffici di container insieme alle cinque famiglie che controllano Cosa nostra americana. E qualcuno vorrebbe ridurre i controlli anti crimine della Waterfront Commission

Anna Sergi

5 Giugno 2022

In un ufficio pieno di carte, con una scrivania disordinata e faldoni incolonnati a terra, legati alla meno peggio con nastri, pezzi di corda e grandi elastici verdi, nell’aprile del 2018 a Manhattan ho incontrato il direttore esecutivo della Waterfront Commission of New York Harbour, la commissione del porto di New York. Un uomo dall’esperienza decennale come pubblico ministero antimafia, o meglio anti Cosa Nostra americana, Walter Arsenault è diventato Executive Director della Waterfront Commission nel 2008. Ha una conoscenza profonda del fenomeno mafioso newyorkese, principalmente e notoriamente legato alle cinque famiglie storiche: Gambino, Genovese, Lucchese, Colombo, Bonanno. Ma in quell’occasione, insieme ad alcuni agenti della Commissione, parlammo di ndrangheta. E – con mio stupore – non solo di traffici illeciti via navi container attraverso il porto – che era il mio oggetto di ricerca in quel momento. Ma andiamo con ordine. La Waterfront Commission è periodicamente sui giornali – da ultimo il Financial Times qualche giorno fa – in quanto la sua esistenza è oggetto di contenzioso. E non di contenzioso qualunque. È addirittura questione di stato. Anzi di Stati: New York e New Jersey.

New York: da Brando alla ‘ndrangheta

Se si pensa a mafia e porto di New York, alcuni forse ricorderanno un vecchio film in bianco e nero del 1954, Fronte del Porto, (On the waterfront) con un giovanissimo Marlon Brando. Tra le altre cose, il film ci racconta di Johnny Friendly, a capo del sindacato dei portuali, che detiene il controllo delle banchine, oltre a essersi macchiato di svariati delitti, frustrando gli sforzi delle forze dell’ordine e di una commissione – proprio la Waterfront Commission – sulla criminalità portuale che tentano di portare avanti le indagini sul fronte del porto. La Commissione, infatti, è nata un anno prima dell’uscita del film, nel 1953. E ha fino ad oggi un mandato e una struttura molto peculiare.

Un porto per due Stati

Innanzitutto, è un’istituzione gestita da due stati, New York e New Jersey, perché a cavallo tra questi due stati si spalma quello che è il principale porto della costa orientale degli Stati Uniti d’America. Dopo quasi 70 anni di storia, il mandato della Waterfront Commission è cambiato certamente, ma non poi così tanto. Nata per contrastare il potere delle famiglie mafiose appartenenti a Cosa Nostra americana sulle banchine del porto e soprattutto il loro controllo delle procedure di reclutamento dei sindacati dei portuali, ad oggi ancora si occupa principalmente di questo.

La Commissione è chiamata a controllare che chiunque lavori o venga in contatto col porto non abbia legami con il crimine organizzato, e in particolare con la mafia. Per farlo, gestisce autonome unità di intelligence e di polizia che sono un unicum spaziale e temporale. Non esiste altrove una realtà simile, con tale competenza sulla criminalità dentro un porto (e anche fuori dal porto a dire il vero) e da così tanto tempo.

Il New Jersey, la Commissione e il sindacato

Quale sarebbe dunque il contenzioso? Il New Jersey, nelle persone dei suoi ultimi due governatori, Chris Christie prima e Phil Murphy al momento, ha deciso che la Waterfront Commission non serve più, al punto tale da legiferare, unilateralmente nel 2018, per la rescissione del suo operato proprio in New Jersey. Ne sono nate battaglie legali, finite anche in Corte Suprema – che a marzo scorso ha bloccato l’uscita unilaterale del New Jersey dalla giurisdizione della Commissione.

Ma all’origine di tutto questo clamore c’è una fondamentale differenza di vedute – o diciamo pure la negazione da parte dei politici del New Jersey – di quello che è oggi il crimine organizzato nel porto di New York, oltre al protrarsi di una sorta di guerra fredda – che dura da 70 anni – tra il sindacato dei portuali, l’International Longshoremen Association (ILA), e la Commissione.

Il potere della criminalità

Secondo il governatore del New Jersey Murphy, non ha senso mantenere in vita un ente formato nel 1953, oggi come oggi «inefficace». Un sostenitore di Chris Christie nel 2018, affermava che la Commissione è un impedimento alla crescita economica del porto. Repubblicani e Liberali in New Jersey, insomma, dubitano che serva una commissione che controlli le pratiche di reclutamento del porto, oggi che il potere della mafia a New York è inferiore a qualche decennio fa e l’evoluzione tecnologica ha comunque portato alla riduzione della manodopera sulle banchine. E si sbagliano.

Infatti l’ultima relazione pubblicata dalla Commissione ci dice che il 18% di chi chiede di lavorare al porto nel 2020 – che tra l’altro è un lavoro particolarmente lucrativo a New York (un stipendio medio da portuale si aggira tra i 100,000 e i 200,000 dollari annui secondo i dati pubblici della Commissione) – è stato rifiutato per ‘legami con la criminalità organizzata’. E dice pure che esistono ancora, come esistevano nel 1953 seppur con le dovute differenze, ingerenze pesanti della mafia cittadina sui sindacati. In particolare sull’ILA, il sindacato dei portuali.

I Gambino, i Genovese e le assunzioni al porto

Non stupisce affatto. George Barone, affiliato alla famiglia mafiosa Genovese, durante il processo US vs Coppola (2008-2012) confermò che la cosca utilizzava «intimidazione, paura, qualunque cosa» per continuare a controllare la forza lavoro sul porto, estorcendo i membri dell’ILA e gestendone le sorti grazie a presidenti complici. Uno dei presidenti della sezione numero 1235 dell’ILA, Albert Cernadas, fu infatti arrestato nel 2010 proprio per condotte di racketeering (il termine legale usato in USA per crimini simili a quelli di mafia). Fu rivelato in questi casi, come fu proprio la famiglia Genovese a decidere che un certo Harold Daggett, dovesse poi diventare (e tutt’ora rimanere) presidente dell’ILA.

Nel 2007, una causa civile contro l’ILA, ancora non risolta, si spinge a dire che Harold Daggett non era/è solo un presidente corrotto, ma sarebbe proprio membro di un’organizzazione criminale che esercita influenza sul porto di New York, con associati sia delle famiglie Gambino che Genovese, il cosiddetto “Waterfront Group”. La vicinanza, personale e politica, tra Harold Daggett e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, hanno poi fatto ipotizzare la chiusura del cerchio: l’opposizione del New Jersey alla Waterfront Commission si rispecchia spesso nelle posizioni prese dall’ILA. Non è difficile quindi vedere come le percezioni di corruzione e malaffare sul porto siano legate ai legami opachi tra la politica e i sindacati.

Ndrangheta a New York

E che c’entra qui la ‘ndrangheta? Il riferimento non è (del tutto) diretto; a parte qualche indagine, per esempio Columbus o New Bridge che hanno osservato nuclei ‘ndranghetisti muovere cocaina tramite il porto di New York con l’aiuto di sodali in loco, pochi e sporadici – seppur costanti – sono i dati pubblici sui collegamenti della ‘ndrangheta con le famiglie newyorkesi. Eppure, è proprio nelle parole della Waterfront Commission che troviamo un dato interessante. Nella relazione del 2018 infatti la Commissione rivela di aver ricevuto domande di impiego al porto – non approvate – da soggetti italiani, calabresi, legati alla ‘ndrangheta.

Questo dato apparentemente banale, rivela molto di più. Infatti, appurato che l’influenza sul porto di 2 delle 5 famiglie di New York, Gambino e Genovese, rimane particolarmente invasiva per quanto riguarda il reclutamento, rimane da chiedersi quale sia il rapporto tra questi presunti ‘ndranghetisti – che vengono addirittura ‘mandati’ dalla Calabria a lavorare al porto – e le famiglie mafiose newyorkesi. Non è questo un esercizio di retorica, ma semmai un problema di analisi. Tutte le mafie vivono anche di reputazione: più solido è il loro brand, più saranno resilienti e riconosciute. Nonostante i tanti ‘successi’ criminali della ‘ndrangheta, a New York il brand delle 5 famiglie è quello vincente.

Calabresi di nascita, siciliani d’adozione

Da decenni, le ‘ndrine si muovono dentro le famiglie Gambino e Genovese abbandonando la loro ‘calabresità’ e ‘obbedendo’ al marchio dominante. Proprio per questo in nessun altro luogo, come a New York, è così difficile capire il vero potere – oltre ai traffici illeciti – della ‘ndrangheta. Ma ci sono individui, soprattutto legati alle ndrine di Siderno (Commisso-Macrì), della costa ionica, ma anche legati ai cognomi ‘pesanti’ del rosarnese, che oggi hanno raggiunto posizioni apicali all’interno delle famiglie newyorkesi. Negli anni, molti hanno diversificato le loro attività, investendo nella logistica portuale e inserendosi nelle imprese dedite alle infrastrutture del porto. Sono questi individui a ‘invitare’ giovani leve dalla Calabria a venire a lavorare al porto e a indirizzarli nelle file delle famiglie Genovese e Gambino. Sicuramente tutto ciò conferma come la Waterfront Commission sia ancora molto necessaria.
Quando si parla dunque di mafia nel porto di New York, bisogna tenere a mente che parte della storia di questa mafia non è oggi molto chiara. E che ancora la si percepisce, errando, con una stereotipata composizione ‘siciliana’. Una volta compreso l’inghippo analitico che affligge ancora la mafia americana, realizzare che la ‘ndrangheta a New York è inserita all’interno delle famiglie storiche da decenni, mantiene i contatti con l’Italia – e, soprattutto, con il Canada (ma questa è un’altra storia…) – ed è oggi una forza dinamica anche all’interno della contestata realtà portuale, potrebbe generare quesiti molto difficili da affrontare, su politica, sindacati e ‘ndrine, tra New York e New Jersey.

Fonte:https://icalabresi.it/rubriche/ndrangheta-new-york-porto-cinque-famiglie-scontro-stati/