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Mafie ed economia infiltrata, sequestrati 1,3 miliardi di beni

Il Sole 24 ore, Sabato 15 dicembre 2018

Mafie ed economia infiltrata, sequestrati 1,3 miliardi di beni

Oltre 15mila i reati (anno 2016) riconducibili a ruoli illeciti di professionisti Cafiero De Raho: i clan sfruttano le società in crisi per entrare nel giro legale

di Ivan Cimmarusti

Dal finanziamento soci alla svalutazione degli immobili intestati alla società fino all’ iscrizione a bilancio di crediti: schemi giuridici sempre più “raffinati” entrano a far parte del metodo attraverso cui le mafie riescono a riciclare denaro ma anche a costituire fondi neri. Una rete di imprenditori e professionisti – che per estorsione ma anche perché collusi – rischia di diventare il braccio finanziario delle mafie. Un connubio che nel 2018 – sommando le cinque principali operazioni svolte dalla Guardia di finanza in questo settore – ha prodotto sequestri per oltre 1,3 miliardi di euro. Un dato parziale e non ufficiale, ma che è utile a comprendere l’emergenza del fenomeno. Lo stesso procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, precisa che «la mafia ha una struttura imprenditoriale attraverso la quale entra nell’economia legale. Una struttura che sfrutta spesso le condizioni di difficoltà economica in cui alcune società si trovano. Abbiamo esempi in cui società a responsabilità limitata prossime al fallimento, con l’intervento della ‘ndrangheta sono diventate società per azioni». Un’analisi approfondita del tema è stata svolta anche da Stefania Pellegrini, docente all’Università di Bologna che in un manuale (L’impresa grigia. Le infiltrazioni mafiose nell’economia legale, Ediesse) affronta due aspetti fondamentali: il ruolo dell’imprenditore e quello del professionista, sia esso avvocato, commercialista o notaio. Forte dei pareri di importanti esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine, Pellegrini analizza il fenomeno di una «nuova criminalità», fatta di insospettabili, una borghesia che si è “mafiosizzata”, perché entrata in contatto con apparati mafiosi. D’altronde basta guardare i numeri: nel 2016 (ultimo dato disponibile) risultano iscritti nei tribunali italiani 15.137 reati riconducibili proprio alla presunta funzione illecita di alcuni professionisti. I casi sotto esame delle procure sono diversi: c’è un avvocato che ha diretto l’acquisizione di una società cooperativa da parte della ’ndrangheta, ottenendo un ritorno in termini finanziari e di prestigio con le ’ndrine; c’è il commercialista che invece ha attribuito fittiziamente il 99% delle quote di una società in capo a un prestanome; infine il professionista nel settore fiscale che ha gestito in modo illecito i fondi di un clan, alimentando un giro di false fatturazioni emessa da società compiacenti, per creare fondi neri e pagare tangenti verso politici e amministratori pubblici. Secondo il procuratore Cafiero De Raho «i professionisti rischiano di diventare un anello importante per consentire alle mafie di infiltrarsi nelle economie. Sono loro che possono costituire schemi giuridici di alto profilo, attraverso cui raggiungere il profitto economico».