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Mafia ,potere ,territorio e affari

 

LA RELAZIONE DELLA DIA 

Mafia, così i clan si spartiscono 

province, città e affari in Sicilia 

di Fabio Russello
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Pervasiva, capillare e camaleontica. È questo il ritratto di Cosa Nostra che emerge dalla relazione semestrale della Dia, la Direzione investigativa antimafia. In Sicilia, secondo il documento, operano almeno 181 famiglie mafiose che, nella zona occidentale, si suddividono il controllo del territorio in mandamenti (ce ne sono almeno 29 tra Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta). Clan che, pur di arricchirsi non esitano, rispetto al passato, anche di fare accordi con altre organizzazioni mafiose, in primis la ‘ndrangheta per quanto riguarda la droga, tornata prepotentemente in auge, con Catania centro nevralgico per la Sicilia.

 

Un’apertura dettata, secondo la Dia, dalle dinamiche interne a Cosa Nostra che ha difficoltà a ricostituire la “cupola” con i poteri di un tempo. Una circostanza che ha indotto soprattutto i palermitani ad una gestione collegiale tra i mandamenti per trovare un’azione condivisa anche con i giovani capi-famiglia reggenti o emergenti. Ma per quanto possa essere camaleontica, Cosa Nostra, ha ancora gli stessi canali di finanziamento immediati: le estorsioni e l’usura.

 

Si registra – rileva la Dia – anche una «elevata incidenza di fenomeni corruttivi anche di matrice non mafiosa» che frenano i «processi di modernizzazione e sviluppo» e soprattutto c’è la capacità di «attingere» a nuove generazioni di professionisti che mettono a rischio la salute dei cittadini. L’esempio citato dalla Dia è quello del direttore del dipartimento di prevenzione dell’Asp di Palermo che ha autorizzato la commercializzazione di carni infette e di prodotti non preventivamente testati. E in più hanno mostrato un interesse nella gestione dei rifiuti non solo per gli enormi profitti ma anche per il capillare controllo sociale e territoriale che ne deriva. C’è invece un ritorno nel traffico di stupefacenti e le informazioni in possesso della Dia, confermano come il versante orientale della Sicilia, con epicentro Catania, stia diventando il punto di smistamento della marijuana e dell’hashish, il cui approvvigionamento avviene attraverso contatti diretti con i Paesi dell’Est e in particolare con l’Albania, mentre per la cocaina l’interlocutore principale resta la ‘ndrangheta.

 

Cosa Nostra comunque cambia e la Dia chiama le nuove dinamiche «realtà reticolare» che privilegia l’approccio corruttivo ed evita, dove è possibile, lo scontro frontale cercando di «smaterializzare» e «delocalizzare» gli investimenti visto che l’obiettivo principale resta l’accumulazione di capitali illeciti da riciclare.

CATANIA. All’ombra dell’Etna vi sono degli schieramenti contrapposti allo stato non in lotta cruenta: da una parte c’è il clan Santapaola Ercolano, Mazzei e La Rocca e dall’altra il clan Cappello- Bonaccorsi e Laudani che a sua volta, pur concendendo autonomia, controlla di fatto i clan Sciuto, Pillera, Cursoti, Piacenti e Nicotra. E la mafia catanese ha anche influenza sulla provincia di Enna e nella zona peloritana nebroidea. Clan contrapposti dove però sembra vincere la strategia dell’inabissamento per non suscitare allarma sociale e per limitare gli interventi delle Istituzioni. Più che altro cercano di intercettare risorse pubbliche investendo poi i proventi per accrescerli e per riciclarli. Le famiglie locali hanno un crescente coinvolgimento nel traffico di droga ed è per questo che hanno rapporti strettissimi con i clan calabresi per quanto riguarda la cocaina e con gli albanesi per laq marijuana e l’hashish. Ovviamente è endemico il fenomeno delle estorsioni ed è diffuso anche il fenomeno del «cavallo di ritorno»: il furto dell’auto con la pretesa di una somma di denaro per la restituzione.

SIRACUSA. Nel Siracusano i gruppi di riferimento, contrapposti ma non in lotta, sono due: i Bottaro Anastasi e i Santa Panagia, questi ultimi espressione, secondo la Dia, del gruppo Nardo, Aparo, Trigila legatissimi a Cosa nostra catanese. I clan, per ridurre la vulnerabilità, stanno cercando un accordo suddividendosi i settori di interesse.

RAGUSA. Zona di confine che «sconta» l’influenza dei clan catanesi e della stidda gelese. Il gruppo stiddaro dei Dominante Carbonaro di Vittoria si starebbe comunque riorganizzando e vi è una contrapposizione con il clan dei Piscopo, vicino alla famiglia gelese di Cosa Nostra degli Emmanuello. Sempre nel Ragusano, la debolezza del gruppo stiddaro dei Ruggeri ha invece visto un’avanzata del clan catanese dei Mazzei che opera nella droga e nelle estorsioni. E inoltre sono anche segnalate organizzazioni transnazionali dedite alla tratta dei migranti.

CALTANISSETTA. La provincia nissena è forse l’unico luogo dove Cosa Nostra e Stidda convivono senza farsi la guerra. La mafia tradizionale ha la tradizionale suddivisione in quattro mandamenti con la predominanza a Gela dei Renzivillo che si giova anche della debolezza – così dicono dalla Dia – del clan antagonista degli Emmanuello. I clan stiddari si concentrano nelle aree del gelese e del niscemese (Sanfilippo, Cavallo e Fiorisi). E poi c’è un altro clan, quello degli Alferi, esterno sia a cosa nostra che alla Stidda. E nel Nisseno la mafia sta cercando di infiltrarsi nel settore dell’agroalimentare, fermo restando che pizzo e droga restano i settori di maggior guadagno nell’immediato.

ENNA. Le famiglie storiche sono cinque, ma due, quelle di Barrafranca e di Enna, dopo gli arresti, sono senza una leadership. Questo comporta una certa fluidità e soprattutto l’influenza dei clan nisseni e catanesi. Gli etnei hanno messo le mani assumendone il controllo in via pressoché esclusiva del traffico di droga.

AGRIGENTO. CI sono sette mandamenti, 41 famiglie (comprese quelle di Favara e Lampedusa non inserite in alcun mandamento). Ad Agrigento vi è una presenza capillare e invasiva attraverso la gestione monopolistica delle estorsioni e la sistematica colonizzazione imprenditoriale. E proprio ad Agrigento – secondo la Dia – la mafia si infiltra nelle compagini sociali per interferire nella Pubblica amministrazione e dirottare a proprio vantaggio le commesse pubbliche. Tra i settori più a rischio la Dia indica quello dei rifiuti «vulnerabile a causa di deficit gestionali ed infrastrutturali e di un cronico stato emergenziale che caratterizza tutto il sistema regionale».

PALERMO. Struttura unitaria e verticistica, ma i capi dei mandamenti più forti – rileva la Dia – potrebbero anche fagocitare i più piccoli sottomettendoli sotto la propria influenza e quindi potrebbero, anche a breve cambiare i confini dei mandamenti (che al momento sono 14, 8 dei quali nella sola città di Palermo) ripartiti in 78 famiglie (3 delle quali a Palermo). Non essendoci una leadership accentrata Cosa Nostra palermitana è stata indotta a privilegiare una gestione collegiale degli affari. Sono stati anche accertati accordi tra i clan per spartirsi i territori. E i giovani hanno sempre più voce in capitolo.

TRAPANI. Tutto ruota attorno a Matteo Messina Denaro: la struttura provinciale (4 mandamenti e 17 famiglie) serve praticamente solo a coprire e sostenere la latitanza del boss attraverso pizzo e usura.

MESSINA. Risente, anche organizzativamente, dell’influenza dei palermitani, dei catanesi e dei calabresi. Nel capoluogo, sono attivi i clan Spartà, Lo Duca, Venturi, Mangialupi e Galli. La fascia jonica è appannaggio dei clan catanesi Santapaola, Laudani e Cappello, attraverso i Oliveri, Di Mauro e Cintorino.

 

NORD ITALIA ED ESTERO. Cosa Nostra continua ad esportare le sue dinamiche criminali non solo in tutto il nord e centro Italia ma anche all’estero. In Piemonte c’è una radicata presenza di esponenti di clan catanesi e palermitani. In Lombardia la presenza è storica, mentre nel Veneto c’è un tentativo di infiltrarsi nel settore delle energie rinnovabili, e sono segnalate «attività» anche in Liguria, Emilia Romagna, Toscana e nel Lazio (come dimostra ad esempio l’inchiesta Mafia Capitale) dove vi è una forte interazione con i clan di Roma. In Puglia la presenza dei catanesi è legata al traffico di droga dall’Albania e dalla Grecia (attraverso il porto di Gallipoli). All’estero i clan di Cosa Nostra – rileva la Dia – agiscono come rete di protezione e di mutuo soccorso pronta ad attivarsi quando è necessario supportare una latitanza o per coprire o delocalizzare un’attività illecita. E la Dia ha anche rilevato un interesse dei clan siciliani per investire nei Paesi in via di sviluppo o per fare affari nell’ambito della ricostruzione post bellica. Ma – spiega la Dia – il cordone ombelicale con la “casa madre” non è mai stato reciso.

twitter: @FabioRussello