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”Mafia litorale”.Cerveteri e Ladispoli

Raggiunte da oltre dieci anni dai tentacoli della camorra, della criminalità di origine nomade e di recente alle prese anche con un sistema corruttivo diventato noto alle cronache come “Mafia litorale”, Ladispoli e Cerveteri, centri balneari a nord di Roma, non sono immuni dai guasti che producono le organizzazioni mafiose e simili. Ferite mostrate da recenti inchieste sull’usura, il gioco d’azzardo, la gestione opaca di attività commerciali. Un buco nero che rischia di fare particolarmente male a due centri che da tempo pensano a una loro riunificazione, che li porterebbe a contare una popolazione di oltre 79 mila abitanti e a diventare il quarto centro più popoloso del Lazio.
Nella terra degli etruschi segnali evidenti di presenze e violenze mafiose sono giunti con eccellenti omicidi e gambizzazioni. Fenomeni spesso relegati a dinamiche considerate estranee al territorio, a faide sorte altrove e che avevano insanguinato le strade del litorale solo perché scelto, più o meno casualmente, come rifugio da camorristi in fuga. Indagini, anche recenti, hanno fatto cadere tale illusione, spesso comoda ai diversi poteri dello Stato.
Appena un anno fa la Direzione investigativa antimafia ha sequestrato beni a cinque ladispolani, definendo quegli “ingenti patrimoni” frutto di “un vasto sistema di usura”. La Dia ha ricostruito storie di imprenditori di Ladispoli spinti ad abbandonarsi al gioco d’azzardo da quelli che, per consentire loro di saldare i debiti di gioco, sarebbero diventati i loro usurai.
Uomini considerati referenti nella zona del temuto clan camorristico Giuliano –  come sostenuto anche da alcuni collaboratori di giustizia –  e che avrebbero messo in piedi sul litorale romano “una vera e propria colonia del crimine”. E non è questa l’unica traccia recente di criminalità di spessore trovata tra spiagge e necropoli dagli inquirenti. A febbraio, infatti, sempre la Dia, insieme all’Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza, ha messo i sigilli a un altro patrimonio, stimato in trenta milioni di euro, appartenente a quaranta soggetti di etnia Sinti, riuniti in cinque famiglie stabilitesi negli anni ’80 a Cerveteri.
Tutti nullatenenti per il Fisco, ma in grado di controllare numerose attività commerciali e di vivere in ville con piscina e pure campi da calcetto. Infine la cosiddetta “Mafia litorale”. Un presunto sistema di illeciti e favori, tra appalti pilotati e corruzione, che ruoterebbe attorno a un imprenditore di Ladispoli, in affari con lo stesso Salvatore Buzzi, il ras rosso dell’inchiesta “Mafia Capitale”. Vicende opache che coinvolgono politici e funzionari comunali della zona e dei vicini centri di Tolfa e Santa Marinella, scandagliate dalle Fiamme gialle e su cui la procura di Civitavecchia si prepara a un processo.
Storie di malaffare tutto locale con addentellati nella Capitale, in scambi di favori con le coop finite nell’inchiesta sul “Mondo di Mezzo” e negli affari per il verde gestiti dall’Ama, con imputati nel processo a Massimo Carminati e Buzzi, appunto, che compaiono in intrecci societari sul litorale nord. Un quadro simile, tristemente simile, a quello tratteggiato dal procuratore capo Giuseppe Pignatone sulla Roma ai tempi dei fasciomafiosi e di un certo Pd, ma anche della Capitale inquinata dagli affari di camorristi e criminalità di origine nomade. L’urbe criminale chiama e Ladispoli e Cerveteri rispondono? Inchieste e arresti vanno in quella direzione.

Clemente Pistilli