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MAFIA, FAR FRUTTARE LE AZIENDE CONFISCATE

Il Fatto Quotidiano, 27 Novembre 2018

MAFIA, FAR FRUTTARE LE AZIENDE CONFISCATE

di LUCA TESCAROLI

L a realtà giudiziaria ci ha mostrato che le aziende, con l’intervento della misura di prevenzione patrimoniale, tendenzialmente sono destinate al fallimento o alla cessazione, il che dimostra all’esterno l’incapacità dello Stato di gestire le imprese mafiose. La chiusura di 9 aziende su 10 rappresenta un dato che potrebbe apparire allarmante. Il dato va, però, analizzato e interpretato. Le imprese che vivono di sopruso, imponendo i prezzi, e di riciclaggio, non presentano le caratteristiche per poter rimanere sul mercato, perché lo drogano, alterando il libero mercato. È doloroso, sotto il profilo umano, che aziende che danno lavoro debbano chiudere, ma non si può accettare che il lavoro sia alimentato dal metodo mafioso.

LE ISTITUZIONI devono sostituirsi al l’imprenditore e trovare il percorso per fornire agli stakeholder garanzie analoghe, se non rafforzate, rispetto a quelle che è in grado di assicurare il mafioso. L’i ngresso dello Stato nei beni e nell’impresa mafiosa tramite l’ammini – stratore giudiziario e, dopo la confisca definitiva, l’Agenzia nazionale dei Beni confiscati, dovrebbe produrre effetti positivi, una volta superato l’impatto traumatico iniziale del sequestro anticipato. L’azienda al momento del sequestro dev’esse – re concepita quale impresa in fase di start-up . Si tratta, quindi, di far ripartire un meccanismo economico depurato dalle logiche di gestione mafiosa. E ciò si è attuato in alcune esperienze virtuose. Esempio: la società Agricola Suvignano srl, con sede a Palermo e patrimonio immobiliare a Murlo e Monteroni d’Arabia, confiscata nel 2007 all’imprenditore Vincenzo Piazza, è in corso di trasferimento per finalità istituzionali all’Ente Terre Regionali Toscane, ai sensi dell’art. 48, c. 8 ter del codice antimafia, da parte del Direttore dell’Agenzia nazionale. La situazione patrimoniale è stata riportata in pareggio grazie a una gestione attenta della produzione agricola e delle tre ville che oggi funzionano come agriturismo. Prima del sequestro, l’azienda versava in semi- abbandono, per lo più utilizzata da Piazza come residenza estiva e riserva di caccia. Si sono realizzate una serie di migliorie con risorse provenienti da un’altra azienda confiscata e recentemente rimborsate. Si sono ristrutturati alcuni degli immobili, si sono coltivati oltre 400 ettari a grano duro, altre granaglie ed erbaggi, è nato un allevamento di ovini e suini, è stata avviata un’attività di agriturismo con 38 posti letto. I dipendenti sono 5 a tempo determinato e 3 (pastori) con rapporto di soccida, coordinati dall’amministratore e dal consulente agronomo. La stima dell’Agenzia del demanio, risalente al momento della confisca, attribuisce alla struttura un valore di circa 30 milioni di euro. Non è certo agevole in terra di tradizionale presenza mafiosa, nelle regioni del Sud capillarmente controllate dai mafiosi, replicare esperienze analoghe. Il mafioso ha un’enorme disponibilità di denaro a costo zero e usa la forza intimidatoria e la violenza, garanzia di equilibrio economico e di solvibilità per le banche e i fornitori, ai quali impone il prezzo di mercato e obbliga esercizi commerciali ad acquistare da lui con la minaccia di ritorsioni sino all’incendio e all’omicidio. Dunque il suo interesse è che l’inizia – tiva imprenditoriale statale fallisca, perché ciò rafforza il suo potere, dimostrando che solo la presenza mafiosa produce ricchezza e occupazione. Che fare allora per raggiungere l’obiettivo di valorizzare i beni sequestrati, mantenere l’impresa, non disperdere l’occupazione? Innanzitutto, il procedimento di prevenzione dev’essere celere, con tempi predefiniti, una volta emesso il sequestro anticipato. La nuova regolamentazione si è mossa, dunque, nella direzione giusta. L’Agenzia nazionale dei beni confiscati dovrebbe trasformarsi da centro eminentemente burocratico, qual è oggi, in una holding propulsiva, capace di coordinare le esigenze delle imprese confiscate in modo da fare incontrare domanda e offerta, assicurando una gestione consortile e non parcellizzata delle aziende. Una buona notizia, sul fronte del lavoro dipendente, è giunta con l’adozio – ne del Dl n. 72 del 18.5.2018: l’art. 1 stabilisce che il ministero del Lavoro conceda, nel rispetto dello specifico limite di spesa, su richiesta dell’amministratore giudiziario, previa autorizzazione scritta del giudice delegato, uno specifico trattamento di sostegno al reddito, pari al trattamento straordinario di integrazione salariale, per la durata massima di 12 mesi nel triennio. Sarebbe auspicabile altresì un intervento di “sgravio contributivo” an – che temporaneo, per le imprese sequestrate e confiscate che fanno emergere il lavoro nero, sulla scorta del “modello”già stabilito sul fronte fiscale. Inoltre l’istituzione di un apposito fondo di garanzia, come previsto dalla riforma del 2017, si è rivelata particolarmente utile per sostenere gli investimenti e affrontare i “costi di legalizzazione”: rispetto dei contratti collettivi di lavoro della normativa sulla sicurezza del lavoro, ambientale e fiscale.