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Mafia e Sicilia;non é reato fare accostamenti

Mafia e Sicilia: non è reato fare accostamenti
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8 Apr 2016

Mafia e Sicilia: non è reato fare accostamenti

Non è diffamazione parlare di Sicilia mafiosa nei libri, richiamando le storiche collusioni tra politici e criminalità organizzata.

 

Non è diffamazione descrivere la Sicilia come “mafiosa” all’interno di un libro, né tantomeno usare “espressioni e giudizi generali perentoriamente negativi sulla realtà socio-economica di un’intera regione”. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1] che ha respinto il ricorso del Governatore della Sicilia presentato contro una Casa Editrice per aver pubblicato un libro di testo, in uso alle scuole medie inferiori, in cui si dispensavano giudizi molto negativi sulla realtà siciliana in generale. Nel testo non vi erano riferimenti a persone ben determinate, ma alla società in sé, come appartenente a un determinato contesto geografico. Gli autori del libro, condannati in primo grado, l’hanno spuntata in secondo e in Cassazione. Ecco le parti incriminate del volume:

 

– pagina 15 del volume: si cita un sondaggio secondo il quale gli Italiani riterrebbero la Sicilia come una delle regioni da evitare;

 

– pagina 196: “Oggi la Sicilia è una regione autonoma con ampi poteri, che ricevedallo stato più di quello che dà e consuma più di quello che produce”;

 

– pagina 196: “Il potere mafioso ha stabilito sull’isola un clima di violenza che avvelena i rapporti tra la gente, dissangua ogni attività economica e impedisce di governare per il bene della collettività”;

 

– pagina 201, ove si parla di periferie, “questi quartieri sono diventati inferni urbani, dove la criminalità non ha freno”;

 

– pagina 202 si fa riferimento all’economia dell’isola basata sull’assistenzialismo, dove “la spesa pubblica, però, più che dare un impulso produttivo, ha alimentato un intreccio di corruzione tra forze politiche e criminalità”.

 

Secondo la Cassazione, citare l’esistenza di un intreccio corruttivo tra forze politiche e criminalità rientra nel diritto di cronaca e nella libertà di insegnamento, che sono espressioni del più ampio diritto alla libertà di pensiero e parola.

Le parole utilizzate risultano quindi nel rispetto della correttezza formale e con sufficiente richiamo agli ambienti storici e di cronaca. Via libera quindi a parlare male di un contesto storico e/o geografico purché i toni siano “oggettivamente corretti e rispondano almeno in linea di massima a fatti storicamente veri”.

 

“L’inserimento di tali espressioni e giudizi in un libro di testo per la scuola media inferiore – prosegue la sentenza, destinata a fare giurisprudenza – corrisponde all’esercizio della libertà di insegnamento, a sua volta riconducibile a quella più ampia di manifestazione del pensiero, non solo degli autori del libro….ma anche dei professori o docenti che ritenessero di adottarlo quale strumento di sviluppo del loro programma”.

[1] Cass. sent. n. 6785/2016.