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Mafia e politica. «Tu sei uno schiavo mio». Chiesto l’arresto per il senatore pdl

Di Girolamo – I pm: eletto grazie alle cosche

«Tu sei uno schiavo mio». Chiesto l’arresto per il senatore pdl

La telefonata fra Gennaro Mokbel e il suo legale, il senatore Nicola Di Girolamo

ROMA – «Se t’è venuta la senatorite è un problema tuo Nico’… A me non me ne frega un c… di quello di quello che dici tu… Puoi diventa’ pure presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio… Tu sei uno schiavo mio». È il 17 aprile 2008 quando i carabinieri del Ros intercettano questa telefonata fra Gennaro Mokbel e il suo legale, Nicola Di Girolamo. Il primo, considerato il capo dell’organizzazione finita ieri in carcere, imprenditore vicino all’estrema destra (in passato avrebbe avuto contatti anche con Antonio D’Inzillo, accusato di aver ucciso il boss della banda della Magliana Enrico De Pedis), è appena riuscito a far eleggere Di Girolamo al Senato, nelle file del Pdl. Con l’aiuto della cosca della ‘ndrangheta guidata da Giuseppe Arena e dell’avvocato romano Paolo Colosimo. L’ordinanza ricostruisce i rapporti tra Mokbel e Di Girolamo. In un primo tempo l’imprenditore cerca una poltrona libera: emerge che si può provare solo nella circoscrizione estera. Poi prende il via la campagna elettorale: «Dobbiamo trovare un altro partito dove infilarti – spiega in un incontro Mokbel al suo candidato -, perché ieri sera qui è venuto il senatore De Gregorio, l’onorevole Bezzi, tutti quanti si sono messi a tarantellà però… siccome De Gregorio è l’unico che c’ha l’accordo blindato con Berlusconi… allora io adesso preferisco vedere se te trovo la strada sempre per Forza Italia».

Il 1° aprile, poi, Mokbel spiega a Di Girolamo: «Adesso tu fai soltanto quelli tutti bianchi, capito», riferendosi, probabilmente, alle schede su cui gli elettori, soprattutto calabresi emigrati, dovranno scrivere il nome «giusto». «Non vi sono dubbi – scrive il gip Aldo Morgigni – su chi organizza le operazioni inerenti non soltanto la candidatura di Di Girolamo, ma anche su chi lo dirigerà nella sua attività politica». E per il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo il senatore «risulta organicamente inserito nell’associazione criminale con incarico di “consulente legale e finanziario”». La sua collaborazione al riciclaggio sarebbe stata ricompensata con quattro milioni di euro, mentre «tutta la vicenda relativa all’elezione è frutto di attività criminosa». Dopo l’approdo al Senato, l’imprenditore dà istruzioni a Di Girolamo: «Devi paga’ tutte le cambiali che so’ state aperte e in più poi devi paga’ lo scotto sulla tua vita, perché tu una vita non ce l’avrai più. Poi dovrai fa’ tutte le tue segreterie, tutta la gente sul territorio, chi te segue le commissioni, li portaborse, l’addetto stampa». Ma fin dai primi giorni i rapporti fra i due non sono idilliaci: Mokbel ha difficoltà a far capire chi comanda. In un incontro con un certo Franco Capaldo, racconta che ha dovuto rimproverare Di Girolamo: «… poi da viale Parioli (il quartier general dell’imprenditore, ndr) si decide co’ chi devi sta’ a pranzo, co’ chi devi sta’ a cena, chi devi incontra’… Se lo capisci bene, sennò vattene pe’ i c… tua, mettemo un altro, non c’ho tempo da perde… Lui è legato a me a doppio filo, a cento fili».

Al telefono, Mokbel se la prende più volte con il senatore: «Oggi m’hai riempito proprio le palle Nico’». E ancora: «Sei una delusione, Nico’». L’imprenditore rivendica di aver speso denaro suo per ottenere l’elezione: «Calcola che il 70 per cento dei soldi tirati fuori qua non li avete tirati fuori voi, li ho tirati fuori io». Alle accuse che emergono dalle carte il senatore replica: «Stanno cercando di mettermi sulla croce. È roba da fantascienza, mi sento paracadutato in un territorio di guerra. Mi sento nel frullatore». Già un’altra richiesta di arresto è stata respinta dal Senato, ma ora c’è di mezzo la ‘ndrangheta. «Durante la campagna elettorale – spiega Di Girolamo – sono stato in Calabria una sola volta. Solo a Stoccarda ho preso gli stessi voti raccolti in altre città europee. Quanto alla telefonia, è una realtà che ignoro: io, sì e no, so accendere il cellulare».

Lavinia Di Gianvito

(Tratto dal Corriere della Sera)