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Mafia e camorra, la fragole connection al mercatone di Fondi

Nel mirino dell’operazione “Sud Pontino” i clan camorristici Casalesi e Mallardo. L’Antimafia: allarme criminalità nel Lazio.

Più di duemila chilometri può percorrere un cestino di fragole, prima di arrivare sulla nostra tavola. Furgoni, autotreni, mediatori, trasportatori, piccoli e grandi. Gente che conosce a memoria i prezzi della frutta in tutta Europa, abituata a stringere accordi con frasi appena accennate, con sguardi che non hanno bisogno di un contratto, con nomi che basta pronunciare per dirimere qualsiasi controversia. Gente di camorra e di cosa nostra, luogotenenti dei Casalesi, che sulla logistica della frutta e della verdura hanno stretto un patto di ferro con gli uomini di Matteo Messina Denaro e dei Santapaola. Nomi di peso del gotha di Casal di Principe, come Francesco Cicciariello Schiavone, Paolo Del Vecchio. Nomi finora sconosciuti all’antimafia, come Costantino Pagano, vero dominus della logistica della frutta nel centro sud. E – in un rapporto alla pari – pezzi della Cosa nostra più antica, legata ai Corleonesi attraverso stretti rapporti con i Riina.
Cinque anni di indagini – partite da una denuncia di una associazione antimafia, sfociata in una informativa del 2003 – e un gruppo di investigatori della Dia di Roma decisi a capire perché il Mercato Ortofrutticolo di Fondi avesse un peso straordinario negli interessi degli uomini legati a Francesco Schiavone, detto Cicciariello. E una paziente attività di indagine, di pedinamenti, di analisi degli accordi sotterranei stretti nei capannoni di alcune aziende di trasporto, con sede a Caserta, ma operative a Fondi. Migliaia di pagine per descrivere uno degli affari più lucrosi e meno conosciuti della malavita organizzata, la logistica dell’agroalimentare.

Di mercati e di frutta la camorra se ne intende. La figura del vecchio boss Pascalone ‘e Nola, attivo negli anni ’50, racconta della criminalità napoletana, cresciuta tra i banchi dei mercati rionali. Il trucco – racconta chi conosce questo mondo – è semplice ed efficace: chi arriva per primo sul mercato è vincente, impone il prezzo. E per muovere la frutta e la verdura servono quelle centinaia di camion che ogni giorno attraversano le sbarre del portone d’ingresso del mercato di Fondi, il più importante d’Italia, secondo in Europa solo a Parigi. Chi controlla le ruote di gomma dei Tir ha in mano le leve giuste, quei meccanismi che fanno girare come trottole le arance, i mandarini, le fragole, le primizie, e perfino la frutta esotica. Un potere enorme, una potenza di fuoco economica in grado di sconvolgere l’economia legale: «Da qui fino a Roma, fino a Milano – spiegava Costantino Pagano, referente dei Casalesi arrestato ieri – comandiamo noi, da qui fino ad Avezzano ci sono camorristi da tutte le parti».

Oggi il tempo del piccolo banco taglieggiato dagli uomini della Camorra è finito. La nuova alleanza che passa per Fondi punta molto in alto. «Esponenti delle famiglie mafiose siciliane – scrive la Dia – erano interessati anche alla grande distribuzione alimentare, relativamente alla quale progettavano di aprire nell’area romana magazzini per lo stoccaggio di merci da commercializzare nei supermercati Conad e Despar». Ma c’è di più. Su alcune rotte dell’agroalimentare i Casalesi e le famiglie di Cosa nostra avevano in mano un vero e proprio monopolio, imponendo società, uomini e mezzi. Accordi che avevano come meta finale città del nord industriale come Torino e molte capitali europee.

Fondi, dunque, si conferma come uno dei nodi strategici delle holding criminali. Lo scorso anno fu la Dda di Roma a svelare il ruolo dei fratelli Carmelo e Venanzio Tripodo – figli del capo ‘ndrangheta Domenico, ucciso nel 1976 a Poggioreale – all’interno del Mof. Ieri di nuovo la Dia di Roma è scesa nel sud pontino per arrestare quattro esponenti della famiglia D’Alterio – referenti dei Casalesi secondo gli investigatori -, specializzati proprio nel trasporto della frutta commercializzata nel Mercato ortofrutticolo di Fondi. Da veri imprenditori gli uomini di Casal di Principe sanno dove investire, conoscono alla perfezione tutti i meccanismi più perversi dell’economia del made in Italy. Prima il ciclo del cemento, poi gli appalti pubblici, oggi la frutta e la verdura.

E’ una mafia silenziosa e sottile, capace di mimetizzarsi, in grado di sparire. Ieri mattina quando gli uomini della Dia di Roma sono arrivati davanti alla casa di Giuseppe D’Alterio si sono trovati davanti una anonima palazzina a due piani. Il balcone poteva sembrare lo spazio estivo di una qualsiasi famiglia di piccoli commercianti, con il barbecue e le cianfrusaglie ammassate. Ma dietro la porta la famiglia D’Alterio osservava ogni piccolo movimento, con un monitor sofisticato e un sistema di sorveglianza. Accanto un mazzo di fiori, e una donna che gridava, piangeva, mentre due adolescenti impassibili camminavano in pigiama. Case comuni, invisibili, figlie di quella edilizia confusionaria che ha stravolto l’antica pianta romana della città. Come la casa dove negli anni ’90 la famiglia Tripodo riceveva a pranzo gli emissari dei Casalesi – secondo il racconto fatto nel 1996 dal collaboratore Carmine Schiavone – apparecchiando, però, la tavola con le posate d’oro.

Ed è il silenzio di Fondi, quella cappa pesante, insopportabile imposta dal governo Berlusconi, con la decisione di salvare la classe politica locale, compromessa – secondo l’ex prefetto Frattasi e il ministro Maroni – da rapporti troppo stretti con le cosche, a fare da laboratorio per l’alleanza tra le mafie imprenditrici. Qui convivono l’arroganza del camorrista, pronto a prendere il comando con uno schiaffo dato in pubblico, che a volte conta più di un’arma da fuoco, insieme al sofisticato sistema di controllo dei prezzi per i prodotti che raggiungono tutta l’Europa. Ed è qui il cuore della vera crisi dell’agricoltura italiana, che paga qualche centesimo al chilo ai produttori per ortaggi che finiscono nei supermercati di Milano o di Torino a cinque o sei euro al chilo. Aumenti a quattro cifre, soldi che non hanno più bisogno di essere riciclati, ma che puzzano di mafia, esattamente come il mercato della cocaina, delle armi e dei rifiuti.

[Andrea Palladino, Il Manifesto]

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Lazio nel mirino delle cosche: sequestrati beni per 500 milioni di euro

Circa 500 milioni di euro, il bilancio di una grossa Asl o di un comune di medie dimensioni. E’ il valore dei beni che nel Lazio sono stati sequestrati nell’ultimo anno dalle forze dell’ordine alla criminalità organizzata «spa». Bolidi fuoriserie, terreni, lussuose ville, bar e ristoranti, piccole aziende, cliniche e centri di riabilitazione convenzionati, garage, palazzi, hotel, interi condomini. Un fiume di danaro «sporco» che le cosche ripuliscono investendo in attività apparentemente «pulite». Una stima contenuta nel rapporto annuale – inviato alla commissione parlamentare Antimafia – elaborato dal Coordinamento antimafia del litorale romano che parla di «sequestri e confische concentrati in massima parte nel Basso Lazio», dove più capillare sembra essere l’infiltrazione dei clan nell’economia legale. Ma preoccupa anche quel che sta succedendo nella Capitale, sul litorale, ai Castelli, dalle parti del Circeo, dove ndrangheta, camorra e mafia optano per una specie di «penetrazione silente». Che consente la conquista, senza che nessuno se ne accorga, di spazi sempre più ampi dell’economia legale.

GLI APPETITI DEI CLAN – Accanto ai casi eclatanti legati ai locali della Dolce vita romana sequestrati alla cosca calabrese degli Alvaro (Cafè de Paris, il Gran Caffè Cellini, i bar Clementi e Time out, il ristorante la Piazzetta) «ci sono altre situazioni meno note ma con importanti interessi in ballo», osserva Edoardo Levantini, presidente dell’associazione e consulente della commissione regionale Lotta alla Criminalità. E’ il caso di quel che è successo a Ostia, dove uno stabilimento balneare tra i più noti, il Village, è finito nelle mani di Carmine Fasciani, boss legato alla banda della Magliana e considerato dai carabinieri che lo hanno arrestato il terminale di interessi della camorra.

A.A.A CERCANSI «OCCASIONI EDIFICABILI» – «E sempre la criminalità organizzata campana – prosegue Levantini – ha dimostrato una capacità impressionante di inquinare l’economia legale soprattutto nel campo dell’edilizia». Lo testimoniano gli atti giudiziari dell’indagine – ancora in corso – condotta dalla squadra mobile di Latina sul clan Mallardo, interessato a «occasioni edificabili» per migliaia di metri cubi (da singole ville a interi condomini), grazie forse a compiacenti «talpe» nelle amministrazioni cittadine, tra Anzio, Nettuno, Lariano, Fondi e Latina. «Interventi apparentemente regolari ma realizzati con il fiume di danaro – scrive il coordinamento Antimafia – proveniente da attività illecite». La mappa dei sequestrati effettuati negli ultimi 12 mesi spazia un po’ dappertutto: spiccano case di cura a Nettuno, centri benessere convenzionati per milioni di euro con la Regione nel Frusinate, la villa lussuosissima intestata a un prestanome dei Casalesi a Sperlonga, un vigneto a Cisterna.

COMUNI «POCO REATTIVI» – Secondo Levantini, all’infiltrazione «sempre più evidente» della criminalità organizzata nell’economia laziale «non corrisponde un’adeguata reattività delle amministrazioni cittadine. Pochi sono i comuni che si dichiarano parte civile nei processi contro i clan. Che, nelle aule giudiziarie da Civitavecchia a Nettuno e senza dimenticare Roma, nella Regione non mancano di certo». L’ultimo caso, il più eclatante, riguarda Fondi: il 25 maggio si deciderà il rinvio a giudizio dei boss incriminati per l’indagine «Damasco» – quella alla base della richiesta di scioglimento avanzata dal prefetto di Latina – «ma né il Comune né la Regione hanno ancora comunicato l’intenzione di chiedere risarcimenti penali e morali ai boss».

(Tratto da Telefree)